Ci sono momenti in cui chi governa dovrebbe avere più sangue freddo, meno emotività e non lasciarsi condizionare dalle voci popolari o dai mass media, altrimenti si finisce per accondiscendere a pressioni puramente populiste, a stati d’animo piuttosto che a valutazioni razionali. Capisco la precauzione, capisco la esigenza di verificare, capisco la ricerca della sicurezza, che peraltro non è mai assoluta per nessuna farmaco.
Vi siete mai chiesti perché il foglietto illustrativo dei farmaci si chiama “bugiardino”? Sull’Accademia della Crusca, tempo fa, Raffaella Setti scriveva che “non c’è dubbio che questo nome voglia puntare l’attenzione sulle prerogative di queste particolari “istruzioni per l’uso” che, soprattutto negli anni di boom della farmacologia, tendevano a sorvolare su difetti ed effetti indesiderati del farmaco per esaltarne i pregi e l’efficacia. Non erano quindi vere e proprie “bugie” quelle che vi si potevano leggere, ma nell’insieme il foglietto risultava un “bugiardino” che diceva piccole bugie o, meglio, ometteva informazioni importanti ma che potevano essere compromettenti per il prodotto. Negli ultimi anni, grazie a restrizioni legislative che hanno imposto regole più rigide per la compilazione dei foglietti illustrativi e anche grazie ad una maggiore attenzione dei consumatori nell’assumere farmaci, siamo forse arrivati ad ottenere che siano riportate sul “bugiardino” tutte le notizie importanti riguardo al farmaco. Attualmente la critica più diffusa è che questi strumenti, rivolti ai consumatori quindi a non specialisti, restino comunque incomprensibili anche a una lettura attenta e scrupolosa, sia per la tecnicità delle informazioni che offrono, sia per l’accumulo di notizie in così poco spazio. La mancata trasmissione di informazioni dovuta e alla qualità e alla quantità delle indicazioni (non far capire è quasi come non dire), continua a giustificare l’appellativo di “bugiardino”.” Eppure continuiamo a prendere aspirine, tachipirine, e altri farmaci e, grazie anche alla alimentazione e a un maggior benessere, la vita media degli uomini e delle donne, in quasi tutte le parti del mondo, si è allungata.
Mi è difficile dunque capire l’allarmismo e non capisco i titoli dei giornali. Venerdì 12 marzo “la Repubblica”: titolo d’apertura in prima pagina, “AstraZeneca, paura in Europa”. Non capisco le decisioni dei governi europei. Ci sono rapporti di causa ed effetto tra vaccinazioni e morti per trombosi o per infarto? Non pare proprio.
Come mi spiega il mio amico professor Pier Mannuccio Mannucci, il tromboembolismo venoso (trombosi venosa profonda, embolia polmonare) ha un’incidenza “spontanea” nella popolazione di un caso ogni 10.000 persone nei giovani con meno di 30 anni, di un caso ogni 1000 persone negli adulti fra i 30 e i 70 anni e di un caso ogni 100 persone negli anziani oltre i 70 anni. Sulla linea temporale, per quanto riguarda l’Italia «ci si può attendere circa 60mila casi all’anno, 1.150 alla settimana, 166 al giorno» e questo indipendentemente dalla vaccinazione, come spiega il professor Cossarizza, in un bell’articolo di Silvia Turin sul Corriere.it (16 marzo).
Per quanto riguarda il problema dell’associazione causale con il vaccino, nel Regno Unito dove il vaccino di AstraZeneca è stato finora somministrato a quasi 17 milioni di persone (beati loro!) i casi accertati di tromboembolismo venoso post-vaccinale sono stati fra i 40 e i 50. Il che vuol dire che l’incidenza di tali complicazioni è molto inferiore a quella “spontanea” di cui sopra. La Società Internazionale sulla Trombosi e le malattie emorragiche (ISTH), la più importante autorità sul tema, ha scritto: “È importante sottolineare che studi clinici ben condotti sulle vaccinazioni COVID-19 non hanno identificato un aumento del rischio di trombosi. Sulla base di tutti i dati disponibili, l’ISTH ritiene che i benefici della vaccinazione COVID-19 superino di gran lunga qualsiasi potenziale complicanza anche per i pazienti con una storia di coaguli di sangue o per coloro che assumono farmaci per fluidificare il sangue”.
E allora ? Una gestione allarmistica della vaccinazione non può che creare diffidenza, opposizioni, e ostacoli alla messa in sicurezza della popolazione. E forse non ci si rende compiutamente conto della tragedia.
Dall’inizio dell’anno, 2021, in Italia ogni giorno in media ci sono 14.987 casi e 377 decessi. Si guarda a quei pochi casi di decessi dopo il vaccino, in cui ripeto non è accertata la causa e l’effetto, ma non si considera appieno che ci sono quasi quattrocento morti al giorno per Covid. Dal primo gennaio (in 74 giorni) ci sono stati 1.109.108 casi di positività e 27.878 decessi, che si sono aggiunti a quelli dell’anno scorso.
Il terribile conto della pandemia ci porta in carico oltre tre milioni e duecentomila casi di positività, uno ogni 18 abitanti; abbiamo avuto oltre centoduemila morti, uno ogni 590 abitanti, uno ogni 32 casi di positività.
Come se fosse sparita la quarantaquattresima città dell’Italia: Udine 100.170 abitanti; la quarantacinquesima città è Novara con 103.287 abitanti. (Istat al 31.12.2019).
C’è da augurarsi che venga risolta subito la questione dell’AstraZeneca e che prenda finalmente avvio, senza incertezze, una campagna vaccinale che metta tutti al riparo da un virus che ha causato tante perdite di vite umane e ha fatto saltare anche la ragione a chi dovrebbe usarne di più sia nel campo della informazione che in quella del governo della pandemia.
Ed è anche vero che l’Europa, nel suo complesso, non si sta muovendo bene: al sorgere della pandemia i Paesi europei si sono mossi in ordine sparso e non c’è stata una politica sanitaria comune (persino sugli spostamenti tra un Paese e l’altro) e una produzione comune di strumenti di difesa sanitaria personale; persino i dati sulla pandemia sono stati raccolti ed elaborati in maniera diversa, Paese per Paese, senza una raccolta unica europea. Poi c’è stata una gestione dell’acquisto dei vaccini alquanto discutibile e adesso una reazione emotiva dei singoli Paesi a casi estremamente ridotti, di ordine infinitesimale rispetto alla gravità della situazione.
Questa drammatica esperienza, una globalizzazione di un fenomeno che ci riporta indietro negli anni (spagnola, asiatica, ecc.) ci ha trovato a ragionare ancora in termini troppo nazionalistici, e non europei. E forse la sanità (in generale, non solo per le pandemie) dovrebbe essere materia di una sovranità europea: i cittadini possono spostarsi e lavorare all’interno della comunità europea, ma non devono avere differenti tutele sanitarie e differenti standard di servizi. Anche la pandemia ci costringe a pensare ad una Europa più unita, con un governo europeo democraticamente eletto. Più sovranità europea e meno sovranità nazionale.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 17 marzo 2021)
tutto perfetto in questa brillante analisi se non fosse che si basa su numeri dei decessi per Covid, che risulterebbero alterati, ovvero gonfiati sino al 99% (recente dichiarazione pubblica della dott.ssa Silvana Mari) circostanza – quella dei dati alterati “erroneamente” confermata anche da dichiarazione pubblica di qualche settimana fa del dottor Zangrillo. Fine della favola.