Il duo Coma_Cose, che cerca fortuna cantando l’hangover delle giovani generazioni infastidite dall’esistenza, la canta così “Questa notte la mia gola è messa peggio di via Gola”. Ma la via Emilio Gola, quartiere Navigli, Milano, non è via del Campo né Campo dei Fiori. Non ha nulla di poetico né di fascinosamente lercio e proibito. E nemmeno ha il fascino di una piazza centrale della Roma ex popolare dove tirar mattina e, magari e purtroppo, finire a sboccare in un angolo l’eccesso di rigatoni e vinaccio dei Castelli.
Via Gola è una schifezza di rebus che da decenni nessuna delle amministrazioni che si sono avvicendate a Palazzo Marino è riuscita a risolvere. Trattasi di un quartiere di case popolari, 702 appartamenti di proprietà ALER, distribuiti fra via Gola, Via Pichi e via Orsi, dietro le ripe del Naviglio Pavese. Oltre un terzo delle case è occupato. Il fenomeno delle occupazioni data da almeno trent’anni: all’inizio erano giovani squatter, ora sono in maggioranza “clienti” del racket, che progressivamente si è impadronito del quartiere. Si entra pagando una congrua tassa agli uscenti. Il racket prende una percentuale dagli entranti e dagli uscenti. Gli stabili sono ammalorati e tenuti su da impalcature. Quando, raramente, ALER riesce a tornare in possesso di un alloggio, manda l’apposita squadra a devastarlo, distruggendo sanitari e ìmpianti di fornitura. Per renderlo inabitabile. Poi lo sigilla con una lastra di acciaio. ALER considera via Gola e dintorni patrimonio “irrecuperabile”.
I residenti, paganti regolare pigione sono, per buona parte, anziani o anzianissimi. Poi ci sono, fra gli occupanti, anche giovani famiglie, studenti e giovani in coabitazione e, naturalmente, spacciatori. Perché quel che fa di via Gola un rebus e uno scandalo è l’economia del quartiere, divenuto stabilmente piazza di spaccio organizzata – in diminuita, s’intende – come Scampia e Secondigliano a Napoli. Vedette agli incroci, telefonini criptati, rotazione dei “cavalli” che consegnano la merce, complicità ed omertà imposta a suon di minacce al resto del quartiere.
Via Gola è stata un must delle campagne elettorali degli ultimi sindaci di Milano: da Letizia Moratti, a Giuliano Pisapia a Beppe Sala, tutti hanno preso solenni impegni per cancellarne “la vergogna”. Riccardo De Corato, ai tempi di Donna Letizia, minacciò sgomberi a raffica: qualcuno lo fece, ma ne uscì con un pugno di mosche. Pisapia fece l’isola pedonale, ma non complicò di certo la vita ai pusher, Sala è stato l’unico che ci ha messo il muso di persona, venerdì scorso, partecipando a una festa di quartiere organizzata da un gruppo di temerari residenti. Si è anche beccato un po’ di contestazione. Una ragazza gli ha rinfacciato “l’annullamento del quartiere a causa della movida”, che però è iniziata una quarantina di anni fa. Di Via Gola, ahinoi, si è recentemente occupato anche il ministro Toninelli, secondo il quale la soluzione è privatizzare il quartiere, vendendo gli alloggi. E se non ci si riesce, si passi tosto alla demolizione. Toninelli ha promesso che in via Gola si spenderanno parte dei 48 milioni stanziati per l’edilizia popolare destinati a Milano (e decisi ai tempi di Renzi). Ma è del tutto evidente che i soldi, da soli, non sono la cura, se non si sa che farne, di via Gola.
Per la verità bisognerebbe capire cos’è questo agglomerato di case popolari neglette divenuto “il fortino dello spaccio”, per seguire la vulgata delle cronache. Via Gola è da sempre una specie di back side dei navigli. Lo è stata dal punto di vista politico, raccogliendo le ultime sedi di centri sociali antagonisti come l’Orso (ormai chiuso da anni), botteghe di esausto vintage, qualche club che non poteva reggere il caro affitti dei navigli e, da quasi sempre, il ridotto dello spaccio della movida di via Ascanio Sforza e Alzaia Naviglio Pavese. Non ha mai avuto, via Gola, uno status a sé. È sempre stata il retrobottega dei Navigli. E se proprio si vuole trovargli un’identità potremmo dire che ce l’ha avuta quando, negli anni Ottanta, è stata un piccolo annidamento di giovani squatter. Ma senza elaborazione. Senza bandiere. Quasi vergognandosene. Anche perché il turn over delle occupazioni ha finito, in un pugno di anni, col trasformare il fenomeno in un business presto andato fuori controllo. E consegnato, infine, al racket. Del resto anche la presenza dell’antagonismo politico non ha mai brillato per iniziativa e protagonismo. Tranne in un caso. L’Orso era il centro sociale cui faceva riferimento Davide Cesare, detto Dax, il 26 enne morto accoltellato nel 2003 da un trio famigliare di fascisti (due fratelli e il padre) decisi a vendicare precedenti botte prese dal più piccolo dei due fratelli mentre girava in zona con al guinzaglio un cane lupo chiamato Rommel. Storiaccia orrenda, per la quale il povero Dax ucciso a coltellate è stato eletto a simbolo di un inesausto desiderio di vendetta. “Dax Odia”, stava scritto fino a non molto tempo fa sul ponte del Naviglio pavese che fronteggia via Gola. Odia chi, non si è mai capito, viste le pesanti condanne ricevute dai tre fascistoidi accoltellatori. Oggi in via Gola resiste una sola traccia di quel passato: le due vetrine del “Cuore in gola”, centro di anarchici di quartiere che organizza animazione per bambini e pranzi di quartiere. Ma non odiano e non fanno odiare Dax e nemmeno fanno paura agli spacciatori, che per buona parte nemmeno abitano in via Gola e ricevono i rifornimenti della “roba”, si dice, dalla ‘ndrangheta di Rozzano.
Sicché, alla fine, vien da dirla con il sindaco Sala: in via Gola si deve far qualcosa perché c’è degrado, c’è spaccio, non c’è sicurezza e nemmeno legalità. Ma nessuno può inventarsi la soluzione a Palazzo Marino. Occorre che i superstiti “civici” di via Gola si ripiglino in mano il loro vecchio quartiere scassato. Che è periferia dell’anima di Milano, non periferia fisica, come molti insistono a dire da anni. Senza qualcuno che ha voglia di “rifare” via Gola da capo a piedi, prendendosi il quartiere in spalla, spaccio, scasso e degrado non se andranno mai, l’ALER continuerà a dare il peggio di sé e prima o poi arriverà Toninelli.
Ivan Berni
( da “Il Foglio”, di giovedì 13 giugno 2019, pubblicato qui con il consenso dell’autore, che ringraziamo)
Vedi anche: https://www.ilmigliorista.eu/europa/salicelle-e-le-periferie/