Rota Orchestral Works vol.3
Di tutti i volumi dedicati a Rota, questo fu uno dei più difficili da organizzare e preparare. “Le Molière imaginaire” (definito dal compositore Ballet-Comédie) era stato scritto per Béjart ed era destinato a celebrare nel 1973 alla Comédie Française i 300 anni della morte di Molière, anche se in realtà andò in scena solo 3 anni dopo a causa degli impegni dei due artisti. Di quello spettacolo, un ibrido fra danza, musica e recitazione non era rimasta traccia ed esisteva solo un LP del 1976 pubblicato da Deutsche Grammophon e diretto da Elio Boncompagni. Le musiche registrate erano state messe in un ordine che non era quello dello spettacolo e almeno una mezz’ora di musica era stata tagliata per essere contenuta nella durata di un microsolco. La ricostruzione della partitura originale senza tagli e nell’ordine corretto dei numeri venne affidata a Bruno Moretti (allievo e assistente di Rota) che a partire dai manoscritti e dalle testimonianze raccolte fu in grado di portare a compimento un lavoro che all’inizio sembrava impossibile. Il “Molière imaginaire”, uno dei brani più intriganti dell’intero catalogo rotiano, è composto da 29 brani, tutti molto corti (il più lungo dura 4 minuti!). Ho sempre pensato che se Lulli fosse nato nel XX secolo, lo avrebbe composto proprio come Rota!
Parlavo all’inizio delle difficoltà incontrate nel realizzare questo doppio CD; se nel Molière si trattava di problemi filologici, nel caso di “Rabelaisiana” gli ostacoli sono stati esecutivi. Si tratta infatti di una partitura con una parte vocale dall’impervia tessitura, degna di un’opera di Strauss e con l’aggiunta di un testo difficilissimo da pronunciare e dai contenuti oscuri. Tratte dal “Gargantua” di Rabelais, queste 3 liriche impegnano l’orchestra in un virtuosismo di colori e di artifici strumentali che ci hanno costretto a passare molto più tempo di quello che avevamo previsto prima di chiudere le sessioni di registrazione. Lo considero una delle composizioni più difficili da interpretare nella produzione di Rota ed è forse per questo che è raramente programmata.
Difficoltà virtuosistiche attraversano anche la parte pianistica del “Concerto in Mi ‘Piccolo mondo antico’” che, a discapito del titolo così “intimo”, sembra piuttosto ricalcare una scrittura grandiosa alla Rachmaninov o Prokofiev. Il riferimento a Fogazzaro nasce dall’uso di materiale in comune con il film “Daniele Cortis” per il quale Rota aveva scritto le musiche. Questi continui prestiti fra musica per il cinema e musica per la sala da concerto sono una caratteristica del compositore e nascono dalla convinzione che non ci debba essere differenza di qualità, né un minor impegno nello scrivere, qualunque sia la destinazione delle proprie idee musicali. Una grande differenza che lo distingue da altri suoi celebri “colleghi” come John Williams o Ennio Morricone, incuranti di mantenere uno stile omogeneo fra i due mondi.
Sono passati più di 40 anni dalla creazione di “Prova d’orchestra”, ma i temi affrontati da Fellini rimangono ancora irrisolti sia che si voglia interpretare il film come uno studio sulla nostra società oppure come un divertimento sul mestiere del musicista. Per una volta la musica di Rota fu composta con largo anticipo poiché doveva servire come base sul set. Mi è difficile pensare che l’ascolto durante le riprese della musica non abbia fatto da “traino” a certe scene e a delineare meglio certi personaggi. In questo come in tanti altri film, l’invenzione e le intuizioni geniali di Fellini non avrebbero mai raggiunto una tale poesia senza la musica di Nino Rota.
Giuseppe Grazioli
(martedì 9 marzo 2021)
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Rota Orchestral Works vol.2
Non mi ricordo di quando ho ascoltato la musica di “Amarcord” per la prima volta. Non mi sembra che fosse guardando il film, forse alla televisione in un servizio sulle vacanze al mare, forse alla radio in una pubblicità su qualche caramella, forse la fischiettava un operaio mentre imbiancava un soffitto…insomma, proprio la colonna sonora di un film che si chiama Amarcord (“io mi ricordo” in dialetto romagnolo) sfugge a qualunque controllo temporale, geografico, sfugge a qualunque contestualizzazione. Si potrebbe quasi affermare che è già nella nostra memoria prima ancora di averla sentita, è come se anche al primo ascolto più che “conoscerla”, la “riconosciamo”. Strano fenomeno che solo un genio come Rota poteva inventarsi. Quei 5 secondi (tanto dura la presentazione della melodia principale) creano da subito un senso di nostalgia e evocano una gamma di sentimenti molto profondi che, all’ascolto, risalgono in superficie. Per descrivere a parole questo complicatissimo meccanismo, penso che non basterebbe l’intera Treccani…per fortuna la musica ci arriva sempre direttamente e con una sintesi straordinaria.
In questo CD (ed è la filosofia dell’intera collana) accanto a composizioni per il cinema come “Amarcord”, “Guerra e Pace” e “Le notti di Cabiria”, convivono brani di rarissimo ascolto, alcune di essi qui registrati per la prima volta, come “La Fiera di Bari”, dove Rota mostra di conoscere molto bene i meccanismi del Jazz sinfonico alla Duke Ellington, “Guardando il Fujiyama”, omaggio di Rota al Giappone e alle vittime di Hiroshima, la deliziosa opera-bonsai “La Scuola di guida” dove una apprendista guidatrice e il suo istruttore vivono un’estemporanea storia d’amore. Ma fra i brani più rari si nasconde un vero gioiello che ci racconta come le qualità umane di Nino Rota si fondessero con quelle musicali: l’”Andante sostenuto per il Concerto K.412 di Mozart”. Questo concerto per corno, ascoltato durante un saggio di Conservatorio a Bari, manca del tempo centrale perché smarrito e, allo scopo di permettere all’allievo di eseguire un concerto completo, Nino Rota in pochi minuti lo “integra” scrivendo un Andante in puro stile mozartiano. Quanti direttori di Conservatorio lo farebbero oggi?
Nella produzione extra cinematografica, non bisogna trascurare una forma che ha sempre interessato il compositore, quella del concerto per strumento e orchestra, che gli permetteva di dialogare con i più noti solisti italiani, carpirne i segreti e allargarne il repertorio. In questa registrazione ne sono presenti ben tre. Quello per trombone, scuro e serioso, quello per fagotto, leggero e divertente e “Castel del Monte” per corno e orchestra, una brano ricco di mistero, in origine intitolato “Ballata del Cavaliere errante”. Il titolo e l’atmosfera ci riportano ad un altro dei mille interessi del compositore, quello per l’esoterismo, che lo ha accompagnato per tutta la vita.
Basta una rapida lettura anche dei soli titoli di questo cd per capire la poliedricità di un artista che aveva incontrato il cinema sulla sua strada, ma che non aveva mai smesso di vivere la musica a 360 gradi. Vogliamo ancora chiamarlo “il musicista di Fellini”?
Giuseppe Grazioli
Nella miriade di iniziative che l’Orchestra Verdi promosse, sotto la direzione di Luigi Corbani, ce ne fu una che avrebbe lasciato un segno indelebile nel pubblico e negli artisti che vi parteciparono: il tributo a Nino Rota nel centenario della sua nascita. Nel 2011 l’opinione su Rota di una gran parte della critica e del pubblico, era ancora molto ambigua: certo il compositore milanese era un grande genio della musica da film, un inventore di splendide melodie destinate ad accompagnare pubblicità, sigle televisive e pièces teatrali, ma era degno delle nostre sale da concerto? Poteva essere associato ad altre figure come Stravinsky, Bartok, Berio, Petrassi etc.?
Paradossalmente la risposta ce la dava lo stesso Rota in una sua intervista: “Non credo a differenze di ceti e di livelli nella musica: Il termine ‘musica leggera’ si riferisce solo alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi l’ha scritta”. Questo il pensiero di fondo che ha accompagnato per tutta la vita un compositore che con lo stesso entusiasmo, lo stesso impegno e la stessa maestria scriveva la colonna sonora di “Totò al Giro d’Italia” oppure un concerto per Benedetti Michelangeli, passando per un opera lirica tratta da Victor Hugo.
A cento anni dalla nascita, come si poteva ricordare, senza tradirlo e senza cucirgli addosso ancora una volta l’etichetta di ‘cinematografaro’ (come lo chiamavano all’epoca i colleghi ‘seri’) uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del ‘900 tout court? Con il titolo “Nino Rota – La leggerezza dell’ascolto” la Verdi decise coraggiosamente di affidarmi la programmazione della più organica rassegna mai tentata della sua musica: 10 appuntamenti dove si accostavano nello stesso concerto musica per il cinema, per la televisione, per il teatro, balletti, concerti strumentali e musica sinfonica. Un disordine apparente che riproduceva in realtà, con molta coerenza, il suo modo di comporre fatto di idee abbandonate e riprese molti anni dopo, di temi che passavano da una colonna sonora ad una sinfonia e viceversa, di incisi di poche note che tornavano ossessivamente generando brani diversissimi…
Grazie alla collaborazione con Francesco Lombardi, musicologo che di Rota conosce ogni segreto, Bruno Moretti, allievo di Rota e suo collaboratore e a Schott e Ricordi che hanno pubblicato gran parte del suo catalogo, riuscimmo a presentare inediti, prime edizioni critiche, nuove versioni, ricostruzioni, ecc.…Inutile dire che le scoperte furono tante e di tale qualità che fu del tutto naturale decidere di lasciarne traccia in una serie di registrazioni discografiche.
Oltre alle colonne sonore per “Il Padrino”, “La montagna di ghiaccio”, “Satyricon”, “Roma” e l’Ouverture de “Il cappello di paglia di Firenze” (la sola sua opera che sia regolarmente eseguita, ma non dimentichiamo che ne ha scritte altre 10!) registrammo in questo primo volume una serie di composizioni che mostravano la grandezza del musicista nello scrivere musica “pura” come le “Variazioni su un tema gioviale”, il “Concerto per arpa”, i tre “Concerti per violoncello e orchestra” (il primo dei quali scritto a 14 anni), un brano scritto da un Rota dodicenne (la “Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi”) e infine l’”Allegro concertante” scritto per gli allievi del Conservatorio di Bari, dove Rota fu direttore dal 1950 al 1977.
Il disco, che contiene 5 prime registrazioni mondiali, ci introduce alla poetica rotiana: in un’epoca come la nostra dove il mondo della musica classica sembra dirigersi sempre più verso il “crossover”, il compositore appare come una straordinaria figura profetica che ci indica la strada da percorrere perché la musica, attraverso le contaminazioni, non perda mai il suo valore e la sua dignità.
Giuseppe Grazioli
In questi giorni i giornali riportavano la notizia di un racket di mendicanti a Milano: nella realtà dunque prende forma ’’L’Opera da tre soldi” in cui Jonathan Jeremiah Peachum è il capo i tutti i mendicanti di Londra.
Bertolt Brecht aveva adattato la “ballad opera” dell’inglese John Gay del 1728, “Beggar’s Opera” (L’opera del mendicante) : una storia ambientata nel mondo della malavita di Londra, che diventa una feroce denuncia del capitalismo. Con la musica di Kurt Weill, “Die Deigroschenoper” debutta il 21 agosto 1928 al Theater am Schiffbauderdamm di Berlino, con un successo straordinario. Nella serie televisiva “Babylon Berlin”. che ricostruisce in modo impressionante il clima della Berlino di quegli anni, della Repubblica di Weimar, una lunga sequenza è ambientata durante un’esibizione dell'”Opera da tre soldi” , è stata girata nello storico Theater am Schiffbauerdamm.
La prima produzione italiana diretta da Giorgio Strehler ha debuttato al Piccolo Teatro di Milano venerdì 10 febbraio 1956 alla presenza di Bertolt Brecht. Il cast comprendeva: Tino Carraro (Mackie), Mario Carotenuto (Peachum), Marina Bonfigli (Polly), Milly (Jenny), Enzo Tarascio (Capo della Polizia), e poi Narcisa Bonati, Dante Feldmann, Franco Graziosi, Andrea Matteuzzi, Nicoletta Ramorino, Giusi Raspani Dandolo, Checco Rissone, Nora Villa. La traduzione di Ettore Gaipa, Gino Negri e Giorgio Strehler. Il direttore d’orchestra era Bruno Maderna. Le scenografie erano di Luciano Damiani e Teo Otto; i costumi di Ezio Frigerio.
Qui pubblichiamo il contributo del Maestro Giuseppe Grazioli che ha diretto ultima edizione dell’”Opera da tre soldi” e ha inciso il disco che qui vi proponiamo.
Nell’autunno del 2015 il Piccolo Teatro di Milano decise di (ri)mettere in scena uno spettacolo che aveva lasciato il segno nella sua gloriosa storia, fino a diventarne forse il simbolo stesso: L’opera da tre soldi di Brecht/Weill. Nel 1956, anno della prima edizione, la regia era stata affidata a Giorgio Strehler e la direzione d’orchestra a Bruno Maderna. Per questa nuova edizione il Piccolo si rivolse a Damiano Michieletto e a chi scrive, a capo dell’ensemble dell’Orchestra Verdi. Lo spettacolo era, per scelta di Michieletto, quanto di più lontano potesse esistere rispetto all’edizione di Strehler e, per la parte musicale, io mi ero affidato all’edizione critica originale, uscita qualche anno prima, che faceva risaltare le raffinatezze armoniche e strumentali di Weill senza interventi esterni sugli arrangiamenti, sull’orchestrazione e sul ritmo del testo cantato.
Durante le prove tutti noi, affascinati dalla bellezza di quella musica, decidemmo di lasciare una traccia del nostro lavoro e cominciammo a registrare all’Auditorium di Milano la Suite strumentale tratta dall’Opera da tre soldi che lo stesso Weill aveva composto sull’onda della popolarità di alcuni numeri. Popolarità che all’epoca si era spinta fino alle sale da ballo: tutte le orchestrine da salotto avevano in repertorio almeno un Tango o un Foxtrot sui temi dell’Opera da tre soldi. Mi misi a cercare nei cataloghi degli editori dell’epoca e con grande gioia trovai tre danze che seppure in pessime condizioni grafiche erano ideali per arricchire il CD. E grazie ad un’intuizione geniale del nostro tecnico del suono Stefano Barzan per dare un sound “chiuso e fumoso” registrammo le danze nel sottopalco dell’Auditorium dove sono accatastati disordinatamente strumenti e astucci e il soffitto è bassissimo.
Chi conosce la storia del Piccolo Teatro sa che il successo di tanti spettacoli non si deve solo ai registi che vi hanno lavorato, ma anche alla collaborazione con grandi artigiani-musicisti che sapevano come dare un senso alla parte drammatica senza interferire o oscurare gli attori sul palcoscenico, fra questi Nino Rota (presente in questo CD con le musiche di scena per “Ogni anno punto e da capo” di Eduardo De Filippo nella versione pianistica eseguita da Stefano Borsatto) e soprattutto Fiorenzo Carpi, capace di ricreare con poche note un falso Barocco, un falso Rinascimento, o evocare una regione geografica non ben precisata. Quella con il Piccolo Teatro fu solo una delle mille collaborazioni che Carpi affrontò nella sua carriera: in realtà spaziò dal teatro al cinema, dalla televisione al balletto, affiancando il suo nome a quello di registi e interpreti del calibro di Dario Fo, Roland Petit, Louis Malle, Luigi Comencini, Patrice Chéreau, Carlo Mazzacurati e tanti altri.
Le cinque “pillole” musicali della Circus Suite nate per accompagnare gli spettacoli di Dario Fo mi colpirono immediatamente per la capacità di stare in bilico fra la canzonetta, la musica da circo e la musica cosiddetta “colta” rappresentata da autori come Bartok, Stravinsky, etc. Le cose sono molto cambiate per fortuna, ma solo cinquant’anni fa un musicista italiano di formazione classica che scriveva per il teatro, per il cinema o per la televisione, o lo faceva sotto falso nome o era (come si dice ora) “bannato” dalle sale da concerto. Questo CD è stato solo l’inizio di un’operazione di rivalutazione della figura di Carpi; è in cantiere una rassegna ben più ampia delle sue musiche, con la speranza di poter contribuire a fare uscire dal silenzio un compositore che, senza pregiudizi, ha il grande merito di aver dato nobiltà a generi musicali considerati all’epoca di serie B e che oggi si rivelano in tutta la loro originalità e inventiva.
Giuseppe Grazioli
Kurt Weill L’opera da tre soldi suite e danze
Fiorenzo Carpi Circus suite
Nino Rota Ogni anno punto e da capo
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Luglio
Una proposta per rendere omaggio a Maderna
Nel 1955, Luciano Berio (1925-2003) e Bruno Maderna (1920-1973) realizzarono uno dei più interessanti esperimenti di prosa radiofonica. Su un testo di Roberto Leydi, nello “Studio di fonologia di Milano”, i due grandi musicisti registrarono “Ritratto di Città”: sorta di laboratorio drammatico di sonorizzazione con le voci di Nando Gazzolo e Ottavio Fanfani.
Abbiamo ripreso questo lavoro sostanzialmente per due motivi: per rendere omaggio a Maderna e ricordare che cosa era la Rai a Milano negli anni cinquanta. Un Paese serio avrebbe reso omaggio a un grande compositore, direttore d’orchestra, docente nei conservatori europei, uomo di cultura, nel centenario della nascita di Bruno Maderna.
“Bruno Maderna, classe 1920, era un artista veneziano, europeo, cosmopolita, ma anche molto milanese. Non solo – scrive Valerio Tura – perché vi ha diretto più volte, al Teatro alla Scala e altrove. Le sue numerose e frequenti presenze a Milano, fin dallʼinizio degli anni cinquanta, lasciano sempre un segno importante: le collaborazioni con Giorgio Strehler, con lo stesso e con Paolo Grassi per la prima rappresentazione italiana dellʼ“Opera da tre soldi” di Brecht, al Piccolo Teatro; i suoi editori, Suvini Zerboni prima e Ricordi dopo; i concerti degli “Incontri Musicali” organizzati insieme a Luciano Berio…… e altro ancora, come ad esempio il corso sulla tecnica dodecafonica (che nel 57-58 Ghedini, direttore del Conservatorio ”Giuseppe Verdi” di Milano affidò a Maderna), la celebre traccia di lavoro che Maderna scrive a Francesco Siciliani all’inizio del 1972, con le linee per la programmazione della “sua” Orchestra Sinfonica di Milano della Rai, poco dopo aver avuto dallo stesso Siciliani, allʼepoca dirigente di tutte le orchestre Rai, lʼincarico di direttore dʼorchestra stabile a Milano.
