C’erano tante buone ragioni per seguire le elezioni del Canada, ma i media italiani sono più interessati ai capricci di Di Maio che ai risultati elettorali del secondo Paese al mondo per estensione (33 volte l’Italia), con sei fusi orari. Non importa che faccia parte del G7 (anche se oggi per PIL è al decimo posto del mondo, scavalcato dal Brasile) e che sia uno dei Paesi più avanzati del mondo: in fondo sono solo 38 milioni di abitanti, che abitano quasi tutti a 250 chilometri dal confine statunitense (come a dire la distanza da Milano a Venezia). Non importa che ci sia un importante accordo commerciale tra l’Unione Europea e il Canada, il Ceta, che ha incrementato le esportazioni europee verso il paese nordamericano e che ancora non è stato ratificato dal parlamento italiano per l’opposizione della Lega e delle 5S. Non importa neanche che ci risiedano quasi un milione e seicentomila italo-canadesi (quasi il 5% della popolazione) che sono quanti gli abitanti della Liguria o della Sardegna. Non importa che oltre 120.000 italo-canadesi siano elettori del Parlamento italiano: fra l’altro una deputata del Pd è stata eletta in Canada ed è originaria di Toronto, l’on. Francesca La Marca; per la cronaca, in Canada il centrodestra ha avuto il 38% dei voti, il PD il 34% e le 5S il 14%. Non interessa forse perché il Canada appare povero, visto che ha solo 4.200 forestali per 400.000 kmq di foreste: ma forse sono foreste molto diverse dalle nostre, visto che noi, ricchi, in Sicilia abbiamo 25.000 personale forestale per 3.400 kmq..
Una qualche attenzione maggiore sarebbe stata opportuna, ma capisco che per i media è molto costoso mandare un inviato in Canada. Ma per la Rai ? Certo, c’è stato il pregevole servizio di “Presa diretta” sulla politica di immigrazione in Canada ( si può vedere su RaiPlay), ma anche senza mandare inviati, dire a tre-quattro dei 1.800 giornalisti della Rai di seguire, in maniera permanente, trasmissioni televisive canadesi, di leggere on line i giornali canadesi e ricavare informazioni da dare agli utenti, potrebbe essere un modo per dire che questo esercito di giornalisti ( superiore al numero di quelli in forza alla BBC) produce un servizio pubblico.
Ora le elezioni in Canada sono interessanti anche per un motivo contingente, di casa nostra. È di oggi la notizia che la Corte di Cassazione ha dato tempo due settimane agli otto Consigli regionali, che si erano adeguati all’imposizione della Lega di promuovere il referendum sulla legge elettorale vigente. La Cassazione ha detto che i quesiti referendari sono mal posti e quindi devono almeno riformulati correttamente, poi per il merito si vedrà e non è detto che vengano considerati ammissibili.
La Lega vorrebbe che i prossimi 400 deputati e i prossimi 200 senatori vengano eletti solo con l’uninominale, perché – dicono – così si sa chi vince e chi deve governare. Affermazioni non vere, come insegna il dato elettorale canadese. La Camera dei Comuni viene eletta sulla base di 338 collegi uninominali: chi prende più voti nel collegio, vince. Così in queste ultime votazioni, i Liberal del primo ministro Justin Trudeau hanno perso un milione di voti rispetto al 2015, e sono sotto i Conservatori di 240.000 voti. Ma per effetto del sistema maggioritario, i Liberal con il 33% dei voti hanno 157 seggi, pari al 46% dei seggi: non hanno più la maggioranza assoluta dei seggi dunque (ne hanno persi 27), dovranno fare una coalizione , ma comunque sono il partito più consistente nella Camera dei Comuni.
Non è la prima volta che il partito più votato arriva secondo nella ripartizione dei seggi. Così, i Conservatori che sono il primo partito con oltre sei milioni di voti (e che hanno comunque guadagnato oltre mezzo milione di consensi e 22 seggi) avranno 121 deputati, 36 meno del secondo partito votato.
Anche il “Bloc Québécois” (un partito di sinistra, autonomista, per l’indipendenza del Québec), con l’8% dei voti, avrà 32 deputati, otto in più del Nuovo Partito Democratico, che però ha avuto il 16%, più del doppio dei voti degli indipendentisti (2,8 milioni di voti contro 1,4 del “Bloc Québécois”).
Più eclatante ancora è il risultato dei Verdi: con oltre un milione di voti, pari al 6,50%, si portano a casa solo tre deputati (cioè lo 0,9% dei seggi).
È il sistema maggioritario uninominale secco, a un turno solo, bellezza.
In sostanza, è probabile – come è già avvenuto nel passato, senza alcuno scandalo e senza nessuna richiesta di nuovi sistemi elettorali – che Trudeau formerà un governo di minoranza, con l’appoggio esterno delle formazioni di centrosinistra, ovvero il “Bloc Québécois” e il socialdemocratico Nuovo Partito Democratico.
Quest’ultimo ha alla sua guida, Jagmeet Singh, un canadese, sikh, figlio di emigrati indiani del Punjab: purtroppo, il partito in questa tornata ha perso seicentomila voti e venti seggi.
I temi della compagna elettorale andavano dal controllo dell’immigrazione, al multiculturalismo, all’aborto, all’ambiente, alla “Trans Mountain Pipeline” dallo stato di Alberta alla British Columbia.
Hanno votato il 66% degli oltre ventisette milioni di canadesi aventi diritto, una percentuale italiana, e l’elenco dei partiti (23) che si sono presentati è davvero interessante: dal “radical Marijuana” al Partito comunista, al Partito comunista marxista-leninista. Il Canada è vicino.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi.””Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 23 ottobre 2019)
Bravo Corbani ma le tue acute osservazioni non interessano a chi ci governa. Sono impegnati con il reddito di cittadinanza e lo zero virgola del Pil, stanno distruggendo la più grande industria siderurgica d’Europa cosa vuoi che gli importi del Canada.