La Milano di Maderna in quegli anni era la Milano che stava affermandosi come polo dʼimportanza europea per le molteplici declinazioni della sua creatività, in campo artistico, scientifico, industriale, architettonico. È la Milano di Lucio Fontana e Marco Zanuso, dello studio BBPR (quello della Torre Velasca) e di Giulio Natta, di Gae Aulenti e Achille Castiglioni; è la Milano che ha Eugenio Montale come critico musicale del Corriere della Sera, mentre Giulio Confalonieri scrive la sua “Storia della Musica”; è la Milano in cui il giovane Umberto Eco, consulente alla Rai, propone a Mike Bongiorno, John Cage come ospite di “Lascia o raddoppia”, per fargli guadagnare due lire come esperto di funghi, mentre Roberto Leydi si va affermando come ricercatore e studioso di musiche popolari; è la Milano che ha fra i suoi giovani protagonisti, ognuno nel suo territorio, Dario Fo, Franco Parenti, Giustino Durano, e più tardi Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Enzo Jannacci, i Gufi, gli animatori jazzofili del Santa Tecla e più tardi del Derby Club; è la Milano dove pittori, scultori, musicisti e scrittori si ritrovano non solo nelle nuovissime gallerie dʼarte che aprono ovunque, ma anche al Bar Jamaica in Via Brera, alla Trattoria Bagutta, e poi alla Taverna Messicana, ai cui tavoli lo stesso Maderna è di casa, a fare le ore piccole… È una città nella quale lievitano e maturano talenti creativi in ogni campo, che magari arrivano anche da altre parti dʼItalia, attratti come da un magnete: moltissimi, molti di più dei pochi qui citati. Un pò per sbarcare il lunario, un pò per lʼinstancabile volontà di sperimentare, di aprire antidogmaticamente nuovi percorsi, un certo giorno del 1954 Maderna ha unʼidea. Perché non proporre alla Rai di aprire a Milano uno studio dedicato alla musica elettronica, come da pochissimi anni già era avvenuto nelle sedi radiofoniche di Parigi e di Colonia…?
La giovanissima Rai ascolta la proposta e la prende sul serio, molto probabilmente perché Maderna fa intravvedere la possibilità di utilizzare il centro (che avrà il nome di “Studio di Fonologìa Musicale”) come un luogo per produrre anche sigle, effetti, colonne sonore, pubblicità, musiche di scena per la radio, per la neonata televisione, e persino per committenti esterni. Accanto a Maderna, affiancato fin dallʼinizio dallʼamico Luciano Berio, si raccolgono le competenze tecniche di un progettista, il fisico Alfredo Lietti, e di un tecnico fonico, Marino Zuccheri. I dirigenti Rai si convincono definitivamente a dare il semaforo verde al progetto ascoltando “Ritratto di città”: è una sorta di documentario radiofonico, in realtà niente altro che un affettuoso omaggio a Milano in chiave modernissima. È fatta. Si parte. Rapidamente si allestiscono i locali, nella sede di Corso Sempione, si montano i primi rudimentali e semplici macchinari: magnetofoni, variatori di velocità, filtri. Nel 1955 lo “Studio” inizia a lavorare davvero. L’anno successivo arriva la dotazione dei leggendari “nove oscillatori”, il lavoro va a pieno regime, le collaborazioni si moltiplicano, altri compositori italiani e stranieri arrivano, chi a curiosare, chi a sperimentare e a creare: alcuni lavori realizzati presso lo “Studio” vincono l’ambitissimo “Prix Italia”. Dopo la cessazione dell’attività, allʼinizio degli anni ottanta, tutti i macchinari, nonché alcuni mobili appositamente disegnati da Giò Ponti, fortunatamente sono stati recuperati e oggi sono conservati presso il Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco. Qui un breve frammento di una intervista di Maderna, registrata proprio allʼinterno dello “Studio”, parecchi anni dopo la sua fondazione.”
In un libro che consiglio a tutti per capire a fondo il valore di questa personalità (“Maderna musicista europeo” nuova edizione Piccola Biblioteca Einaudi), Massimo Mila scrive che “questo campione della più spericolata avanguardia era un innamorato di musica antica. Le sue numerose trascrizioni, tra cui l’”Orfeo” di Monteverdi, hanno lo scopo di richiamare in vita grandi musiche del passato e di rimetterle in circolazione, riscuotendole dal letargo degli archivi. Sono come il risveglio di tante belle addormentate nel bosco: il formidabile mottetto “In ecclesis” di Giovanni Gabrieli, la deliziosa suite strumentale composta con frottole quattrocentesche, tratte dalla raccolta “Odhecaton” di Ottaviano Petrucci, l’”Orfeo dolente”, opera quasi sconosciuta del musicista mediceo Domenico Belli; oltre a sei “Concerti” di Vivaldi e al salmo “Beatus vir””.
Un buontempone, dalla vita sregolata e dalla corpulenza falstaffiana, che fu un bambino prodigio: “una principessa e mecenate francese (Madame de Polignac) si avvide delle possibilità di Maderna e gli rese possibili i primi studi seri. Tra l’altro affittò per lui l’orchestra della Scala: a sette anni Bruno fece la sua prima apparizione in pubblico nel “Concerto” per violino di Max Bruch; a otto anni diresse alla Scala e all’Arena di Verona. Cominciò così una vera e propria carriera di enfant prodige, festeggiato in Italia e all’estero, come “Brunetto” scrive Beate Christina Ursula Maderna.
Studi musicali a Milano, Venezia e Roma, poi guerra, campagna di Russia, Resistenza partigiana, campo di concentramento: “subito dopo la fine della guerra fu per alcune settimane sindaco di Verona e vi fondò subito un piccolo gruppo per una stabile organizzazione di concerti.”
La biografia di Maderna ci dà soltanto vagamente l’idea di un uomo che ha vissuto intensamente: treni, aerei, auto, alberghi, dirigeva e componeva. “Così a Milano il 6 maggio 1963, diresse “Didone ed Enea” alla Piccola Scala ed un concerto alla Rai nella stessa sera” “Per lui non vi erano limiti temporali, ma solo quelli, inderogabili, della qualità.”
“Maderna morì certamente troppo presto. (a 53 anni). Ma dobbiamo considerare che la sua vita ha contato per tre vite.”
Da qui al 2023, anno in cui si celebrerà il cinquantesimo anniversario della scomparsa, spero che ci siano tante occasioni a Milano e in Italia per ricordare una grande personalità della cultura italiana, anche con nuove iniziative.
A Milano le orchestre ci sono, basterebbe poco al Comune di Milano per promuovere un doppio premio “Bruno Maderna” per valorizzare i giovani compositori e per favorire le trascrizioni e il recupero della musica antica.
Cielle
Giugno
Un grande conoscitore della musica, Massimo Mila, scriveva che è assurdo pensare di far capire con le parole che cosa comunica direttamente la musica a chi non le sente nei suoni. E si riferiva in particolare alla “Sonata per pianoforte n. 23 in Fa minore di Ludwig van Beethoven, op. 57”, nota come “Appassionata”. Per inciso, per tutti coloro che vogliono approfondire le loro conoscenze musicali, consiglio di leggere la “Breve storia della musica” di Massimo Mila, Einaudi editore.
Scrive Mila: “Beethoven, vissuto nella società trasformata dalla Rivoluzione francese e nell’Europa sconvolta dalle guerre napoleoniche, si pone in mezzo al fermento di idee e di aspirazioni dei tempi nuovi. L’uomo, che nella sua musica si esprime con tanta forza, non è più soltanto l’uomo della sensibilità affettiva, quale la musica dei deu secoli precedenti aveva manifestato, ma è un uomo dotato di autonoma coscienza morale. I movimenti di idee che, dallo Sturm und Drang al romanticismo, costituirono a poco a poco, nel trapasso tra il Sette e l’Ottocento, l’ideale della libertà umana, codificato nella filosofia kantiana, alimentarono per un misterioso processo di fertilizzazione la sua ispirazione musicale. Il titanismo prometeico, che Goethe e Schiller giovani avevano promosso, aizzando l’individuo in lotta contro la società ingiusta e contro la stessa divinità, fu vissuto da Beethoven con intensità senza pari, nell’impegno preso con se stesso di reagire coraggiosamente contro tutte le avversità della sua infelicissima vita. Per quanto si sia fatta troppa letteratura sulla sordità di Beethoven, sulla sua solitudine e sulla decisione eroica di reagire alla disperazione e di affrontare l’avverso destino, non si può prescindere da questo complesso psicologico di volontà combattiva per intendere i caratteri che fanno delle sue opere, in sostanza, la prima manifestazione musicale dell’età moderna. Essi si potrebbero compendiare, in fondo, nell’intensificazione dell’espressione, sotto tutte le forme, con tutti i mezzi a disposizione del musicista, dalla moltiplicazione degli strumenti in orchestra alla moltiplicazione delle difficoltà tecniche nell’impiego degli strumenti solistici, con conseguente arricchimento di effetti, dall’addensarsi di indicazioni espressive sempre più particolareggiate alla libertà del ritmo melodico, reso straordinariamente incisivo, dall’approfondimento dell’armonia alla tensione drammatica impressa allo schema formale della sonata.
Nella forma-sonata il genio di Beethoven si sintetizza e s’incarna con una identificazione che ricorda quella dell’Ariosto con l’ottava e quello di Dante con la terzina.”
“Nelle sonate per pianoforte (ben 13 fino al 1800) venivano intanto elaborandosi, quasi in un ideale diario segreto del musicista, i caratteri più personali della sua arte. Una di queste, l’op. 13 in do minore, soprannominata la Patetica (1798) mostra già ben chiari i segni di quella “eroica protervia” (come la definì il compositore Ferruccio Busoni) che sarà il tratto saliente della spiritualità beethoveniana nel periodo della vigorosa e ardente maturità”
La “Sonata per pianoforte n. 8 in Do minore op. 13” fu denominata “Patetica” dall’editore, con l’accordo di Beethoven. Dedicata al suo amico principe Karl von Lichnowsky, fu composta nel 1798, quando Beethoven aveva 27 anni.
“I due elementi fondamentali dell’arte beethoveniana – il dolore della vita, risentito da un animo che si fa eco dell’intera umanità e l’energia indomabile nella disperata risoluzione di affrontarlo – sono apparsi sin qui separati in manifestazioni isolate. Nel grande periodo della maturità virile dell’artista, che si inizia attorno al 1800 e coincide con le prime avvisaglie della sordità, i due elementi varcano i confini nei quali erano dapprima isolati ed entrano in fecondo contrasto, attuando appieno la concezione drammaticamente agonistica impressa da Beethoven alla forma-sonata”.
La “Sonata per pianoforte n. 14 in Do diesis minore “Quasi una fantasia”, op. 27, n. 2”, fu completata nel 1801 (Beethoven aveva 31 anni), pubblicata nel 1802 e dedicata alla contessa Giulietta Guicciardi, sua allieva. Il nome “Al Chiaro di luna” si deve al critico musicale e poeta tedesco Ludwig Rellstab, che nel 1832, cinque anni dopo la morte di Beethoven, paragonò l’effetto del primo movimento a quello della luce della luna che brillava sul Lago dei Quattro Cantoni. Nel 1837,a proposito del primo movimento di questa sonata, Hector Berlioz ebbe a scrivere: «La mano sinistra dispiega dolcemente larghi accordi di un carattere solennemente triste, la cui durata consente alle vibrazioni del pianoforte di spegnersi gradualmente su ognuno di loro; sopra, le dita inferiori della mano destra eseguono un disegno arpeggiato di accompagnamento ostinato la cui forma quasi non muta dalla prima all’ultima battuta, mentre le altre dita fanno sentire una specie di lamento, efflorescenza melodica di questa oscura armonia».
Scrive Mila: “La sonata, il celebre “Chiaro di Luna” (1801), sintetizza in tre momenti d’inconsueta disposizione gli atteggiamenti preferiti della musa beethoveniana: una tragica, glaciale desolazione; un riscuotersi soave, quasi leopardiano “risorgimento” d’affetti nella mossa vivacità della natura; un impeto tempestoso di eroismo combattivo”.
La “Sonata per pianoforte n. 23 in Fa minore, op. 57”, fu composta tra l’estate del 1804 e i primi mesi del 1805, rivista poi nel maggio del 1806, fu pubblicata nel 1807 con la dedica al conte Franz von Brunsvik.
Composta dunque in una epoca in cui era ormai definita come irreversibile la perdita dell’udito. Solo nel 1838 un editore aggiunse il nome “Appassionata”, cercando così di evidenziare il carattere drammatico della musica e del contrasto tra due stati d’animo diversi. “In questa Sonata si svolge con sempre nuova ricchezza d’invenzione il tema eroico che, intanto, trova elaborazione materialmente più cospicua nelle sinfonie”.
Nell’anno del duecentocinquantesimo della nascita, mi sembra giusto ricordare una cosa fondamentale: “Mai era accaduto per l’addietro che l’arte di un musicista si addentrasse tanto profondamente nel cuore delle passioni, degli entusiasmi degli ideali del suo tempo, che la musica partecipasse direttamente al moto delle idee, al travaglio spirituale, allo stesso divenire politico di un’età”.
La scelta di queste Sonate è anche dettata dal fatto che in questo periodo di confinamento agli “arresti domiciliari” ho potuto ascoltare o riascoltare le esecuzioni di due dei più grandi pianisti del Novecento.
Sviatoslav Richter, nato da genitori russi (il nonno paterno era tedesco) nel 1915 in una cittadina dell’Ucraina. Solo nel 1937 si iscrisse al Conservatorio di Mosca, dove ebbe come insegnante Heinrich Neuhaus.
Anche Neuhaus era nato in una cittadina ucraina (nel 1888) da genitori insegnanti di pianoforte: la mamma di origini polacche era la sorella di Felix Blumenfeld, famosissimo pianista, insegnante di Vladimir Horowitz ed era la cugina del compositore Karol Szymanowski.
Neuhaus fece una carriera concertistica e fu appunto insegnante al Conservatorio di Mosca di Sviatoslav Richter e di Radu Lupu e prima ancora di Emil Gilels, nato a Odessa nel 1916.
A 22 anni, nel 1938, Gilels vinse il festival di Bruxelles, battendo altri famosi pianisti, come Arturo Benedetti Michelangeli. Fu il primo artista sovietico ad avere il permesso di andare all’estero, anche negli Stati Uniti. Morì improvvisamente a Mosca nel 1985, poco prima dei suoi sessantanove anni, mentre stava incidendo il ciclo completo delle Sonate per pianoforte di Beethoven.
A chi lo acclamava come il più grande pianista vivente, Gilels diceva che dovevano sentire Richter prima di dirlo. Lo stesso Neuhaus (morto a Mosca nel 1964 a 76 anni) affermava e ha scritto nel suo libro “L’arte del pianoforte” Sellerio Editore, che Richter era il genio che aveva atteso per tutta la vita e che non c’era una mano migliore per suonare il pianoforte di quella di Sviatoslav Richter (morto a Mosca nel 1997 a 82 anni).
Qui le Sonate di Beethoven eseguite da Emil Gilels.
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Maggio
Pëtr Il’ič Čajkovskij nacque 180 anni fa (7 maggio 1840) in una città a mille chilometri a est di Mosca: Votkinsk dove il padre era ingegnere minerario e dove nelle ferriere locali venivano prodotte le ancore di tutta la marina russa e nel 1857 fu fabbricata la guglia (48,5 metri per una tonnellata e mezza di peso) della Fortezza di Pietro e Paolo di San Pietroburgo, progettata dal ticinese Domenico Andrea Trezzini. Per inciso, Votkinsk in anni recenti è stata un centro di costruzione di missili atomici.
La sinfonia è detta del destino, del Fato, che sembra dominare anche la nostra vita all’epoca del coronavirus.
È la sinfonia della lotta dell’uomo con il destino, e Čajkovskij descrive l’uomo, come una persona tormentata, sofferente, che vive pochi momenti di felicità (la canzone russa, la natura russa, la danza russa) e soccombe sotto i colpi del “Fato”. “In realtà la mia opera è una riflessione sulla Quinta Sinfonia di Beethoven; non ho copiato i suoi contenuti musicali, ho soltanto ripreso la sua idea centrale. […] – scrive al suo amico compositore Sergei Taneev – Lasciatemi aggiungere che non c’è una sola battuta nella mia sinfonia che io non abbia sinceramente sentito e che non sia un’eco della mia più intima vita spirituale”.
Ma in Beethoven, l’uomo diventa un eroe, un gigante, uno che lotta e domina il destino. Al contrario, in Čajkovskij l’uomo viene schiacciato dal destino.
Nel maggio del 1877, Čajkovskij chiedeva di essere sostenuto, alla baronessa Nadezda von Meck, una vedova di un uomo arricchitosi con le ferrovie, e mecenate, che per ben quattordici anni – senza mai conoscerlo di persona – corrisponderà in forma epistolare con il compositore. Čajkovskij le offriva anche la dedica di una sinfonia “che ho cominciato l’anno scorso”. La baronessa concesse subito una sovvenzione di 6.000 rubli all’anno e accettò con gioia la dedica della sinfonia: «Mi ritiene sua amica? Se Ella si sentisse di rispondere con un chiaro ‘sì ‘, mi farebbe molto piacere se la dedica sul frontespizio della Sinfonia, senza cenno alcuno al nome, potesse suonare semplicemente così: ‘Dedicata al mio amico’».
La stesura della sinfonia, che avvenne in contemporanea con la creazione di un’opera, Evgenij Oniegin, dall’omonimo romanzo di Aleksandr Puškin, andò per le lunghe poiché Čajkovskij si imbarcò nel matrimonio con una sua allieva, Antonina Miliukova. Fu l’avventura più disastrosa della sua vita: il compositore era ossessionato dai risvolti sociali della sua omosessualità (ricordo che era omosessuale anche il fratello Modest) e cercò di coprire questa situazione con un matrimonio che durò tre settimane. Dapprima si rifugiò dalla sorella Aleksandra a Kamenka (oggi Kamyanka in Ucraina), “dove riprese il lavoro all’Onegin. In settembre, ripresa a Mosca la difficile convivenza, il dramma precipitò: Čajkovskij reagì con un gesto tipico di lui, un tentativo di suicidio «naturale», compiuto scendendo nelle gelide acque della Moscòva allo scopo di prendersi un’infreddatura mortale: una specie di roulette russa, come quella che forse gli sarebbe costata la vita sedici anni più tardi, se, come pare, Čajkovskij contrasse il colera bevendo consapevolmente dell’acqua sospetta. – come scrive Daniele Spini – Ma per quella volta, Čajkovskij sfuggi alla morte: poco dopo, definitivamente separatosi dalla moglie, partiva per un lungo soggiorno all’estero: a Clarens, (Montreux) in Svizzera, e poi nelle soste in varie città d’Italia, riprese il lavoro alla Quarta e all’Onegin.” Accompagnato dal fratello Modest e da Nikolay Hermanovič Konradi, l’allievo sordomuto di cui Modest era istitutore, e Aleksej (Alioscia) Ivanovič Sofronov, il domestico personale del musicista e suo intimo, a Sanremo finisce il 7 gennaio 1878 la Quarta Sinfonia. Poi si reca a Milano dove assiste alla rappresentazione di “Ruy Blas” di Filippo Marchetti, alla prima di “Cinq-Mars” di Gounod al Teatro alla Scala, visita il Duomo che definisce “una delle cose più belle che abbia mai visto”. Poi dà l’ultimo ritocco alla Sinfonia, e spedisce la partitura completa dalla posta centrale di Milano il 10 gennaio 1878. Si ferma un giorno a Genova e torna a Sanremo alla Pensione Joly, dove il 1 febbraio completa l’Oniegin. In quel periodo, aprile 1877- marzo 1878, era in atto la guerra russo turca, al termine della quale si stabilì l’indipendenza della Bulgaria, della Romania, della Serbia e del Montenegro, e la amministrazione austriaca della Bosnia e dell’Erzegovina.
La prima esecuzione della Quarta Sinfonia ebbe luogo il 22 febbraio 1878 a Mosca per un concerto della Società Musicale Russa, direttore Nikolaj Rubinstein. Čajkovskij era a Sanremo, e ricevette un telegramma di Rubinstein e degli altri musicisti coinvolti nelle esibizioni: gli assicuravano solo che la sinfonia era stata ben suonata. Čajkovskij sospettava anche – giustamente, si è scoperto – che gli nascondessero la notizia di una tiepida accoglienza alla prima. Pochi giorni dopo, rispondendo a un telegramma di Nadezda von Meck, scriveva: «Nell’intimo, sono convinto che la Quarta sinfonia sia quanto di meglio io abbia finora composto”. “Nessuna delle mie composizioni orchestrali mi è costata tanta fatica, ma anche a nessuna ho lavorato con tanto amore”.
Sempre a Nadezda von Meck scriveva: “Mi chiedete se la musica ha un programma definito. In generale, se mi rivolgono questa domanda riguardo a una composizione sinfonica, rispondo di no. E in verità non è una domanda cui sia facile rispondere. Come è mai possibile esprimere quelle sensazioni che proviamo allorché scriviamo un’opera strumentale che non ha in sé alcun soggetto definito? E’ un processo puramente lirico, una confessione musicale dell’anima, ove pullulano tante cose e che secondo la propria essenza si riversa in suoni, appunto come il poeta lirico si effonde in versi. La nostra Sinfonia ha un programma abbastanza definito perché si possa esprimere a parole; a voi sola desidero – e posso – dire il significato dell’opera nell’insieme e nelle singole parti. Voi capirete che tenterò di farlo soltanto per sommi capi.
L’introduzione è il germe dell’intera Sinfonia, l’idea principale dalla quale dipende tutto il resto. Il tema di apertura è il Fatum, la forza inesorabile che impedisce alle nostre speranze di felicità di avverarsi; che sta in agguato, gelosamente, per impedire che il nostro benessere e la nostra pace possano diventare piene e senza nubi: una forza che, come la spada di Damocle, pende perpetuamente sul nostro capo e di continuo ci avvelena l’anima. Questa forza è ineluttabile e invincibile. Con il Moderato con anima la disperazione e la tristezza diventano più forti, più cocenti. Non sarebbe più saggio distogliersi dalla realtà e immergersi nel sogno? Oh, gioia! Alfine appare un dolce e tenero sogno. Una fulgida, soave immagine umana aleggia dinanzi a me, mi chiama. Come bello e remoto, ora, appare il primo ineluttabile tema dell’Allegro! A poco a poco il sogno avvolge l’anima. Obliata è la tristezza, la disperazione. Ecco la felicità! Ma no, era solo un sogno e il Fato ci ridesta. Così la vita è un costante alternarsi di aspra realtà, di sogni evanescenti, di fuggevoli visioni di felicità. Non vi è alcun porto. Si naviga su quel mare finché esso vi sommerge e vi fa affondare nella sua profondità. Questo, approssimativamente, è il programma del primo tempo.
Il secondo tempo esprime un’altra fase di sofferenza. È la malinconia che ci invade a sera, allorché siamo soli, stanchi del lavoro, e cerchiamo di leggere, ma il libro ci sfugge di mano. I ricordi si affollano in noi. Come sono dolci quelle memorie di giovinezza, ma come è triste che tante cose siano state e siano trascorse per sempre! Si rimpiange il passato, eppure non si vorrebbe ricominciare daccapo la vita, ci si sente troppo stanchi. E’ più piacevole riposare e rivolgere lo sguardo all’indietro, ricordando tante cose. C’erano momenti felici, quando il giovane sangue scorreva caldo e la vita esaudiva ogni nostro desiderio. C’erano anche momenti difficili, perdite irreparabili, ma sono ormai lontani. È triste e pur dolce tuffarsi così nel passato.
Il terzo tempo non esprime sensazioni definite, è piuttosto una successione di capricciosi arabeschi, quelle immagini inafferrabili che passano nella fantasia quando si è bevuto del vino e si avvertono i primi segni dell’ebbrezza. L’anima non è né gaia né triste. Non si pensa a nulla: l’immaginazione ha libero corso e comincia, non si sa perché, a tracciare strani disegni. D’improvviso si presenta allo spirito la visione di contadini un po’ brilli, una breve canzone di strada risuona. Lontano, passa un corteo militare. Le immagini sono assolutamente sconnesse, come quelle che fluttuano nella mente allorché ci si addormenta. Non hanno nulla a che fare con la realtà, sono strane, selvagge, confuse.
Il quarto tempo: se veramente non trovi motivo di gioia in te stesso, guardi gli altri. Va’ in mezzo al popolo, vedi come esso sa abbandonarsi alla gioia. Una festa rustica è descritta. Non appena però hai dimenticato te stesso in questa visione della gioia altrui, ecco che il Fato inesorabile riappare a ricordarti di te stesso. Ma gli altri sono indifferenti verso di te; non volgono neppure il capo, non ti guardano neppure, non si accorgono che tu sei solo e triste. Ah, come si divertono! E come sono fortunati di essere governati da sentimenti così semplici e immediati! Dà la colpa a te stesso e non dire che tutto il mondo è triste; esistono gioie semplici e pur forti. Allegrati nella felicità altrui e la vita sarà sopportabile. Questo, cara amica, è tutto ciò che posso dirvi della Sinfonia.
Certo, quello che ho detto non è né chiaro né compiuto. Ciò deriva dalla intrinseca natura della musica strumentale, che non si presta all’analisi particolareggiata. Dove le parole cessano, là comincia la musica; come diceva Heine». Post Scriptum: «Proprio ora, mettendo in busta la lettera, l’ho riletta e ho inorridito dinanzi al programma confuso e inesatto che vi mando. E’ la prima volta nella mia vita che ho tentato di trasportare idee e immagini musicali in parole, e non ci sono certo riuscito. Tutto l’inverno passato ho sofferto di una terribile ipocondria: la Sinfonia è un’eco veritiera di quello che provavo. Ma non è più di un’eco. Come riuscire a tradurre ciò in parole chiare e definite? Già ho dimenticato molte cose di quel periodo, ho solamente un ricordo dell’orrore e dell’intensità di ciò che provavo».
All’esecuzione di San Pietroburgo del novembre successivo del 1878, la sinfonia fu accolta meglio. La reazione alla prima nel 1890 negli Stati Uniti fu negativa. La prima britannica si tenne nel giugno 1893, diretta dal compositore, che era alla Cambridge University per ricevere un dottorato onorario, insieme a Camille Saint-Saëns, Max Bruch e Arrigo Boito (e anche a Edvard Grieg, che non fu in grado di partecipare di persona ): qui dopo ogni movimento, ci furono grandi applausi.
La sinfonia è considerata una delle migliori composizioni di Čajkovskij ed è diventata un punto fermo del repertorio orchestrale e rimane una delle sinfonie più frequentemente eseguite della fine del XIX secolo.
Un video dalle “Magnifiche Sei” direttore Vladimir Delman
Spiace che su Amazon non sia attualmente disponibile il cofanetto delle Sei sinfonie di Čajkovskij dirette da Vladimir Delman: un racconto di vita e una interpretazione delle sinfonie.
Orchestra del Teatro regio di Torino diretta da Vladimir Delman (registrazione live)
Chicago Symphony Orchestra diretta da Sir George Solti
https://open.spotify.com/track/5aG4OVK9NgC0xthCTnqr1Z?si=2ExPn5UaSIGuznZhylNNrg
Leningrad Philarmonic Orchestra diretta da Evgeny Mravinsky
https://open.spotify.com/track/1o0pibhaQDq0MfBtIBK19Z?si=W4izwMm3Q7i0_J33OwRb4Q
RIAS-Symphonie-Orchester diretta da Ferenc Fricsay https://open.spotify.com/track/4dAh8OLinf61BjVWV0CLQb?si=NdDFKBg0SwKWQHhPc3gWaw
Boston Symphony Orchestra diretta da Pierre Monteux
https://open.spotify.com/track/5mjE1XsJsgLoPWwbY7qZRv?si=ZM-QcK-WQumRxqhauOrKsQ
Philadelphia Orchestra diretta da Eugen Ormandy
https://open.spotify.com/track/3Mjr8G6RPu38z1bIc6Xlfl?si=jMU0Md_hStiLSChupC5Eew
New York Philarmonic diretta da Leonard Bernstein
https://open.spotify.com/track/0r7DjkEa8krl5qhUkwYYq6?si=k3Bn2mmiRIqx__Qs0kaTuQ
London Symphony Orchestra diretta da Igor Markevitch
https://open.spotify.com/track/1q91z5cKJ46Tmq7hCrgtK1?si=7NEngVBfT7GdhG402eJJSw
NBC symphony orchestra diretta da Guido Cantelli
https://open.spotify.com/track/3tTYLEpn2BcmLM5wPxzrIn?si=JCN5WQLrSTSUy-517yhwEg
Mariinsky Orchestra diretta da Valery Gergiev
https://open.spotify.com/track/0WaUkO8Y5pFO4ycxLJdNKG?si=CUd1_B1VQ0GCskUHOQAErw
Berliner Symphoniker diretti da Kurt Sanderling
https://open.spotify.com/track/713QAr7t8vD1Rmffzw2J9w?si=-tCUvKZ6QCmmlqi8buXWWw
Wiener Philamoniker diretti da Hermann Scherchen
https://open.spotify.com/track/5hevH9THcuCFKYQRoyksCH?si=lBxJoKgrTCOe2KtEZrH4nQ
Concertgebouworkest diretta da Antal Doráti
https://open.spotify.com/track/7qD4gtv6aGoVMCh4cJdkz9?si=lVwq9uGiQfu-84PBqRMo1w
London Symphony Orchestra diretta da Karl Böhm
https://open.spotify.com/track/3x2BAdQ72FBdsYNkib0uZd?si=Wz0gx9UZRP6-YRO5EVLRbg
Bavarian Radio Symphony Orchestra diretta da Rafael Kubelik
https://open.spotify.com/track/5iQKBEuVN7TctAVw1HEXp8?si=uJyBEKWNTSWVlqrJ-DV9EQ
Berliner Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan
https://open.spotify.com/track/5DNrHPHGWdEh6uTwXaa2vE?si=Y2Zw2eeMROyW2gWrH-9M_g
Oslo Philarmonic Orchestra diretta da Mariss Jansons https://open.spotify.com/track/1MAB1cgDHimkpSh3OHGMXD?si=QrkZCcoVTzGmNPL202gH8Q
Royal Philarmonic Orchestra diretta da Sir Thomas Beecham
https://open.spotify.com/track/5djG9p6tXMRdSICNLLMUsN?si=jwOM-4rMQWefZj6ULur10Q
Münchner Philarmoniker diretti da Sergiu Celibidache
https://open.spotify.com/album/7kUkN34yPmWkk5Vv3KymNU?si=bkf9y54iTJePuT7GUt7PZg
Wiener Philarmoniker diretti da Claudio Abbado
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Gewandhausorchester Leipizig diretta da Kurt Masur
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Aprile
In questi giorni assistiamo attoniti al freddo e triste annuncio delle persone decedute: 27.682 persone in Italia al 29 aprile, come se in pochi mesi scomparisse Assisi. In Lombardia 13.679 vittime, come se scomparisse il comune di Cassina de Pecchi o quello di Busto Garolfo.
E purtroppo questa strage avviene nella solitudine degli affetti, nella lontananza dei propri cari. Ci sembra quindi più che doveroso rivolgere il nostro pensiero a queste persone scomparse, dedicando loro il “Requiem” di Verdi.
È l’opera corale più eseguita al mondo. È il Requiem più “umano“ di tutti, a mio parere, ovvero è la composizione di un persona che ha paura della morte, che ha il dubbio di cosa ci aspetta dopo la morte. Vi è un senso angoscioso del mistero della morte, che si esprime in pagine di profonda sensibilità sulla trascendenza, e altre di disperazione, quasi a dirci che ad aspettarci, dopo la morte, non vi è nulla. È un requiem possente, che descrive la sofferenza, l’inquietudine, la angoscia, la disperazione, la paura, la speranza, il desiderio di conforto, l’aspettativa di un aiuto, la promessa e il drammatico bisogno di una certezza per il dopo. A me, ha sempre dato l’idea dell’opera di un ateo che si pone degli interrogativi sulla sua certezza che non esiste un altro mondo, e che nello stesso tempo realizza un intenso atto di profondo rispetto, di deferenza, di celebrazione della devozione verso Dio.
La morte di Manzoni, avvenuta il 22 maggio 1873 a ottantotto anni, colpì molto Verdi (aveva sessant’anni) che scrisse a Ricordi (il 3 giugno 1873): «Io pure vorrei dimostrare quanto affetto e venerazione ho portato e porto a quel grande che non è più e che Milano ha tanto degnamente onorato. Vorrei mettere in musica una Messa da morto da eseguirsi l’anno venturo per l’anniversario della sua morte. La Messa avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande orchestra ed un grande coro, ci vorrebbero anche (ora non potrei precisarli) quattro o cinque cantanti principali».
Da tempo Verdi si era ritirato dal teatro d’opera, dopo il successo dell’Aida (1871). Nel 1873 compose il Quartetto d’archi, solo nel 1887 Verdi pubblicherà l’Otello e nel 1893 il Falstaff, nel 1880 il Paternoster e l’Ave Maria, che entrarono a far parte dei “Quattro pezzi sacri” (1898).
Verdi aveva promosso nel 1869 l’organizzazione di una messa di requiem a più mani (13 compositori) per la morte di Gioachino Rossini nota come “Messa per Rossini”: venne eseguita per la prima volta solo nel 1988 quando Helmuth Rilling ha presentato la composizione a Stoccarda, in Germania.
“A Verdi, su sua stessa richiesta, fu assegnato il Libera me. Ma ben presto risentimenti, rivalità e invidie fecero naufragare il progetto e lo stesso Verdi ne dovette riconoscere l’irrealizzabilità.
Il Libera me scritto da Verdi suscitò l’entusiasmo di Alberto Mazzucato, allora direttore del Conservatorio di Milano e membro della Commissione, che espresse la sua ammirazione al Maestro. Il 4 febbraio 1871 Verdi gli rispose con una lettera in cui ringraziava degli elogi e lasciava intendere tra le righe che non gli sarebbe dispiaciuto comporre una Messa per intero. Un progetto che si fece sempre più strada nella sua mente, tanto che il 21 aprile 1873 chiese a Ricordi di restituirgli l’autografo del Libera me per cominciare a comporre il suo Requiem. Un mese dopo, il 22 maggio, morì a Milano Alessandro Manzoni e si presentò così l’occasione ideale per celebrare una figura centrale della cultura italiana, verso cui Verdi provava una sconfinata ammirazione. Il Requiem fu terminato il 10 aprile 1874”
La prima esecuzione diretta dallo stesso Verdi avvenne dunque nella chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874, nel primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni. I quattro solisti erano Teresa Stolz, soprano), Maria Waldmann (mezzosoprano), Giuseppe Capponi (tenore), Ormondo Maini(basso).
“La caccia ai biglietti fu frenetica, anche perché non si trattava solo di poter ascoltare l’esecuzione di una composizione musicale, bensì di assistere alla celebrazione di una Messa per i defunti in onore di Manzoni con musiche di Verdi e con protagonisti d’eccezione. L’esecuzione in una chiesa escludeva biglietti a pagamento, pertanto vennero organizzati biglietti invito. Ne vennero distribuiti di vari colori: bianchi e verdi per gli ospiti del Comune, rossi e turchini per gli invitati dalla Fabbrica della chiesa. Il sindaco di Milano, Giulio Belinzaghi, si accollò le spese per la realizzazione della Messa… – ha scritto Laura Nicora per il programma di sala de laVerdi nel 2013 – La chiesa era parata a lutto e i veli neri che scendevano dalle volte erano intrecciati con alloro e cipresso. Per questione di ordine pubblico vennero diramati Avvisi relativi al traffico delle carrozze: “accederanno per la Piazza di San Marco per le vie Brera, Pontaccio e Solferino, o dal ponte Marcellino per la via Borgo Nuovo”. Precisi itinerari erano previsti anche per la fine della Messa. L’inizio delle celebrazioni fu fissato per le ore undici, ma le porte della chiesa vennero aperte già alle otto del mattino…
Nei giorni successivi si moltiplicarono articoli e commenti e, come sempre, non mancarono le critiche. L’”Osservatore Cattolico” se la prese con l’arcivescovo Calabiana per aver permesso in chiesa l’esecuzione di musiche di un autore di teatro, mentre Giuseppe Mussi, che diverrà sindaco qualche anno dopo, criticò Milano che “sciupava 15.000 lire per onorare Manzoni”. Su espresso invito del Sindaco, Verdi diresse la Messa anche alla Scala. Era il 25 maggio 1874. Applausi e ovazioni non espressi a San Marco, si sfogarono in teatro con grande clamore. Sulle colonne della “Lombardia” Felice Uda scrisse: “In teatro le porte della Scala si spalancarono per lasciar passare il Maestro, fu una gioia, un applauso, un urrà […]”. L’incasso arrivò a 17.736 lire, tanto che vennero fatte anche due repliche, questa volta dirette da Franco Faccio.”
Successivamente ci furono altre sette esecuzioni all’Opéra Comique di Parigi, su invito di Camille Du Locle, amico e collaboratore di Verdi.
Nel 1875 Verdi operò una revisione al “Liber scriptus”, sostituendo il fugato del coro con un’aria per mezzosoprano ( in questo caso, per Maria Waldmann). Con la sua prima esecuzione alla Royal Albert Hall, 15 maggio 1875, questa revisione divenne l’edizione definitiva. George Bernard Shaw fu un grande ammiratore della prima esibizione a Londra e fece suonare il “Libera me” al suo funerale. Franz Liszt trascrisse l’Agnus Dei per pianoforte solo (S. 437).
Nel 1897 Verdi regalò la partitura autografa della Messa da Requiem a Teresa Stolz, che lo assistette anche nel momento della sua morte, nella notte tra il 26 e 27 gennaio 1901 nella stanza 105 dell’Hotel et de Milan. La prima pagina reca la dedica autografa: “A Teresa Stolz / interprete prima / di questa composizione / G. Verdi / S. Agata / Dicembre 1897”. Oggi queste carte sono conservate nella Biblioteca Teatrale “Livia Simoni” presso il Museo Teatrale alla Scala, cedute nel dopoguerra dagli eredi della cantante
Dal 2000 laVerdi ha introdotto la tradizione di eseguire ogni anno il “Requiem” di Verdi. In quell’anno con laVerdi, sotto la direzione del Maestro Riccardo Chailly, all’Auditorium di Milano, con il Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, diretto da Romano Gandolfi, vi erano Ines Salazar (soprano), Daniela Barcellona (mezzosoprano), Peter Dvorski e poi Marcello Giordani ( tenore), Orlin Anastasov e poi Ildar Abdrazakov (basso).
Nel disco “Verdi: Messa solenne” pubblicato dalla Decca di Londra, con laVerdi – orchestra e coro – diretta da Riccardo Chailly, vi è una stupenda esecuzione del “Libera me Domine” della Messa di Rossini, eseguita di Cristina Gallardo-Domâs. Si trova su Amazon.
Sempre su Amazon si trova un “Verdi Discoveries” realizzato da laVerdi con la Decca di Londra, con 4 prime esecuzioni assolute: direttore Riccardo Chailly e al pianoforte Jean-Yves Thibaudet.
Orchestra e Coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, Riccardo Chailly, Cristina Gallardo-Domâs (1869 versione: Libera me Domine)
https://open.spotify.com/track/3XxiIPSFxVCPqRTeYOcoFS?si=dDDwuOOXRfyxdQ8d2CZN6A
https://open.spotify.com/album/5KgseNBhqewZ46OCP6UDff?si=AVv0CQJ6RQy4VeTAaoBvDg
Messa da Requiem
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala, Victor De Sabata, Renata Tebaldi, Nell Rankin, Giacinto Prandelli, Nicola Rossi Lemeni
https://open.spotify.com/album/3iTolE3MDB9BSwpl8k8fPZ?si=w8VsOEeYR2OVfOT3qoQQQA
Orchestra e Coro dell’Opera di Roma, Tullio Serafin, Maria Caniglia, Ebe Stignani, Beniamino Gigli, Ezio Pinza
https://open.spotify.com/album/4gxBHnjS5XGXRfSGoZ4BFS?si=E1MVuTHHST2GMQRCaYXgxw
NBC Symphony Orchestra con Arturo Toscanini, Herva Nelli, Fedora Barbieri, Giuseppe Di Stefano, Cesare Siepi, Robert Shaw Corale
https://open.spotify.com/album/3KCHlE6E9ZU7HVvz5Sf0i1?si=rYMByudCTomzkHGVX6YikQ
Berliner Philamoniker, Herbert von Karajan, Mirella Freni, Christa Ludwig, Carlo Cossutta, Nicolai Ghiaurov, Wiener Singverein
https://open.spotify.com/album/7mH2fIZQUZhkoXb1REdt5S?si=9mCUZvPqTPyzDrw3ucvtkw
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala, Riccardo Muti, Cheryl Studer, Dolora Zajick, Luciano Pavarotti, Samuel Ramey
https://open.spotify.com/album/5syXNRXTKBMT2tv9KCR7oa?si=-KJD64_qS9WjF-oHyZKAXw
Wiener Philarmoniker, Claudio Abbado, Cheryl Studer, Marjana Lipovšek, José Carreras, Ruggero Raimondi, Konzertvereinigung WienerStaatsopernChor
https://open.spotify.com/album/1XaC3xBAnXxc08TzyrT03t?si=xITazk6gRuC5zxaMae2Mxw
Wiener Philarmoniker, Sir George Solti, Dame Joan Sutherland, Marilyn Horne, Luciano Pavarotti, Martti Talvela, Vienna State Opera Chorus
https://open.spotify.com/album/1AxJ4lptsX0Oy3Wg2BQsoo?si=W3ifxlrfQTuDDNRizOp3mQ
Wiener Philamoniker, Fritz Reiner, Leontyne Price, Rosalind Elias, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Wienre Singverein,
https://open.spotify.com/album/6n7ZKSYfM0V3b88uZJodYc?si=jS8-V4e_Rw6nJv6gokJcmQ
London Symphony Orchestra and Chorus , Leonard Bernstein, Martina Arroyo, Josephine, Veasy, Placido Domingo, Ruggero Raimondi,
https://open.spotify.com/album/47q9EokOBqnRE6z85RYjbf?si=uiU5qiDUSvWjkkdHy0nwGA
Rundfunk-Sinfonieorchestre Laipzik SGiuseppe Patanè, Ljiljana Molnar-Talajic, Margarita Lilova, Luigi Ottolini, Bonaldi Giaiotti,
https://open.spotify.com/album/6v3hDoO3oYmeiLBIlMc8aK?si=ySmJL278SeugJfQsjQ17SQ
The Philarmonia Orchestra and Chorus, Carlo Maria Giulini, Dame Joan Sutherland, Fiorenza Cossotto, Luigi Ottolini, Ivo Vinco
https://open.spotify.com/album/6BpbFDullpNgRkHjDhjfKf?si=vPANMR57RLCrdnKaQErY7Q
Rias Symphonie-Orchester, Ferenc Fricsay, Maria Stader, Marianna Radev, Helmut Krebs, Kim Borg, Rias Kammerchor Chor der St. Hedwigs- Kathedrale Berlin
https://open.spotify.com/album/6gmRb7PYcHwrSfP1Jisuaw?si=9Zy-WeePSJy1DMdQU_1oSw
Prima pagina del Requiem con la dedica a Teresa Stolz
Luigi Premazzi Veduta della facciata della chiesa di San Marco – 1837 Olio su tela, 60 X 74, 5 cm (Collezione Intesa San Paolo)
Ritratto di Alessandro Manzoni – Francesco Hayez, 1841 Olio su Tela cm 120 × 92,5 Pinacoteca di Brera
Marzo
Per questo mese di marzo mi sembra che la musica e le parole giuste, siano “You’ll never walk alone” “Tu non camminerai mai sola/solo” oppure “Voi non camminerete mai sole/ soli”.
Quelli che amano il calcio lo conoscono perché è l’inno della squadra del “Liverpool Football Club” e, anche per chi non ama il calcio, sentire lo stadio Anfield, o per meglio dire la Kop, cantare questa canzone è una cosa veramente emozionante. La Kop è una parte dello stadio occupato dai tifosi del Liverpool e prende il nome dalla battaglia di Spioenkop, (una collina in Sudafrica, oggi nella provincia di KwaZulu-Natal) dove, nella seconda guerra boera, morirono oltre 300 uomini del Reggimento del Lancashire, molti dei quali provenienti da Liverpool. Dalla Kop, viene incessante il coro che sostiene, nei momenti buoni e in quelli cattivi, la propria squadra.
Questa appropriazione della canzone iniziò nel 1963, quando un gruppo di Liverpool, i “Gerry and the Pacemakers”, lo registrarono per primi in Europa.
Ci sono tante registrazioni: Frank Sinatra, Barbra Streisand, Judy Garland, Elvis Presley, Nina Simone, Mario Lanza, Tom Jones, e tanti, tanti altri. Renèe Fleming – con la quale per il cd “Verismo” laVerdi ha vinto un Grammy Award – cantò questa canzone al “Concerto per l’America” nel primo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle e ancora il 20 gennaio 2009 per l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca. Nel finale del brano Fearless, terza traccia dell’album Meddle (1971) dei Pink Floyd, compare “You’ll Never Walk Alone” cantata dal Kop.
Questa canzone era in un musical di Broadway, che era la rivisitazione di una opera teatrale ungherese “LIliom” (Giglio) di Ferenc Molnár, l’autore de “I ragazzi della via Pál”. L’opera teatrale debuttò a Budapest nel 1909 e venne rappresentata nel 1921 a New York, nel 1926 a Londra.
Nel 1940 a New York, dove Molnár si era trasferito per sfuggire al nazismo, venne rappresentata per 56 recite con la regia di Benno Schneider, con Burgess Meredith, Ingrid Bergman, Elia Kazan.
In Italia venne rappresentata nel 1922, nel 1923, nel 1935, nel 1950, nel 1951: si cimentarono con questo testo Gualtiero Tumiati, Guido Salvini, Renzo Ricci, Laura Adani, Orazio Costa, Nino Manfredi, Elena Da Venezia, Tino Buazzelli, Bice Valori, Paolo Panelli, Fantasio Piccoli, Romolo Valli, Valentina Fortunato, Adriana Asti.
Alla radio, con la CBS, Orson Welles la propose nel 1939 con Helen Hayes.Il 14 gennaio 1955 la radio italiana la trasmise, regia di Anton Giulio Majano, con la musica di Nino Rota, con interpreti Massimo Girotti, Mila Vannucci e Arnoldo Foà. Due edizioni televisive nel 1955 (regia di Alessandro Brissoni) con Giorgio Albertazzi e Bianca Toccafondi, nel 1968 (regia di Eros Macchi) con Paolo Ferrari, Ileana Ghione, Lina Volonghi. Tre edizioni cinematografiche nel 1921, nel 1930, e infine nel 1934 con la regia di Fritz Lang.
Nel 1945, il 19 aprile, debuttò al Majestic Theatre di Broadway, il musical “Carousel”, una riscrittura di Liliom, ambientata adesso nel Maine, nel New England, fra il 1873 e il 1888: rimase in scena per 890 recite fino al 24 maggio 1947, e dopo lo spettacolo venne portato in tournée per due anni (cinque mesi solo a Chicago) per un totale di due milioni di spettatori.
Le parole sono di Oscar Hammerstein II e la musica di Richard Rogers. Questo era il secondo musical del team Rodgers-Hammerstein, dopo il il grandissimo successo di “Oklahoma”. I due erano una macchina di successi e nella loro carriera, vinsero 37 Tony Award, (gli oscar per i musicals), 15 Oscar, due premi Pulitzer e due Grammy e 2 Emmy Awards. Tanto per citarne uno: “The sound of music” ( che in Italia suonava “Tutti insieme appassionatamente”) ebbe l’Oscar nel 1966.
Da “Carousel” spiccarono il volo alcuni brani come “The Carousel Waltz” (strumentale), “If I loved you”, “June is bustin’ out all over” e “You’ll never walk alone.
Nel 1956 Henry King ( uno dei trentasei fondatori dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, nata nel 1927 e che istituì nel 1929 il premio Oscar) diresse l’adattamento cinematografico con Gordon MacRae nel ruolo di Billy, Shirley Jones in quello di Julie e Cameron Mitchell in quello di Jigger. Inizialmente nel ruolo di Billy ci doveva essere Frank Sinatra, che non accettò per raggiungere Ava Gardner in Africa. Una versione concertistica è stata presentata dalla New York Philarmonic Orchestra alla Avery Fisher Hall nel 2013. (28 febbraio-2 marzo).
La canzone è messa nel secondo atto di “Carousel” quando la protagonista rimane vedova a causa del suicidio del marito e nel finale quando la figlia sta affrontando la laurea
“You’ll never walk alone”
When you walk through a storm
Hold your head up high
And don’t be afraid of the dark
At the end of a storm
There’s a golden sky
And the sweet silver song of a lark
Walk on through the wind
Walk on through the rain
Though your dreams be tossed and blown
Walk on, walk on
With hope in your heart
And you’ll never walk alone
You’ll never walk alone
Walk on, walk on
With hope in your heart
And you’ll never walk alone
You’ll never walk alone
Quando cammini attraverso una tempesta
Mantieni la testa alta
E non avere paura del buio
Alla fine della tempesta
C’è un cielo dorato
E il dolce canto argentato di un’allodola
Continua a camminare attraverso il vento
Continua a camminare attraverso la pioggia
Anche se i tuoi sogni verranno scossi e spazzati via
Va avanti, va avanti
Con la speranza nel cuore
E Non camminerai mai solo
Non camminerai mai solo
Va avanti, va avanti
Con la speranza nel cuore
E Non camminerai mai solo
Non camminerai mai solo
Gerry & Pacemakers
https://open.spotify.com/track/6fSNK6QlZskYmKTvJnNH5P?si=YSwZtZ9-QluTTBre6RlOUg
Frank Sinatra
https://open.spotify.com/track/0wkp0bBmPoqRJ1kocudWCc?si=7MmCATeNRWKIiTeBcrPnsQ
Mario Lanza
https://open.spotify.com/track/0wkp0bBmPoqRJ1kocudWCc?si=6GAwPCUYQviLuX9nasenng
Barbra Streisand
https://open.spotify.com/track/6m2ospH0LIcYLzNHBoHKGb?si=LJ9JlZgFTj-W4YwgcyPBuw
Elvis Presley
https://open.spotify.com/track/1t4ay4ixXd8YthFfyQhjWr?si=Y5OyRfEOS-qdv0w909z9Gg
Judy Garland
https://open.spotify.com/track/4YONBXOgRKjZQnf4pTh8Hu?si=VvM4buQuSrGsqzN4X6d7sg
Nina Simone
https://open.spotify.com/track/3hcciCLv6inbh01uW0JvN8?si=Dn7JW9FJSJa98mcWvTJe-A
Shirley Jones, Claramae Turner
https://open.spotify.com/track/1ugBXhwqhNSnO4SfAOC4MS?si=sUo73CTaQnq6Bj50LbhYLQ
Mahalia Jackson
https://open.spotify.com/track/5ShXX6ydPNpr7Ja5yTKFir?si=WehXAdF2SGuD02ApPsVqkg
Louis Armstrong
https://open.spotify.com/track/3KI7crCjLnRTi8EGIlKWui?si=9gJ1ewytTI6O2wKiASuTcg
Renée Fleming
https://open.spotify.com/track/5G4ckwbyPVeeyyeIXsiqJ5?si=XMvnzz6ASDW87kNQdUCLZQ
Carousel Broadway Cast 2018
https://open.spotify.com/album/4m8Gq0cbMFRgODTAzGUcPG?si=TZKKX5wDS7e2iC07s_N3Tg
Kop Choir
https://youtu.be/PYiQGDrq7B8
Tom Jones
https://youtu.be/BEgtX1RgIeA
Renée Fleming The Obama Inaugural Celebration at the Lincoln Memorial
https://youtu.be/v2L_BQ666pk
Renée Fleming Concert for America
https://youtu.be/dab6ndwVjaU
Jessye Norman
https://youtu.be/709TjFmoKAs
Doris Day
https://youtu.be/Pimv-Gq2FCk
Febbraio
Ci sono più circostanze che spingono, in questo periodo, a parlare di questo brano. L’autore morì, a 86 anni, ad Algeri, dove viveva da alcuni anni, si dice di polmonite (altri per il vero dicono per infarto). Personaggio con una vita molto interessante, scrisse questa ”grande fantasia zoologica” per il martedì grasso del Carnevale 1886, da eseguire in privato. E in effetti Saint-Saëns proibì di eseguire in pubblico quest’opera prima della sua morte. Compose l’opera in febbraio in un paesino dell’Austria al termine di una lunga tournée, da pianista. Scrisse al suo editore che sapeva che avrebbe dovuto lavorare alla sua terza sinfonia, ma che era preso da un brano per il Carnevale, che era “così divertente” (“…mais c’est si amusant! “).
Il lavoro fu presentato per la prima volta il 9 marzo 1886 a casa del violoncellista Charles Lebouc e poi eseguito il 2 aprile 1886 sempre in forma privata a Parigi, a casa della cantante Pauline Viardot, presente anche Franz Liszt. Si noti che in quello stesso anno, Saint-Saëns stava componendo la sua Terza sinfonia, dedicata all’amico Franz Liszt, che morì quello stesso anno, due mesi dopo la prima dell’opera: commissionata dalla Royal Philarmonic Society, venne eseguita per la prima volta a Londra, diretta dal compositore stesso, il 19 maggio 1886 a St. James’s Hall.
La prima esecuzione pubblica del “Carnevale degli animali” si svolse il 26 febbraio 1922 a Parigi, sotto la direzione di Gabriel Pierné, quindi un anno dopo la morte del compositore. Pierné era un famoso direttore d’orchestra dell’epoca: diresse dal 1910 al 1934 una prestigiosa orchestra sinfonica, l’orchestra Colonne.
Solo il pezzo intitolato “Le Cygne” fu escluso dal divieto di esecuzione e divenne ben presto il cavallo di battaglia di generazioni di violoncellisti. Certamente, magari senza sapere il titolo e l’autore, moltissimi hanno sentito “il Cigno” di questa suite, che è diventata una delle opere più famose.
Non voleva l’esecuzione del Carnevale finché era vivo perché veniva meno la sua immagine di autore “serio”. Ed in effetti è un’opera parodistica, in cui prende in giro un sacco di persone. Composta con un organico particolare (2 pianoforti, flauto (anche ottavino), clarinetto, glockenspiel, xilofono, 2 violini, viola, violoncello, contrabbasso), quindi con un piccolo organico, viene di solito eseguita per i bambini, insieme a “Pierino e il lupo” di Prokofiev e/o a “Guida all’orchestra per i giovani” di Britten. In realtà, a mio parere questi brani dovrebbero stare nei programmi sinfonici principali.
Con l’aiuto anche di Piero Santi, Repertorio di musica sinfonica, 1989, Ricordi Giunti, vediamo i singoli brani.
Nel primo (Introduzione e marcia reale del leone) i due pianoforti intensificano convenientemente la solenne gravità dell’incedere marziale di tutti gli strumenti.
Nel secondo (Galline e galli) clarinetto, pianoforti, violini e viola danno vita a un chiocciare burlesco, memori delle musicali onomatopee di Rameau (compositore dell’inizio Settecento francese).
Nel terzo (Ermioni, cavalli tartari) i due pianisti si trovano impegnati in passi di velocità, volti a satireggiare certi virtuosi della tastiera.
Il quarto brano (Tartarughe) è scritto alla maniera di Offenbach, mimando la quadriglia di Orfeo all’inferno (il can-can in versione lenta) e citando un altro motivo dello stesso autore.
Nel quinto brano (Elefante) il contrabbasso, fa da protagonista, ostentando una certa sua grazia ( un valzer) con citazioni dalla Danza delle Silfidi (creature leggiadre e graziose della mitologia), dalla Dannazione di Faust di Berlioz, di spunti dalle musiche di scena per il Sogno di una notte d’estate di Mendelssohn, e dell’Aria da ballo di Meyerbeer.
Nel sesto brano (Canguri) il pianoforte solo descrive i salti dei canguri, in un mondo lontano di fantasia e di mistero.
Nel settimo brano (Acquario) pianoforti, flauto, celesta e archi suscitano atmosfere inconsuete, trasparenti come in Ravel: archi e pianoforte descrivono le bollicine.
Nell’ottavo brano (Personaggi dalle lunghe orecchie) si percepisce bene, hi-ho, il raglio degli asini, che sono i critici musicali, di cui si satireggia la presunzione saccente.
Nel nono brano, (Il cucù nel bosco), il clarinetto descrive il canto nel fitto del bosco, descritto dall’incedere lento del pianoforte.
Nel decimo brano (Voliera), il flauto, insieme a pianoforte e archi, descrive il volo degli uccelli, il canto, il frullio delle ali.
Nell’undicesimo brano, (Pianisti) vi è una parodia dei pianisti dilettanti, alle prese con lo studio, con tanto di note false e di sfasature dell’orchestra.
Nel dodicesimo brano (Fossili), i fossili (ovvero i critici musicali, vecchi e antiquati come appunto i fossili) sono riprodotti dal suono secco dello xilofono e dalle citazioni della Danza macabra di Saint-Saëns, dell’aria di Rosina dal Barbiere di Siviglia di Rossini, di motivi popolari J’ai du bon tabac, Partant pour la Syrie, Ah, vous dirai-je maman.
Il violoncello solo canta nel penultimo brano (Il cigno) la celeberrima melodia assunta dal coreografo Mikhail Fokine quale musica per un famoso assolo destinato alla danzatrice Anna Pavlova (evocando la morte del sublime animale) e diventando un emblema stesso del balletto. Pavlova morì di pleurite a L’Aia nel 1931 all’età di cinquant’anni: le cronache dicono che la sera della sua morte, i violini dell’orchestra del teatro Mariinsky di San Pietroburgo suonarono la Morte del Cigno, mentre un faro era puntato sul palcoscenico vuoto.
Infine nel quattordicesimo brano (Finale), vi è una sorta di passerella musicale, ove sfilano in grande allegria, come in un circo, gli animali fin qui esibiti: e gli ultimi sono gli asini, come dire che, con i loro ragli, agli stupidi spetta l’ultima parola. In realtà, gli asini sono molto più intelligenti di quanto si dica e si descriva: a mio parere, certamente più di moltissimi umani.
Anche in questi tempi gravi e grami, buon Carnevale: divertitevi !
Le cygne Mischa Maisky con Orpheus Chamber Orchestra
https://open.spotify.com/track/6IOSF3p9byD5l3R9fZUcH9?si=sWNaD5qsQWO0r8F0K_VwaA
Le cygne: ( per violoncello e due pianoforti) Mischa Maisky, Martha Argerich, Nelson Freyre
https://open.spotify.com/track/6QUJT4p3xdW8fZrAK9DIMk?si=RfZAvkqZTpyYf72bg9J3iA
Leonard Bernstein con la New York Philarmonic
https://open.spotify.com/album/0cAofkvFeJLgRgjeZ0d2fx?si=vHLb8QlrQe6kXf4sxRuP7A
Narrato da Leonard Bernstein
https://open.spotify.com/album/466joyyDvqt4nO9he999mI?si=BRC_Uko5QnCU6LXw-sEsKQ
Philarmonia Orchestra con Igor Markevitch
https://open.spotify.com/album/2pQiLWhK8QDZt8NSoR0qC0?si=zjRbm78rSay2xtM7KJQQXg
Gennaio
Quest’anno, il 16 dicembre, ricorre il 250° anniversario della nascita a Bonn di Ludwig van Beethoven. E noi apriamo l’anno con il suo unico concerto per violino composto quando aveva trentasei anni.
Beethoven aveva composto nel 1802 le tre Sonate per violino e pianoforte dell’opera 30 e le due romanze per violino e orchestra: la “Romanza n°2 in Fa maggiore op.50” fu conosciuta dagli italiani, negli anni 70, nella versione di James Last, come la colonna sonora della pubblicità del brandy Vecchia Romagna, etichetta nera, il “brandy che crea un’atmosfera”, che oggi usa “Libertango” di Astor Piazzolla.
Nel 1803 compose la grandiosa Sonata n. 9 “Kreutzer” per violino e pianoforte. In poche settimane nell’autunno del 1806, Beethoven compose il suo unico Concerto per violino e orchestra: esso è, dunque, contemporaneo del concerto per pianoforte e orchestra n° 4 in sol maggiore, dei tre Quartetti op. 59 (i «Razumowsky») e della Quarta Sinfonia, op. 60. In quell’anno compose anche i primi due movimenti della Quinta Sinfonia e fece la seconda edizione del “Fidelio” con il titolo “Leonore”.
Il concerto per violino e orchestra era dedicato a Stephan von Breuning, un amico d’infanzia del compositore, dai tempi di Bonn, che aveva revisionato il libretto del Fidelio. La diffusione e il successo del concerto per violino si deve a Felix Mendelssohn, al quale si deve anche la riscoperta e la valorizzazione della “Passione secondo Matteo” di Johann Sebastian Bach. Mendelssohn nel 1844, ben diciassette anni dopo la morte di Beethoven, diresse la London Philharmonic Society con l’allora dodicenne violinista Joseph Joachim, il quale, dieci anni dopo, ne avrebbe dato un’altra memorabile interpretazione a Düsseldorf, insieme con un altro direttore d’eccezione, Robert Schumann. Da allora, è stata una delle opere più eseguite del repertorio per violino e orchestra.
Il Concerto in re op. 61 fu eseguito per la prima volta, poco tempo dopo che Beethoven ne aveva ultimato la composizione, il 23 dicembre 1806: solista era il celebre virtuoso Franz Clement, (ventiseienne all’epoca della composizione, nonché direttore al Theater an der Wien), ammiratissimo da Beethoven che gli aveva indirizzato il Concerto con un curioso giuoco di parole («Concerto per Clemenza pour Clement»). Pare che il Clement non avesse preso il concerto beethoveniano in gran conto, tanto che suonò ( alcuni dicono tra il primo e il secondo movimento, altri alla fine ) una Sonata di sua composizione, su un violino con una corda sola, per di più imbracciato capovolto.
Le critiche non furono cordiali. Scriveva la «Zeitung für Theater» dell’8 gennaio 1807: «È opinione unanime fra gli intenditori che [il Concerto] non manchi di bellezze, ma che nell’insieme appaia del tutto frammentario e che le infinite ripetizioni di passaggi banali possano facilmente ingenerare monotonia».
Il pubblico non lo prese bene e il brano fu presto dimenticato. Dietro richiesta di Muzio Clementi, Beethoven realizzò l’anno seguente, una trascrizione per pianoforte, pubblicandola nel 1808 contemporaneamente alla partitura originale per violino. Ma per decenni il concerto fu scarsamente eseguito.
Qui segnaliamo:
Jascha Heifetz, con la NBC Orchestra diretta Arturo Toscanini
https://open.spotify.com/album/1FUK16T70WI7xYCW1TCtjh?si=9yEpvcfHRiekL6GgPHv0Jg
Joseph Szigeti con la New Philarmonic Orchestra diretta da Bruno Walter
https://open.spotify.com/album/4l7h2H52aXyMhls71bZyxn?si=2YaxH3IyS_WxPAvxT_ayYg
Zino Francescatti con la Columbia Symphony Orchestra diretta da Bruno Walter
https://open.spotify.com/album/46d79HDkzMyVtzKLF59GHM?si=CK1ZyqVxTESCQnEpy4w8Mg
Mischa Elman con la London Philarmonic Orchestra diretta da Sir George Solti
https://open.spotify.com/album/3WaRFd1prVqEeiBosGXAAh?si=Aj2gMuOpQBSfaugeP_Wv9A
Anne-Sophie Mutter con i Berliner Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan
https://open.spotify.com/album/2mGui9Kkdq2lym2QxrdrL3?si=EMmUAfKdQ1SSwn5XJpgFZg
Itzhak Perlman con la Philarmonia Orchestra diretta da Carlo Maria Giulini
https://open.spotify.com/album/3YKJH8RfFgHn0t5PxSIjNa?si=mA1kYQTPTru_WYApKer-gQ
Vadim Repin con i Wiener Philarmoniker diretti da Riccardo Muti
https://open.spotify.com/album/5GLH37zGL6yhyiC346f6Ae?si=SjcqsLZrRQmqJYzo4-9fgQ
Violin Romance n° 2 in F Major op. 50.
David Oistrach Royal Philarmonic Orchestra, Eugene Goossens
https://open.spotify.com/track/32juQmS3RztC0t3WrYR9T6?si=ym7OLA3xRyCb_zKZ1HHDYA
Dicembre
Nella vita almeno una volta si deve ascoltare la Settima sinfonia di Beethoven, tanto più che l’anno prossimo è il duecentocinquantesimo anniversario della nascita. Lo stesso Beethoven la definì “uno dei prodotti più felici dei miei poveri talenti”.
“La Settima sinfonia fa parte delle grandi sinfonie dispari (3-5-7-9) caratterizzate dal loro vigore, dalla loro tensione, dal loro ritmo, in opposizione alle sinfonie pari (2-4-6-8) più melodiche e distese. La Settima è indiscutibilmente la più ritmica delle sinfonie” scrive Michel Lecomte in “Guide illustré de la musique symphonique de Beethoven. Fayard 1995”
Beethoven iniziò a dare corpo alla settima sinfonia a Teplitz-Schönau, oggi Teplice – una città termale in Boemia, vicina al confine con la Germania – dove Beethoven seguiva una cura per il suo udito nel 1811. Qui, fra l’altro, Bettina Brentano – la sua figura è al centro del romanzo “Immortalità” di Milan Kundera – organizzò quattro incontri tra Beethoven e Goethe (19-23 luglio). Ma è solo durante l’inverno 1811-1812 che Beethoven realmente si dedica alla Settima Sinfonia, che sarà completata il 13 marzo 1812.
Sono passati quattro anni dalla esecuzione (22 dicembre 1808) della Quinta, della Sesta Sinfonia “Pastorale” : nello stesso concerto furono eseguite la Fantasia corale, il Concerto per pianoforte n. 4, la Fantasia per piano solo op. 77 ed estratti della Messa in Do maggiore.
Tra il 1809 e l’inizio della composizione della nuova sinfonia, Beethoven aveva portato a termine i due Trii op. 70, il Trio op. 97, la Sonata per pianoforte op. 78 e quella op. 81a (detta L’adieu, l’absence et le retour), il Quartetto op. 74 e quello op. 95, il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra, le musiche di scena per la tragedia Egmont di Goethe.
La prima esecuzione ebbe luogo mercoledì 8 dicembre del 1813 nella sala grande dell’Università di Vienna per un concerto di beneficenza – organizzato da Johann Nepomuk Mälzel, l’inventore del metronomo e di cento altri congegni d’orologeria musicale e affini – a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di Hanau (30-31 ottobre) che l’esercito confederale aveva combattuto contro i francesi nel tentativo di tagliare la ritirata a Napoleone dopo la disfatta di Lipsia.
II concerto era una manifestazione patriottica; e il suo pezzo forte non fu la Settima bensì un pezzo “militare” in due parti composto da Beethoven in ottobre per celebrare il trionfo di Wellington sull’esercito francese in Spagna, presso la città di Vitoria, il 21 giugno 1813, e appunto intitolato “Wellingtons Sieg oder die Schlacht bei Vitorìa”, cioè “La Vittoria di Wellington nella battaglia di Vitoria”, un pezzo contro l’odiato Napoleone che aveva occupato Vienna nel 1805 e nel 1809.
La sordità di Beethoven si era ancora aggravata e lo ostacolava molto nella direzione d’orchestra, ma non lasciava a nessun altro di dirigere la sua musica. Il suo amico musicista Ludwig Spohr racconta di quella prima esecuzione: “Il meraviglioso secondo movimento (della settima sinfonia) ha sedotto il pubblico. L’interpretazione fu assolutamente magistrale, malgrado la direzione d’orchestra di Beethoven, confusa e comica allo stesso tempo. Ci si accorgeva chiaramente che il povero maestro quasi totalmente sordo non sentiva più i passaggi “piano” della sua musica. … Così senza rendersene conto, Beethoven era 10 o 12 battute avanti dell’orchestra. Durante il “crescendo” seguente, nel momento in cui, secondo lui il “forte” doveva cominciare, ha sollevato le braccia facendo un balzo. Siccome non si sentiva nessun “forte”, Beethoven si guardò attorno a lui con una aria inquieta e fissò astiosamente l’orchestra, che attaccava solo adesso il “pianissimo”. Non comprese ciò che stava davvero accadendo quando tutto a un tratto spuntò il “forte” che egli non si aspettava più”.
Il successo fu enorme e l’Allegretto dovette essere bissato.
La Sinfonia suscitava entusiasmi e sconcerto: Carl Maria von Weber disse che Beethoven era maturo per il manicomio, salvo poi dirigere una esecuzione della sinfonia a Londra nel 1826. Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann) lo definì il lavoro di un ubriacone. A Parigi nel 1829 una rivista musicale definì il finale della Sinfonia «una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire soltanto da una mente sublime e malata». Wagner ne fa una esaltazione: « Questa Sinfonia è l’apoteosi stessa della danza, è la danza, nella sua essenza più sublime».
La Settima sinfonia è dedicata al Conte Moritz von Fries, ricco banchiere, amante della musica, a cui erano stati dedicati il “Quintetto op.29” e due Sonate per violino, fra cui la celebre sonata “La primavera”. Il Conte Moritz sovvenzionerà Beethoven fino al 1825, quando andò in bancarotta.
Vale la pena ricordare alcuni avvenimenti del 1813.
Nella battaglia di Vitoria nei Paesi Baschi (21 giugno 1813) Sir Arthur Wellesley, primo duca di Wellington, alla guida delle truppe inglesi con i suoi alleati portoghesi e spagnoli battono l’esercito francese guidato da Giuseppe Bonaparte, già re di Napoli e della Sicilia (1806-1808), andando verso la vittoria finale nella guerra di indipendenza spagnola.
Napoleone, nella battaglia di Lipsia (16 -19 ottobre) detta “la battaglia delle nazioni”, viene sconfitto dalla coalizione antifrancese (Russia, Prussia, Gran Bretagna e Austria), ed è costretto a ritirarsi inseguito dagli eserciti alleati che in dicembre invadono la Francia.
Nel 1813 nascono David Livingstone (esploratore scozzese dell’Africa), Søren Kierkegaard (filosofo danese), Richard Wagner, Giuseppe Verdi.
A Londra viene fondata la Philharmonic Society; viene pubblicato anonimo “Orgoglio e Pregiudizio” di Jane Austen.
Lord Byron scrive il breve poema “She walks in Beauty”
Madame de Staël pubblica a Londra “De l’Allemagne” e a Berlino “Réflexions sur le suicide”.
In Svezia Jöns Jacob Berzelius, uno dei padri della chimica moderna, dà il nome agli elementi chimici.
A Pisa viene fondata la Scuola normale superiore.
Ugo Foscolo lavora a Firenze intorno a “Le Grazie” e a Bologna viene rappresentata la sua tragedia “Ricciarda”
Alla Fenice a Venezia ( 6 febbraio 1813) va in scena “Tancredi” e poi al Teatro San Benedetto di Venezia (22 maggio) va in scena “L’italiana in Algeri” di Gioacchino Rossini.
In Europa si diffonde il valzer.
Muoiono Robert Livingston (uno dei membri della commissione dei cinque che stilarono la dichiarazione di indipendenza americana), Joseph-Louis Lagrange (grande matematico italiano), Mikhail Kutuzov (il generale russo, a cui è dedicato un monumento sulla Prospettiva Nevskij a San Pietroburgo e ricordato anche da Tolstoj in “Guerra e Pace”), Carl Theodor Körner (poeta tedesco, morto nelle battaglia antinapoleonica di Lipsia e a cui Manzoni dedicò l’ode “Marzo 1821”), Giambattista Bodoni (stampatore noto per i caratteri tipografici da lui creati). A Weimar muore Christoph Martin Wieland.
In Serbia, l’Impero Ottomano riprende il controllo del Paese, di cui nel 1810 avevano riconosciuto l’autonomia.
Si conclude la guerra tra Russia e Persia, quest’ultima deve cedere la Georgia, il Dagestan e la costa occidentale del Mar Caspio.
Il re della Cambogia Ang Chan ritorna in patria e sconfigge i ribelli sostenuti dai siamesi, grazie all’aiuto dell’Imperatore del Vietnam Gia Long.
La guerra tra Stati Uniti e Gran Bretagna prosegue con fasi alterne.
Negli Stati Uniti, James Madison (quarto presidente) inizia il suo secondo mandato.
In Messico, viene proclamata l’indipendenza e Morelos, a capo di un esercito contadino, viene nominato capo del governo.
In Venezuela, Bolivar conquista Caracas.
Ci sono tanti modi di interpretare la Settima Sinfonia. Ecco una selezione:
Philarmonia Orchestra diretta da Guido Cantelli
https://open.spotify.com/album/6rHOXRVlCkTqHfT7N3anVF?si=FERKQJHZTgaSYOluuLd4ZA
Royal Concertgebouw Orchestra diretta da Erich Kleiber
https://open.spotify.com/album/0w8VDDm1aQWgoJ1BTc468c?si=MXtNhNIzR5a7fM-G6VIMmw
New York Philarmonic diretta da Arturo Toscanini
https://open.spotify.com/album/0mk9ihSC9ixNio0pIrzPFV?si=3VvP0RmuSie9fpshD-n22w
Berliner Philarmoniker diretta da Ferenc Fricsay
Leningrad Philarmonic Orchestra diretta da Evgenij Mravinskij
https://open.spotify.com/album/6RFe6uJwf9QbgjKRiCCgTU?si=Og9EsguRRuS867LuDse3kA
Chicago Symphony Orchestra diretta da Sir George Solti
https://open.spotify.com/album/1k3K9lXvydEu5BvVN2E6Y7?si=sCdpDTbDRZOS30_GvxC7tA
Wiener Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan
https://open.spotify.com/album/28SFsuJH71yY6MSWYzKGOl?si=OFRRAP4CRxOeyjhlZRyKEg
Columbia Symphony Orchestra diretta da Bruno Walter
Berliner Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan
https://open.spotify.com/album/6r4fRXo4Vtl3jy4xgru1ks?si=e-F-uXLXQviINng_vRpW8A
Chicago Symphony Orchestra diretta da Fritz Reiner
https://open.spotify.com/album/4X3qggAZ4eB0hNsasiHmYq?si=aUYWF4SgSomEWf6mp7NJ6g
Berliner Philarmoniker diretti da Wilhelm Furtwängler
https://open.spotify.com/album/1sIGE2HmboqQCagy0Za9bl?si=bX8zTrobQs2OideYH2_nZw
Wiener Philarmoniker diretti da Otto Klemperer
https://open.spotify.com/album/2EzP5065fVGIvrjQaSRnzV?si=7IaUzy2vSlWFfZIWdvWOWA
Symphoniorchester des Bayerischen Rundfunks diretta da Karl Böhm
https://open.spotify.com/album/5IuLK1XWbN1Y933KlXtt8x?si=ONs6PmEJRwulARMjbniHFw
Philarmonia Orchestra diretta da Guido Cantelli
https://open.spotify.com/album/6rHOXRVlCkTqHfT7N3anVF?si=FERKQJHZTgaSYOluuLd4ZA
Royal Concertgebouw Orchestra diretta da Willem Mengelberg
https://open.spotify.com/album/4NNhDnmC2zxd29B6nUzwAE?si=APCGZCYkQiiP-vn6vxjZnQ
Orchestra Alessandro Scarlatti della Rai di Napoli diretta da Sergiu Celibidache
https://open.spotify.com/album/04amtfM4oedab1isQKqjcg?si=L4DZoCWRQ-28PVoZ-QM9FA
New York Philarmonic Orchestra diretta da Leonard Bernstein
https://open.spotify.com/album/0RW3M6z6Q16adV90ZvRyr3?si=ERkoIrm1QLKAcuakrIHuYA
Novembre
Il sottotitolo “Imperatore” dato al Concerto è un abuso fatto dal pianista ed editore inglese Johann Baptist Cramer dopo la morte di Beethoven, e non si riferisce certo all’Imperatore Napoleone, anche perché il lavoro era «dedié a Son Altesse Imperiale Roudolphe Arciduc d’Autriche».
L’ultimo concerto per pianoforte e orchestra composto da Beethoven è uno dei più famosi ed eseguiti di tutta la letteratura musicale.
Fu eseguito per la prima volta in pubblico a Lipsia al Gewandhaus, il 28 novembre 1811, dal pianista Friedrich Schneider e con la direzione d’orchestra di Johann Philipp Christian Schulz, con grande successo. L’anno dopo, il 12 febbraio 1812, venne eseguito a Vienna dal già celebre, Carl Czerny, (il Quinto concerto è l’unico che Beethoven non abbia mai eseguito personalmente), e venne accolto molto freddamente dal pubblico, forse anche per la sua durata, quaranta minuti.
In verità, venne suonato, per la prima volta in assoluto, nel Palazzo del Principe Joseph Lobkowitz, il 13 gennaio 1811, con l’Arciduca nella parte di solista. Rodolfo Giovanni Giuseppe Ranieri d’Asburgo Lorena, non solo era il patrono di Beethoven, ma era anche un suo allievo: era nato nel 1788 a Firenze, a palazzo Pitti, ultimogenito del granduca Pietro Leopoldo di Asburgo-Lorena (futuro imperatore Leopoldo II) e di Maria Luisa di Borbone, infante di Spagna, nata a Portici; i nonni materni erano Carlo III di Spagna e Maria Amalia di Sassonia, i nonni paterni erano Francesco I di Lorena e Maria Teresa d’Austria. L’Arciduca Rodolfo venne anche elevato alla porpora cardinalizia: presbitero di San Pietro in Montorio a Roma e arcivescovo di Olomouc (in Moravia, nella Repubblica Ceca). Musicista lui stesso, Rodolfo dal 1809 pagò a Beethoven una pensione annuale di 1500 talenti per tenerlo a Vienna. Beethoven gli ha dedicato molte opere importanti, tra cui, il Quarto Concerto per pianoforte in sol maggiore op. 58 (1805-1806), la Grande Fuga op.133 (1825) e la Missa solemnis op. 123 (1818-1823) scritta per la nomina di Rodolfo come arcivescovo di Olomouc. (scrisse Beethoven: «Von Herzen — Möge es wieder — zu Herzen gehn» «Dal cuore – possa di nuovo – giungere al cuore») e ovviamente il Quinto Concerto.
Nel 1823–1824 l’Arciduca Rodolfo fu uno dei 50 compositori che compose una variazione per pianoforte su un valzer di Anton Diabelli: nel caso di Rodolfo, la musica è stata pubblicata in forma anonima, la variazione 40 “S.R.D” (acronimo di Serenissimus Rudolfus Dux). Una raccolta a parte era stata scritta da Beethoven, “33 Variazioni su un valzer di Anton Diabelli, op. 120” (1819-1823). Rodolfo morì a 43 anni il 24 luglio 1831 per un’emorragia cerebrale a Baden bei Wien e fu sepolto nella Cripta dei Cappuccini di Vienna; il suo cuore fu sepolto nella cripta della Cattedrale di San Venceslao a Olomouc.
“Beethoven compose il Quinto Concerto nel 1809, a Vienna naturalmente, tra drammatici avvenimenti esterni. Infatti, dal 10 maggio l’esercito di Napoleone aveva assediato e cannoneggiato la città e poi l’aveva occupata fino alla fine di luglio. Inoltre il 31 maggio era morto Haydn. Durante i bombardamenti Beethoven s’era rifugiato in casa altrui, chi dice da suo fratello Carl, chi presso un amico, il poeta Ignaz Franz Castelli. Per mesi Beethoven non compose nulla dopo aver concluso, il 4 maggio, il primo tempo della Sonata op. 81a (detta “Gli Addii”, per la partenza da Vienna dell’arciduca Rodolfo): lo dice egli stesso, in una lettera allarmata agli editori Breitkopf e Härtel scritta il 26 luglio («Intorno a me è tutto un tumulto caotico, nulla altro che tamburi, cannoni e umane sventure di ogni tipo»). – scrive Franco Serpa – Trascorse poi agosto e settembre a Baden e a ottobre tornò a Vienna, nell’appartamento della Walfischgasse. Nel disordine di quei mesi abbozzò e stese il Quinto Concerto (ma non sappiamo di preciso quando), che tuttavia risente poco o nulla di condizioni tanto sfavorevoli. O meglio, al carattere di fanfara e al passo marziale di alcuni temi del primo movimento non saranno estranei i suoni guerreschi di quelle pericolose settimane.”
Nella cronologia delle opere per orchestra di Beethoven, il Quinto Concerto si colloca dopo la Quinta e Sesta sinfonia, la Fantasia Corale (per pianoforte, soli, coro ed orchestra op. 80), tutti del 1808, prima dell’Egmont del 1810 e della Settima sinfonia del 1812.
Il Quinto Concerto è una composizione in cui viene reinventato il concerto per pianoforte: viene abbandonata la struttura settecentesca e viene aperta la strada ai concerti romantici di Schumann, Liszt, Brahms e Čajkovskij. Il pianoforte diventa un protagonista: Beethoven l’aveva anticipato nel Quarto Concerto, nel primo movimento in cui il piano entra da solo e l’orchestra segue silenziosamente. Qui in “Imperatore”, tuttavia, Beethoven introduce il piano solista in netta opposizione all’orchestra. In una dimensione del tutto nuova della durata del concerto, Beethoven usa le note più alte e più basse della tastiera come mai prima.
Ecco alcune indicazioni di registrazioni:
Vladimir Horowitz con Fritz Reiner che dirige la RCA Victor Symphony Orchestra
https://open.spotify.com/album/5si1EGdd9XKdZRrGsgenIQ?si=LbkWyaFAQNeDRMMin-yxmw
Van Cliburn con Fritz Reiner che dirige la Chicago Symphony Orchestra
https://open.spotify.com/track/2Ati1JZt2hXwTw1QFxll8A?si=jQT_YW6lS_iOlkQai4E9wQ
https://open.spotify.com/album/5SiU1MDCJ85QmUZFgRI6o5?si=412nxnl4SiyRiFvtUh7BQg
Rudolf Serkin con Bruno Walter che dirige la New York Philamonic Orchestra
https://open.spotify.com/album/3gMVNR0BnojnKc2cI3qa9d?si=LSZXgyxCQpuo2FFFOvonSQ
Rudolf Serkin con Leonard Bernstein che dirige la New York Philamonic Orchestra
https://open.spotify.com/album/52ll0fAmU8dahnksqw6Ltd?si=0rxaEzZWTcCtMXyX3BzMew
Arturo Benedetti Michelangeli con Carlo Maria Giulini che dirige Wiener Symphoniker
https://open.spotify.com/album/1VcLjm0h0jYDlHUSbEGQ9u?si=ucLLLdSQSAmAGBTAyRoing
Walter Gieseking con Bruno Walter che dirige Wiener Philarmoniker
https://open.spotify.com/track/63JPNweSRu3Gtz1dKDYttF?si=pfRSwqSSRGi_zfBjb9sMxg
https://open.spotify.com/album/1fhCrF1pPKDKFNVwS6si8T?si=m_xVkBGQQUixvfhwODstzQ
Ottobre
Era d’obbligo per questo mese ricordare che vent’anni fa, mercoledì 6 ottobre 1999, si inaugurò l’’Auditorium di Milano con l’esecuzione di questa sinfonia. Il Maestro Riccardo Chailly e chi scrive scelsero questo capolavoro per varie ragioni. In primo luogo, per il valore musicale e culturale dell’opera, per il significato del testo. In secondo luogo, perché consentiva di dispiegare i complessi artistici de LaVerdi, visto l’enorme organico orchestrale e corale. In terzo, luogo, perché era la rinascita di un teatro, di un quartiere, di un pezzo di città degradato e abbandonato e la funzione sociale, culturale, musicale, artistica dell’Auditorium sottolineava la “resurrezione” a spazio di civiltà e comunità. In altre occasioni ci ritornerò sulla vicenda dell’Auditorium e del valore che ha avuto la sua apertura non solo per il quartiere ma per Milano Qui voglio solo sottolineare l’emozione di quella inaugurazione, con l’impegno dell’orchestra e del Coro de LaVerdi, diretto dal compianto Maestro Romano Gandolfi, e con la partecipazione del soprano Ruth Ziesag e del contralto Petra Lang. Il concerto venne ripetuto anche giovedì venerdì e domenica: sempre esaurito.
Mahler compose la sua seconda sinfonia, quando era direttore del Teatro dell’Opera di Budapest e di Amburgo. Iniziò la composizione nel 1887 e la completò ad Amburgo il 18 dicembre 1894: aveva 34 anni. Presentò i primi tre brani per sola orchestra il 4 marzo 1895 a Berlino: l’accoglienza fu fredda. Poi sempre a Berlino, alla Sing-akademie am Unter den Linden, il 13 Dicembre 1895, presentò l’opera completa, in cinque movimenti: e qui ebbe maggior successo.
La sede della Sing-Akademie era una delle sedi più prestigiose di Berlino: qui l ’11 marzo 1829 il ventenne Felix Mendelssohn fece riscoprire un capolavoro della musica, ormai dimenticato dal pubblico, poiché non venne mai eseguito fuori di Lipsia: la “Passione secondo Matteo” di J.S. Bach, che era stato eseguito per la prima volta il Venerdì Santo del 1727, con poche repliche successive.
Mahler aveva aggiunto il quarto movimento con interventi vocali, il Lied Urlicht (“Luce primordiale”) tratto dalla raccolta di canti popolari “Des Knaben Wunderhorn” di Achim von Arnim e Clemens Brentano: da questa raccolta moltissime poesie sono state messe in musica da numerosi compositori, tra cui Weber, Loewe, Mendelssohn, Schumann, Brahms, Zemlinsky, Schoenberg e Webern. Mahler si appassionò a questa raccolta dieci anni prima al tempo in cui era secondo direttore dello Stadttheater di Lipsia, precisamente quando frequentava la casa di Karl e Marion von Weber. Complessivamente Mahler mise in musica circa due dozzine di canti dal «Des Knaben Wunderhorn» tra il 1888 e il 1901. Uno di questi lied, “Des Antonius von Padua Fischpredigt” (La predica ai pesci di Sant’Antonio da Padova), venne quasi letteralmente trascritto come scherzo della sinfonia, mentre il Lied “Urlicht” divenne il 4° movimento.
Gustav Mahler presentò infine un quinto e ultimo movimento con l’intervento di un coro, oltre a due voci di soprano e contralto, su un’ode di Friedrich Klopstock “Die Auferstehung” (“Resurrezione”). Il 29 marzo 1894 Mahler ascoltò l’inno di Klopstock “Die Auferstehung” ai funerali di Hans von Bülow ( grande direttore d’orchestra, fu il secondo direttore dei Berliner Philarmoniker, sposò la figlia di Liszt, Cosima, che poi divenne amante e moglie di Richard Wagner) e trovò l’ispirazione per il movimento finale della sua seconda Sinfonia.
Scriveva Mahler al critico Marschalk “Ho chiamato il primo tempo “Totenfeier”, e se vuole saperlo è l’eroe della mia Sinfonia in re maggiore che porto alla tomba, e la cui vita osservo riflessa in un limpido specchio, come in una visione d’insieme dall’alto. E intanto ecco il grande interrogativo: Perché sei vissuto? Perché hai sofferto? Tutto questo è soltanto un immane, atroce scherzo? A queste domande dobbiamo in qualche modo rispondere, se è nostro destino continuare a vivere, o anche solo continuare a morire! Chi anche una sola volta nella vita si è sentito risuonare dentro questa domanda deve dare una risposta; questa risposta io do nell’ultimo tempo”
Nel 1901 Mahler per una esecuzione a Dresda pubblicò un programma (“una carta astronomica, per comprendere il cielo notturno con i suoi mondi lucenti”, secondo le sue stesse parole), una guida:
“Primo movimento. Siamo accanto alla bara di una persona amata. Ripercorriamo col pensiero ancora una volta, un’ultima volta, la sua vita, le sue lotte, quel che ha sofferto e quel che ha voluto. E ora, in questo momento grave e profondamente commovente, in cui ci liberiamo, come di una benda, di tutto quel che nella vita di ogni giorno ci distrae e ci degrada, una voce terribilmente seria che non percepiamo mai nell’agitazione assordante del giorno, ci colpisce nel profondo del cuore: e ora? Che cos’è la vita? Cos’è la morte? Esiste per noi una continuazione nell’aldilà? Tutto ciò è solo un sogno disordinato, oppure vita e morte hanno un senso? E dobbiamo trovare una risposta a questa domanda se vogliamo continuare a vivere.
I tre tempi seguenti sono concepiti come Intermezzi.
Secondo movimento. Andante. Descrive un momento felice della vita del defunto a noi caro e fa rivivere il mesto ricordo della sua gioventù e della sua innocenza perduta.
Terzo movimento. Scherzo. Lo spirito dell’incredulità, della negazione si è impossessato di lui, egli affonda lo sguardo nel brulichio dei fenomeni e, insieme con la purezza dell’animo infantile, perde il saldo punto d’appoggio che solo l’amore può dare; dispera di sé e di Dio. Il mondo e la vita diventano per lui una ridda sconclusionata; il disgusto di tutto ciò che è e diviene lo stringe come in un pugno di ferro e lo incalza fino a strappargli un urlo di disperazione.
Quarto movimento. Urlicht (solo di contralto). La voce commovente della fede ingenua risuona al nostro orecchio. “Vengo da Dio e voglio tornare a Dio! Il Buon Dio mi darà un lumicino, mi illuminerà la strada che porta alla vita eterna e beata!”.
Quinto movimento. Ci troviamo di nuovo di fronte a tutti i paurosi interrogativi; e nello stesso stato d’animo della fine del primo tempo. Si ode la voce di Colui che chiama: l’ora della fine è scoccata per tutti gli esseri viventi – il Giudizio Finale sovrasta, è sopravvenuto il terrore dell’Ultimo Giorno. La terra trema, le tombe si scoperchiano, i morti si alzano e procedono in un corteo infinito. I grandi e i piccoli della Terra – i re e i mendicanti, i giusti e i senza Dio – tutti vogliono avanzare – l’invocazione di misericordia e di grazia risuona spaventosa al nostro orecchio. La marcia del corteo si fa sempre più terrificante – tutti i nostri sensi vengono meno, vien meno la nostra coscienza nell’avvicinarsi dello Spirito eterno. Risuona il “Grande Appello” – echeggiano le trombe dell’Apocalisse; nel silenzio raccapricciante sembra di sentire un usignolo lontano lontano, come un’ultima eco tremolante della vita terrena! Si innalza, tenue, un coro di santi e di creature celesti: “Risorgerai, sì, risorgerai”. E ora appare Iddio nella Sua gloria! Una luce meravigliosa, soave, penetra fino al nostro cuore – tutto è pace e beatitudine! E vedi: non c’è giudizio, non c’è peccatore, né giusto, né grande, né piccolo – non c’è punizione né premio! Una sensazione irresistibile d’amore pervade e illumina tutto il nostro essere di una consapevole beatitudine”.
Un direttore come Bruno Walter, che tanto fu vicino a Mahler, disse che : «la seconda sinfonia non è un messaggio religioso in linguaggio sinfonico; è una Sinfonia, che esprime un messaggio religioso».
Nel 2016 il “BBC Music Magazine” fece un sondaggio tra i direttori d’orchestra e la seconda sinfonia di Mahler risultò al quinto posto della graduatoria: 1. Beethoven Symphony No 3 (1803)
2. Beethoven Symphony No 9 (1824) 3. Mozart Symphony No 41 (1788) 4. Mahler Symphony No 9 (1909) 5. Mahler Symphony No 2 (1894 rev 1903) 6. Brahms Symphony No 4 (1885) 7. Berlioz Symphonie Fantastique (1830) 8. Brahms Symphony No 1 (1876) 9. Tchaikovsky Symphony No 6 (1893) 10. Mahler Symphony No 3 (1896)
Sempre nel 2016, a novembre, ad un’asta di Sotheby’s, il manoscritto completo della sinfonia venne aggiudicato per la cifra di 4.546.250 sterline (la base d’asta era 3,5 milioni): il manoscritto di 232 pagine scritte di pugno del compositore era di proprietà dell’uomo d’affari ed editore americano, Gilbert Kaplan (1941-2016), il quale ha dedicato la sua vita a realizzare il suo sogno di eseguirla con grandi orchestre.
Un’ esecuzione di Bruno Walter con la Philarmonic Symphony Orchestra (Carnegie Hall 17 febbraio 1957)
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Una edizione della Royal Concertgebouw Orchestra diretta da Riccardo Chailly
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Settembre
Il primo settembre 1889 (130 anni fa) Čajkovskij finì di comporre “La bella addormentata” che venne poi rappresentata a San Pietroburgo al Teatro Mariinskij, il 15 gennaio 1890 alla presenza dello zar Alessandro III. Lo zar è quello a cui è dedicato il ponte di Parigi sulla Senna (il primo a campata unica) che collega il Grand Palais e il Petit Palais all’Hôtel des Invalides e che venne inaugurato in occasione della Esposizione universale del 1900.
La direzione orchestrale fu di Riccardo Drigo, protagonista l’italiana Carlotta Brianza (nel ruolo di Aurora) accanto al russo Pavel Gerdt (nel ruolo del Principe Désiré), Carabosse era Enrico Cecchetti, la regina Giuseppina Cecchetti, la Fata Lilla era Marie Petipa e la Principessa Florine era Varvara Nikitina.
È l’opera numero 66 del catalogo del compositore russo ed è dedicata ad Ivan Aleksandrovich Vsevoložskij, principe e direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo, il quale scrisse il testo insieme a Marius Petipa, che curò la coreografia. Era stato Vsevoložskij a chiedere il 13 maggio 1888 a Čajkovskij di comporre la musica per la fiaba della “Bella Addormentata”: il compositore, che aveva 48 anni, accettò subito e pensò di riscattare il mancato successo del suo primo balletto “Il lago dei cigni” del 1876. Comporrà un terzo balletto “Lo schiaccianoci” nel 1892, un anno prima di morire a 53 anni.
Čajkovskij non vedrà il successo mondiale del suo capolavoro: nel 1896 il balletto venne messo in scena al Teatro alla Scala di Milano e fu il primo allestimento eseguito al di fuori del teatro pietroburghese ed ebbe 24 repliche. Solo nel 1899 arrivò al Teatro Bol’šoj a Mosca.
“La bella addormentata nel bosco” è una celebre fiaba tradizionale europea. Vale la pena ricordare qui “Perceforest”, romanzo anonimo del XIV secolo, o “Sole, Luna e Talia”, in napoletano, dal “Pentamerone” di Giambattista Basile (1634), una fiaba per adulti. .Viene ricordata soprattutto nella versione di Charles Perrault (ne “I racconti di mamma l’oca”, 1697), che prese il tema da Basile e lo edulcorò notevolmente; in quella dei fratelli Grimm (nelle “Fiabe del focolare”, 1812) e attraverso il celebre adattamento cinematografico a disegni animati di Walt Disney, Sleeping Beauty, 1959, che ha come colonna sonora appunto la musica di Čajkovskij.
La musica non ha bisogno di commenti: la sua bellezza, la sua meravigliosa orchestrazione affascinano ancora il pubblico del balletto come delle sale concertistiche.
Due parole sui protagonisti della prima.
Il direttore Riccardo Drigo, padovano, nato nel 1846 e morto nella sua città natale nel 1930 , fu uno dei protagonisti dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo: compositore di musica per balletti e per opera, diresse in tanti teatri d’Europa.
Carlotta Brianza, nata a Milano nel 1867 e morta a Parigi nel 1930, si formò alla scuola di ballo del Teatro alla Scala (impostata tra il 1837 e il 1850 dal maestro Carlo Blasis) e in breve tempo ne divenne la prima ballerina.
Enrico Cecchetti, nato a Roma nel 1850, è stato un ballerino, coreografo e un grande insegnante di danza (il “metodo Cecchetti”). Fra i suoi allievi vi fu il grande George Balanchine. Nel 1925 Cecchetti venne chiamato da Arturo Toscanini a dirigere la scuola del Teatro alla Scala; mori a Milano nel 1928, l’anno dopo la morte della sua amatissima moglie Giuseppina, (che aveva sposato a Berlino nel 1878) anche lei nel cast della prima di San Pietroburgo.
A leggere le biografie di questi artisti (nel “Dizionario biografico degli italiani” della Treccani) si conferma come l’arte, la cultura e le attività culturali siano stati e sono l’elemento unificante dell’Europa, superando barriere linguistiche, religiose, etniche e confini geografici o sociali.
Tchaikovsky The Sleeping Beauty
Mariinsky Orchestra diretta da Valery Gergiev
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Agosto
Il 18 agosto 1955 vi fu la prima del film “A Many-Splendoured Thing” tratto da un racconto pubblicato nel 1952 da Han Suyin, che descrive in forma autobiografica l’amore tra una dottoressa di origini cinesi ed europee e un giornalista americano, a Hong Kong durante la rivoluzione comunista cinese. Non è questa la sede, ma meriterebbe di essere raccontata la storia di Han Suyn, nata in Cina e morta nel 2012, all’età di 95 anni, a Losanna.
Il film ebbe un enorme successo, ma ancora di più la canzone “Love is a many-splendored thing”: la musica è di Sammy Fain e le parole sono di Paul Francis Webster. Inutile dire che prese l’Oscar come migliore canzone. Il film, diretto da Henry King. e interpretato da Jennifer Jones e William Holden, ebbe otto Nomination e tre Oscar: per la migliore canzone, i migliori costumi e la colonna sonora di Alfred Newman.
Newman è al terzo posto nella classifica delle persone che hanno vinto più Oscar nella storia del cinema, dopo Walt Disney (26 vittorie su 59 candidature ) e Cedric Gibbons, uno scenografo irlandese naturalizzato americano (11 vittorie su 38 candidature). Gibbons è altrettanto celebre per aver disegnato la celebre statuetta degli Academy Awards, il famoso Oscar. Alfred Newman ha vinto 9 premi Oscar con 43 nomination. È il compositore più premiato, ma non il più nominato, battuto dalle 50 nominations di John Williams. Alfred Newman e due suoi colleghi compositori, Max Steiner e Dimitri Tiomkin, erano considerati i “tre padrini della musica da film”.
Era uno dei dieci figli di una famiglia di emigranti ebrei russi: il padre di nome era Michael Nemorofsky e la mamma Luba Koskoff. Anche due suoi fratelli. Emil e Lionel, diventarono musicisti e autori di colonne sonore. Pianista da bambino, ha studiato composizione musicale e contrappunto per diventare direttore d’orchestra, tanto bravo che gli vennero affidate a Broadway opere di George Gershwin, Richard Rogers, Jerome Kern. Nel 1930 Irving Berlin lo invitò a Hollywood per dirigere la sua musica. Newman diventò poi il compositore preferito di Samuel Goldwyn; suo collega era Erich Wolfgang Korngold. Newman iniziò anche a prendere lezioni da Arnold Schoenberg, che era emigrato negli Stati Uniti dall’Europa nel 1934. Nel 1931 Charles Chaplin gli diede da orchestrare la sua musica per “Luci della città” e nel 1936 per “Tempi moderni”. Dal 1940 al 1960 fu il direttore musicale dei Twentieth Century Fox Studios. Ha composto più di 150 colonne sonore ed è anche il compositore della famosa fanfara della 20th Century Fox. Anche i suoi figli, David, Thomas e Maria sono riconosciuti compositori, come il nipote cantautore e pianista Randy Newman e poi i pronipoti che continuano la dinastia dei Newman.
Nato a New Haven, la città della Yale University, nel Connecticut, è morto a 69 anni nel 1970 a Hollywood. Ha vinto l’Oscar per la migliore colonna sonora nel 1939 (La grande strada bianca – Alexander’s Ragtime band), nel 1941 (Una notte a Broadway – The Pan Alley), nel 1944 (Bernadette – The song of Bernadette), nel 1948 (Come nacque il nostro amore – Mother Wore Tights), nel 1953 (La dominatrice del destino – With a song in my heart), nel 1954 ( Chiamatemi Madame – Call me Madam), nel 1956 ( L’amore è una cosa meravigliosa- Love is a many-splendored thing), nel 1957 (Il Re ed io – The King and I), nel 1968 ( Camelot ).
La colonna sonora originale del 1955:
https://open.spotify.com/track/7pp4f5xAMgU0Ie6EWIG3I7?si=dtw2iSHNRgmEbS1GE7E-GA
Luglio
Béla Bartók nacque il 25 marzo 1881 a Nagyszentmiklós, allora regione ungherese del Banato, oggi Sânnicolau Mare, distretto di Timiș in Romania. Dopo la morte di suo padre (1888) sua madre si trasferì dapprima a Nagyszõlõs (oggi Vynohradiv in Ucraina, nella Transcarpazia) e, successivamente, a Pozsony (in italiano Presburgo, oggi Bratislava, capitale della Slovacchia).
“Rivelatosi ottimo pianista fin da fanciullo, si perfeziona all’Accademia musicale di Budapest, imponendosi all’attenzione del pubblico internazionale già nei primi anni del Novecento. Nello stesso tempo incomincia con Kodály a occuparsi del canto popolare del suo Paese. Svolgendo per un decennio un’attività intensa di raccoglitore e di trascrittore del ricchissimo patrimonio musicale folclorico balcanico e arabo.
Dal 1907 insegnò pianoforte alla Accademia di Budapest, sempre tenendo ampie tournées concertistiche in patria e all’estero, anche in duo con la moglie e il violinista Szigeti. Circondato dall’ammirazione e dalla stima dei suoi contemporanei, nel 1939 lasciò per ragioni politiche l’Ungheria, stabilendosi negli Stati Uniti, dove tenne conferenze e si dedicò al concertismo e all’insegnamento, senza riuscire peraltro a inserirsi interamente in quel Paese a lui estraneo, tanto che pochi anni dopo moriva in solitudine e nella miseria più nera.” (da Giacomo Manzoni Guida all’ascolto della musica sinfonica, Feltrinelli)
Béla Bartók morì infatti a 64 anni, di policitemia, a New York il 26 settembre 1945. Al suo funerale parteciparono solo dieci persone; tra loro c’erano sua moglie Ditta, il loro figlio Péter e il pianista György Sándor, suo allievo e amico. Fu sepolto al cimitero Ferncliff ad Hartsdale, New York, ma nel 1988, i suoi resti furono portati a Budapest per i funerali di stato il 7 luglio 1988 e in seguito fu sepolto al cimitero Farkasréti di Budapest.
Il “Concerto per pianoforte e orchestra n°1” fu composto tra l’agosto e il 12 novembre 1926 e venne presentato al quinto Festival della “Società Internazionale di Musica Contemporanea” di Francoforte, il 1 luglio 1927, con Bartók come solista e con la Frankfurter Rundfunk Orchester diretta da Wilhelm Furtwängler che “di solito non viene accostato alle avanguardie del Novecento, dimenticando che lui diresse la prima assoluta delle “Variazioni op. 31” di Schönberg”, (come scrive Piero Rattalino in Il Concerto per pianoforte e orchestra Giunti Ricordi).
In realtà la prima era prevista durante un tour americano di Bartók nel 1927 alla Carnegie Hall con la New York Philharmonic, diretta da Mengelberg; ma Mengelberg annullò l’esecuzione perché l’orchestra non arrivò in tempo a imparare il Concerto. Bartók così eseguì la sua Rapsodia op.1. La prima esecuzione del Concerto negli Stati Uniti avvenne poi il 13 febbraio 1928 alla Carnegie Hall, con Fritz Reiner a dirigere la Cincinnati Symphony Orchestra e Bartók come solista.
“Troviamo qui il Bartók “barbaro”, amante delle rudi dissonanze e delle brusche inflessioni cromatiche, scalpitante e nervoso nei ritmi come lo sanno essere solo le più sfrenate danze campagnole dell’Ungheria. Questo vale per il primo “Allegro”, ma anche per l’”Andante”, benché qui il discorso sia più disteso. Nel finale torna l’incalzante gioco dei ritmi, in cui il pianoforte sostiene una parte difficile e brillante, paragonabile in questo al virtuosismo del secondo Concerto” (da Giacomo Manzoni Guida all’ascolto della musica sinfonica, Feltrinelli)
Qui viene proposta la esecuzione con Rudolf Serkin, al pianoforte, e la Columbia Symphony Orchestra, diretta da George Szell
https://open.spotify.com/album/6vQE6gkuvUTn7iLJx013bM?si=VIw5spsyRDGEmxOppPtWjQ
Giugno
È uno dei brani di musica che più bisognerebbe ascoltare: è un esempio di come la contraddizione di generi musicali diversi, gli aspetti musicali contrapposti finiscano per trovare una composizione nella stessa sinfonia: è come la vita, fatta di continue contraddizioni e contrasti che viviamo giorno per giorno e fanno di noi quello che siamo.
Nel primo movimento i suoni della natura, nel secondo i ricordi d’infanzia minacciati da ombre minacciose e paurose, nel terzo una canzoncina infantile che si trasforma in marcia funebre e poi fortissimo (Mahler lo definì “il grido di un cuore ferito”) irrompe il movimento finale. Questa sinfonia appare un ponte tra una epoca e un’altra, tra l’epoca romantica e quella moderna. La forma in cui la conosciamo è il risultato di un lungo travaglio. La prima versione venne terminata il 30 marzo 1888: Mahler aveva venticinque anni ed era secondo direttore dell’Opera di Lipsia; aveva appena conosciuto Pëtr Il’ič Čajkovskij, e alle spalle aveva un gruppo di opere già significative e ambiziose.
La prima esecuzione della prima versione avvenne a Budapest il 20 novembre 1889, quando Mahler era da poco direttore del Teatro dell’Opera di Budapest, e fu presentata come poema sinfonico “Symphonische Dichtung in zwei Teilen” (Poema Sinfonico in due parti). in cinque movimenti: pubblico ungherese piuttosto freddo.
Il 16 agosto 1893 Mahler termina a Vienna la stesura della seconda versione della sinfonia alla quale applica il titolo di “Titano” ed inserisce una didascalia programmatica all’inizio dei singoli movimenti.
Il Titano (titolo originale Titan), pubblicato nel 1803. è il principale romanzo di Jean Paul, pseudonimo dello scrittore tedesco Johann Friedrich Richter, lo scrittore romantico che era stato fra i prediletti da Schumann:.
In occasione dell’esecuzione ad Amburgo del 1893, Mahler definì dunque quest’opera “Titano”, “Titan. Eine Tondichtung in Symphonie-form” un poema sinfonico in forma di sinfonia, diviso in due parti: la prima parte, “Dai giorni di gioventù: fiorì, frutti e spine”, era formata dai primi tre movimenti e la seconda, “Comoedia humana”, dagli ultimi due. I cinque movimenti a loro volta erano così definiti:
1. Primavera senza fine (“L’introduzione rappresenta il risveglio della natura dal lungo sonno invernale”);
2. Blumine (traducibile come “Raccolta di fiori”: è il movimento che venne in seguito soppresso);
3. A vele spiegate;
4. In difficoltà! (“Una marcia funebre nello stile di Callot”, al cui proposito Mahler annotò: «Lo stimolo esterno della composizione di questo brano musicale è venuto all’autore da “II corteo funebre del cacciatore”, un’illustrazione satirica di un antico libro di favole, che è nota a tutti i bimbi austriaci. Gli animali della foresta accompagnano alla tomba il cacciatore morto: le lepri portano lo stendardo…»);
5. Dall’inferno al paradiso (in italiano nell’originale), che deve seguire immediatamente il movimento precedente, “come l’improvviso grido di un cuore ferito nel profondo”.
Il 27 ottobre 1893 Mahler dirige nello Stadttheather di Amburgo la seconda versione della sinfonia. Poi Mahler la dirige a Weimar il 3 giugno 1894: qui con indignate reazioni della critica giornalistica. Conquistò un fans, che diventò un grande direttore d’orchestra, mahleriano convinto: Bruno Walter, che aveva diciassette anni.
Le implicazioni di ordine letterario parvero a Mahler troppo gravose e fuorvianti. Sicché dopo la terza esecuzione di Weimar, Mahler eliminò l’Andante, ossia Blumine, e il programma illustrativo, intitolando l’opera semplicemente “Sinfonia in re maggiore”. E in questa forma essa venne eseguita a Berlino il 16 marzo 1896 e apparve nelle edizioni a stampa, senza Blumine, che rimase ineseguita fino al 1967, quando Benjamin Britten la presentò da sola in un concerto al Festival di Aldeburgh, riproponendola all’attenzione del pubblico e degli studiosi.
Questa sinfonia, in quattro movimenti, fu la più eseguita da Mahler stesso che diresse quasi tutte le prime in tanti Paesi. Mahler condusse l’esecuzione della sinfonia il 3 marzo 1898 a Praga, l’8 marzo 1899 a Francoforte, il 18 novembre 1900 a Vienna. Il 21 ottobre 1903 ci fu la prima inglese ai Proms di Londra diretta da Henry Wood. Il 25 ottobre 1903 Mahler diresse la Concertgebouw Orchestra ad Amsterdam e poi il 16 dicembre 1909 diresse la prima americana a New York con la New York Philarmonic.
Video con Leonard Bernstein: video qui
Audio con Rafael Kubelik
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Maggio
Sacco e Vanzetti
colonna sonora di Ennio Moricone
“Le suggestive musiche di Morricone sono molto più di un semplice accompagnamento: si intessono nella trama, la infittiscono, e rendono il film di Montaldo assolutamente indimenticabile. Divisa in tre parti, la celeberrima Ballata di Sacco e Vanzetti è interpretata dalla magnifica voce di Joan Baez, che è anche autrice del testo. Una canzone passata alla storia e divenuta simbolo della lotta contro la pena di morte. Del resto, la tragica vicenda umana dei due anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condannati a morte negli Stati Uniti, ha suscitato in tutto il mondo echi non ancora sopiti.”, così scriveva “Famiglia Cristiana” nel 2007.
Alla 24a edizione del Festival di Cannes , in programma dal 12 al 27 maggio 1971 venne presentato il film di Giuliano Montaldo “Sacco e Vanzetti”, i due anarchici italiani, che furono condannati a morte da un tribunale degli Stati Uniti nel 1920 e uccisi sulla sedia elettrica nel 1927 per una rapina e un omicidio per i quali erano invece completamente innocenti.
A Cannes venne dato il premio per la miglior interpretazione maschile a Riccardo Cucciolla, che nel film interpreta Nicola Sacco. La giuria presieduta da Michèle Morgan, in cui c’era anche Sergio Leone, assegnò il Grand Prix a “Messaggero d’amore” di Joseph Losey e il Premio del 25* anniversario a Luchino Visconti per “Morte a Venezia” e la sua intera opera. Il premio per la miglior opera prima andò a “Per grazia ricevuta” di Nino Manfredi.
Nel 1972 venne assegnato il Nastro d’Argento alla miglior attrice esordiente, assegnato dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani, a Rosanna Fratello, che interpretava il ruolo di Rosa, la moglie di Sacco. Rossana Fratello era una cantante, che da bambina si era trasferita con i genitori da San Severo a Cinisello Balsamo, come milioni di emigrati interni.
Il Nastro d’argento alla migliore colonna sonora venne assegnato a Ennio Morricone per “Sacco e Vanzetti”. “Here’s to You” è un brano musicale composto da Joan Baez per il testo e da Ennio Morricone per la musica, interpretato dalla stessa Baez. Joan Baez trae spunto da una dichiarazione di Vanzetti.
“Giudice Webster Thayer: Bartolomeo Vanzetti, avete qualcosa da dire prima che la condanna a morte sia resa esecutiva?
Vanzetti [alzandosi]: Sì. Ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato. Non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto, primo fra tutti, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. E se c’è una ragione per la quale sono qui è questa, e nessun’altra. Una frase, una frase signor Katzmann, mi torna sempre alla mente: “Lei, signor Vanzetti, è venuto qui nel paese di Bengodi per arricchire”. Una frase che mi dà allegria. Io non ho mai pensato di arricchire. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando per una colpa che effettivamente ho commesso. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico…. e me sun anarchic! Perché sono italiano… e io sono italiano. Ma sono così convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto. [dopo una breve pausa] Nicola Sacco… il mio compagno Nicola! Sì, può darsi che a parlare io vada meglio di lui. Ma quante volte, quante volte, guardandolo, pensando a lui, a quest’uomo che voi giudicate ladro e assassino, e che ammazzerete… Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato – maledetto –, il suo nome, il nome di Nicola Sacco, sarà ancora vivo nel cuore della gente. [rivolto a Sacco] Noi dobbiamo ringraziarli. Senza di loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati. [rivolto alla giuria] Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo, e mai in tutta la nostra vita avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati!”
Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
Ecco a voi, Nicola e Bart
Riposate per sempre qui nei nostri cuori
L’ultimo e ultimo momento è vostro
Quell’agonia è il vostro trionfo
William G. Thompson, il più eminente avvocato di Boston, dichiarò: “Devo ringraziarla, signor Webster Thayer. (Il giudice noto per la irascibilità e per i suoi pregiudizi contro gli immigrati) Lei mi ha aiutato a perdere le ultime illusioni che ancora avevo nella giustizia e nella magistratura di questo Stato. Non metterò mai più piede in un tribunale, non eserciterò mai più una professione che mi costringe a venire a contatto con gente come lei, verso cui si può nutrire solo il più profondo disprezzo”
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Aprile
La sinfonia, dedicata al Barone Gottfried van Swieten, venne composta tra il 1799 e l’inizio del 1800 e venne eseguita per la prima volta mercoledì 2 aprile 1800 al Teatro di Porta Carinzia (Theater am Kärntnertor o Kärntnertortheater, il nome ufficiale era Kaiserliches und Königliches Hoftheater zu Wien, “Teatro imperiale e di corte di Vienna”).
All’età (trent’anni) in cui Beethoven finì di comporre la sua prima sinfonia, Mozart ne aveva già composte 36 e Joseph Haydn quasi 20. Il metodo compositivo era ben diverso da quello di Mozart, che compose le sue tre ultime sinfonie, quelle considerate anche le maggiori, nel giro di un mese e mezzo. Si dice addirittura che alcune tracce per il finale si trovino negli esercizi di contrappunto fatti da Beethoven per il suo Maestro Johann Georg Albrechtsberger nella primavera del 1797.
La sede della esecuzione testimonia del prestigio e dell’autorità che Beethoven si era già conquistato; inoltre il concerto era a suo beneficio.
Il programma del concerto includeva anche il suo Settimino e il suo Concerto per pianoforte n. 2, una sinfonia di Mozart e un’aria e un duetto dall’oratorio di Haydn “La creazione”.
Inoltre Beethoven improvvisò al pianoforte sul tema dell’Inno Imperiale di Haydn.
“Questa sinfonia è un’opera divisa tra i riferimenti al passato (a Mozart, e di più a Haydn) e l’incombenza di un futuro che si lasciava intuire solo a tratti”
Il terzo tempo è la grande novità di questa sinfonia: tradizionalmente vi era un minuetto, (e tale è il titolo che dà anche Beethoven a questo tempo), un momento leggero nella severità della sinfonia; qui invece si presenta uno “Scherzo”, ovvero introduce brio, vivacità nuova.
Come scrive Fedele d’Amico “Il minuetto passeggia, lo scherzo vola”. Nel 1862 Hector Berlioz esaminando la sinfonia scrive che “L’Andante contiene un accompagnamento di timpani piano che oggi sembra qualche cosa di molto ordinario, ma in cui bisogna tuttavia riconoscere il preludio di effetti caratteristici che Beethoven ha prodotto più tardi coll’aiuto di questo strumento, in genere adoperato poco e male dai suoi predecessori. Questo pezzo è pieno d’incanto, il suo tema è grazioso e si presta bene agli sviluppi fugati, mediante i quali l’autore ha saputo trarne un partito così ingegnoso e arguto.
Lo Scherzo è il primogenito della famiglia d’incantevoli burle di cui Beethoven ha inventato la forma, determinato il movimento, e che in quasi tutte le sue opere strumentali ha sostituito al minuetto di Mozart e Haydn, nel quale il tempo è meno rapido del doppio e il carattere completamente diverso. Questo è d’una freschezza, d’una agilità e d’una grazia squisite.”
Scrive ancora Fedele d’Amico “Anche se di livello inferiore alle sinfonie successive, e ai capolavori di Haydn e di Mozart, la Prima Sinfonia è pur sempre una cosa in sé perfetta e compiuta: l’opera d’un maestro.”
La Sinfonia n. 1 in Do maggiore, op. 21 nella esecuzione della Cleveland Orchestra diretta da George Szell.
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La Sinfonia n. 1 in Do maggiore, op. 21 nella esecuzione deiv Berliner Philamoniker diretta da Ferenc Fricsay.
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Marzo
Dal 8 settembre 1941, nell’ambito della “operazione Barbarossa”, le truppe di Hitler assediano la città e Šostakovic viene impiegato nel corpo dei pompieri, a presidio del Conservatorio, dove aveva studiato con Glazunov, a suo tempo allievo di Rimsky-Korsakov.
Šostakovic si rivolge ai suoi concittadini attraverso la radio il 16 settembre 1941:
“Tutti noi portiamo il nostro fardello di lotta. E gli operatori della cultura compiono il proprio dovere con lo stessa onestà e la stessa dedizione di tutti gli altri cittadini di Leningrado, di tutti gli altri cittadini della nostra immensa Patria.
Io, leningradese di nascita, che mai ho lasciato la mia città natale, sento adesso più che mai la tensione della situazione. Tutta la mia vita e tutto il mio lavoro sono legati a Leningrado. Leningrado è la mia patria. La mia città natale, la mia casa. E molte altre migliaia di leningradesi sentono quello che sento io. Un sentimento di infinito amore per la città natia, per le sue ampie strade, per le sue piazze e i suoi edifici incomparabilmente belli. Quando cammino per la nostra città in me sorge un sentimento di profonda sicurezza, che Leningrado si ergerà per sempre solenne sulle rive della Neva, che Leningrado nei secoli costituirà un possente sostegno per la mia Patria, che nei secoli moltiplicherà le conquiste della cultura.
Musicisti sovietici, miei cari e molteplici compagni d’arme, amici miei!
Ricordate che la nostra arte è seriamente minacciata. Ma noi difenderemo la nostra musica, continueremo con la stessa onestà e con la stessa dedizione a lavorare.
La musica che ci è tanto cara, alla cui creazione dedichiamo il meglio di noi, deve continuare a crescere e a
perfezionarsi, come è stato sempre. Dobbiamo ricordare che ogni nota che esce dalla nostra penna è un progressivo
investimento nella possente edificazione della cultura. E tanto migliore, tanto più meravigliosa sarà la nostra arte, tanto più crescerà la nostra certezza che nessuno mai sarà in grado di distruggerla.
Arrivederci, compagni!
Tra qualche tempo ultimerò la mia Settima sinfonia.,,,”
Poi, come tutti gli altri artisti dell’Unione Sovietica, viene sfollato a Kuybishev, oggi Samara, sul Volga, a 1.770 da San Pietroburgo, a 1.000 km da Mosca. Il treno che partì per la nuova destinazione trasportava anche intellettuali come Vissarion Šebalin, Dmitrij Kabalevskij, Davyd Ojstrach, Emil Gilels, Sergej Ejzenstein e Il’ja Erenburg.
Qui la Settima sinfonia viene eseguita il 5 marzo 1942 dall’orchestra del Teatro Bolscioi. Il 22 marzo venne poi eseguita a Mosca; il 9 luglio a Novossibirsk venne suonata dalla Filarmonica di Leningrado, diretta da Evgeni Mravinski, in presenza di Šostakovic.
La partitura, messa su microfilm, venne portata in camion a Teheran, in macchina a Il Cairo, per nave a Londra. Il 22 giugno 1942 l’Orchestra Filarmonica di Londra eseguì sotto la direzione di Henry Wood la sinfonia alla radio, e poi ai Proms alla Royal Albert Hall, e in tale occasione ricevette i complimenti di George Bernard Shaw.
La prima americana fu diretta a New York il 19 luglio 1942 da Arturo Toscanini con la NBC Orchestra. L’indomani sulla prima pagina del “Time” vi era la foto di Šostakovic in divisa da pompiere. Solamente negli USA la Settima venne eseguita altre 62 volte durante l’arco dell’anno, sotto le bacchette di Sergei Koussevitzky, Leopold Stokowski, Artur Rodziński, Dimitri Mitropoulos, Eugene Ormandy, Pierre Monteux e molti altri.
A Leningrado, ridotta allo stremo, i musicisti vennero richiamati dal fronte per eseguire la Sinfonia nella Sala della Filarmonica il 9 agosto 1942, che venne trasmessa dalla radio e diffusa con altoparlanti dovunque, per far sentire ai tedecshi che Leningrado resisteva e continuava a vivere.
L’opera divenne il simbolo musicale della resistenza all’aggressione nazista e simboleggia un’appassionata denuncia dei crimini della guerra. Ancora oggi è considerata l’omaggio musicale più importante alle vittime (stimate in 25 milioni) di cittadini sovietici morti nella Seconda guerra mondiale. Le truppe sovietiche respinsero le truppe naziste e l’assedio venne tolto il 27 gennaio 1944., dopo 872 giorni con più di 1,8 milione di vittime, di un milione di civili.
In origine, i quattro movimenti ebbero dei titoli (la guerra, il ricordo, gli spazi sconfinati della patria, la vittoria) che poi Šostakovic ritirò.
Nel primo movimento vi è il famoso “tema dell’invasione”, probabile caricatura della canzone “Da geh’ ich zu Maxim” dell’operetta “La vedova allegra” di Franz Lehár. Il crescendo, dopo le 12 ripetizioni del tema (22 battute), strutturate in modo molto simile al Bolero di Maurice Ravel, culmina in un fortissimo.
Registrazione della prima esecuzione assoluta americana diretta da Arturo Toscanini il 19 Luglio 1942.
Leningrad Philarmonic Orchestra diretta da Evgeny Mravinsky
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Febbraio
Torino Teatro Regio 1 febbraio 1893
« Manon Lescaut » è un opera in 4 atti di Giacomo Puccini composta tra il 1890 e il 1892. Terza opera di Puccini in ordine cronologico, Manon Lescaut è il suo primo capolavoro: una sinfonia in quattro atti con brani indimenticabili ( “Donna non vidi mai”, romanza di Des Grieux (atto I); “In quelle trine morbide”, romanza di Manon (atto II); “Tu, tu, amore? Tu?!”, duetto tra Manon e Des Grieux (atto II); “Sola… perduta… abbandonata”, aria di Manon (atto IV)). È una opera di melodia e di passione, dominata da una sensualità fino ad allora sconosciuta, con uno degli “Intermezzi” più intensi della letteratura musicale: il dramma della vita, dell’amore e della morte.
La prima fu al Teatro Regio di Torino il 1 febbraio 1893, si pensi che il 9 febbraio andò in scena al Teatro alla Scala a Milano il “Falstaff” di Verdi.
Talmente confusa fu la paternità del libretto che sulla partitura originale non venne accreditato nessuno. In realtà il libretto fu completato da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dopo che ci avevano messo le amni Marco Praga, Ruggero Leoncavallo, Domenico Oliva, lo stesso editore Giulio Ricordi ed ovviamente Giacomo Puccini.
Il libretto traeva ispirazione dal romanzo “Manon Lescaut” (“L’Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut”) dell’ Abbé Prévost, scrittore e storico francese, con una vita molto avventurosa. Pubblicato nel 1731, è il settimo ed ultimo volume di “Mémoires et aventures d’un homme de qualité” (Memorie e avventure di un uomo di qualità). Era stato bandito in Francia dopo la pubblicazione. Tanti i riferimenti nella letteratura e nell’arte a questo romanzo. ( da Alexander Dumas a Ivan Turgenev, da Oscar Wilde a Saul Bellow)
Lo stesso soggetto aveva già ispirato la Manon Lescaut di Daniel Auber (Parigi, Opéra-Comique, 23 febbraio 1856) e soprattutto la Manon di Jules Massenet (Parigi, Opéra-Comique, 19 gennaio 1884).
Quando Marco Praga gli fece notare che avrebbe dovuto affrontare il confronto con la fortunata opera di Massenet, Puccini rispose: “Manon è un’eroina in cui credo e quindi non può mancare di conquistare il cuore del pubblico. Perché non dovrebbero esserci due opere su Manon? Una donna come Manon può avere più di un amante. Massenet lo sente come un francese, con polvere e minuetti, un italiano, con una passione disperata”
Innumerevoli i balletti, le opere e i film che hanno tratto ispirazione dalla storia di Manon:
per il balletto, cito solo:
1830 – Manon Lescaut,
ballet de Jean-Pierre Aumer, musique de Halévy
1974 – L’Histoire de Manon, ballet de Kenneth MacMillan
Per il cinema :
1939 – Manon Lescaut, film-opera con Alida Valli e Vittorio De Sica, regia di Carmine Gallone.
1949 – Manon, regia di Henri-Georges Clouzot,
con Michel Auclair and Cécile Aubry
1954 – Gli amori di Manon Lescaut, con Myriam Bru
e Franco Interlenghi, regia di Mario Costa (con la musica di Puccini).
1968 – Manon 70 , regia di Jean Aurel,
con Catherine Deneuve
Per le registrazioni discografiche, vi sono innumerevoli edizioni degne di essere ascoltate. Qui trovate un collegamento con l’edizione diretta da Bruno Bartoletti con Placido Domingo e Montserrat Caballé
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Gennaio
La prima esecuzione avvenne a Lipsia, al Gewandhaus, il 1 gennaio 1879, con lo stesso Brahms alla direzione e con Joseph Joachim violino solista. Nella prima parte venne eseguito il Concerto per violino e orchestra di Beethoven.
Il concerto per violino di Brahms fu concepito nel corso dell’estate del 1878 a Pörtschach am Wörthersee, un villaggio della Carinzia, a circa 14 chilometri da Klagenfurt, nel quale Brahms soggiornava spesso.
Tutte le principali composizioni per violino di Brahms (questo concerto, il Concerto per violino e violoncello e le tre Sonate) furono tutte scritte per il suo amico e consigliere Joseph Joachim, che conosceva per averlo accompagnato al pianoforte in numerosi concerti dal 1850. È il solo concerto per violino solista scritto da Brahms. Lo stesso Joachim considerava quello di Brahms uno dei quattro grandi concerti tedeschi per violino: “I tedeschi hanno quattro concerti per violino. Il più grande, il più intransigente, è quello di Beethoven. Quello di Brahms compete con lui in serietà.Il più ricco, il più seducente, è stato scritto da Max Bruch. Ma il più interiore, il gioiello del cuore, è quello di Mendelssohn”
La critica accolse l’opera in maniera molto diversa. Il direttore Hans von Bülow affermò che non si trattava di un lavoro per il violino, ma piuttosto “contro il violino”. Henryk Wieniawski lo definì un’opera “ineseguibile”. Il violinista spagnolo Pablo de Sarasate si rifiutò di suonarlo, ma non a causa della sua difficoltà: «Pensate che me ne possa stare lì con il mio violino in mano – chiese retoricamente – a sentire l’oboe che suona l’unica melodia nell’intero pezzo?»
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Dicembre
Questa composizione venne eseguita ben 37 anni dopo la scomparsa dell’autore, Franz Schubert, che morì a Vienna nel 1828 a soli 31 anni. Franz Schubert, fra il 15 marzo e il 30 ottobre 1822, compose due movimenti e solo 128 battute del terzo movimento. La prima esecuzione fu a Vienna, presso il Burgtheater per la Gesellschaft der Musikfreunde, il 17 dicembre 1865, diretta da Johann Ritter von Herbeck.
“Sulla genesi del più celebre capolavoro sinfonico di Schubert sono ancora aperti molti interrogativi: l’autografo, datato 30 ottobre 1822, fu dal compositore consegnato all’amico Anselm Hüttenbrenner in quanto esponente dell’Unione Musicale Stiriana, cui l’opera era probabilmente destinata come ringraziamento perché aveva nominato Schubert membro onorario. Non sappiamo perché Schubert non la finì, né perché Hüttenbrenner la tenne nascosta per più di quaranta anni: solo il 17 dicembre 1865 Johann Herbeck ne diresse a Vienna la esecuzione. …
L'”Incompiuta” ci conduce al cuore della poetica schubertiana, al suo nucleo di desolazione e confidenza con la morte, tra vagheggiamenti del sogno e della memoria e lo schiudersi improvviso di angosciosi abissi.”
- Testo tratto dal “Repertorio di musica sinfonica” a cura di Piero Santi, Giunti, Firenze, 2001
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