I talk-show sono una manifestazione inutile, se non dannosa: i politici sono stati sostituiti dai giornalisti, la cui autorevolezza è proporzionale al numero di copie e di lettori che perdono ogni mese. Per di più, da decenni i talk show sono responsabili di aver introdotto la formula dell’ “uno vale uno”: la parola dell’uomo del bar (funzione oggi esercitata dai social) vale quella del Ministro. Con buona pace della responsabilità e del consenso popolare. Per di più, sono fonte di chiacchiere inutili, senza veri approfondimenti, tutti impegnati a disegnare scenari fantasmagorici, mosse segrete e dietrologie, in chiave politichese. Avete visto un talk show dedicare una puntata per intero a quanto è successo con quota 100? O con quello che è successo, regione per regione, con il reddito di cittadinanza e quanto lavoro è stato trovato dai “navigator”, inventati in un “Porta a porta”.
Questa premessa per dire che mi sono fatto forza ad assistere alla madre di tutto il chiacchiericcio politico: quella che chiamano la “terza camera” dello Stato, ma sbagliano perché è la seconda sede della politica italiana. Così ho visto “Porta a Porta”, con attore principale Renzi, due giornalisti comprimari e regista Vespa.
Il titolare di tale sede politica si aggirava compiaciuto e appagato, fiero di essere al centro delle attenzioni di tutto il mondo politico, con il godimento di dimostrare tutta la sua potenza mediatica e mediana. E qui si dimostra la pochezza del ceto politico italiano, che si piega, genuflesso, a manifestare le proprie idee, non nelle sedi della democrazia rappresentativa, ma in uno studio televisivo. Cosa non si fa per l’audience! Infatti quello che conta non è governare il Paese, possibilmente bene, ma sparare proposte, progetti, ipotesi, sciocchezze stupidaggini in televisione, con il gaudio dell’officiante principe, il cardinale Vespa. Dal “contratto con gli italiani” all’altra sera, quando Renzi, che aveva dato appuntamento a tutti nel salotto con la musica di “Via col vento”, l’ha sparata in tribuna, come l’ha definita il direttore del “Messaggero”. La storia del “sindaco d’Italia” è per dirla, in francese, una puttanata totale, una variante sul tema del maggioritario: ed è l’ennesimo accanimento attorno a una questione che ha dimostrato nei fatti di essere, in Italia , dal 1994, un totale, assoluto fallimento. E pensare ancora una volta di risolvere i problemi della politica con il sistema elettorale è una porcata immane: in questi anni il problema è sempre stato non il sistema elettorale, ma la povertà della politica, l’incapacità di affrontare i problemi del Paese con una visione del futuro. Pensare di mettere in crisi il governo Conte per fare un governo “istituzionale” per introdurre il “sindaco” è un espediente di scarso livello politico. Certo, il personaggio tromboneggiava, con spavalderia, con sicumera, su un tema vecchio, trito e ritrito, non solo digerito ma già evacuato. Il personaggio è quello: magari ne azzecca una, ma la butta via per mania di protagonismo, che lo porta ad improvvisare e ad affrontare le questioni a petto in fuori, da spaccone.
Non c’era nessun bisogno di spararla grossa, ma si poteva stare al tema, spiegando perché è sbagliata la mossa della prescrizione versione Bonafede e Conte bis. È contro la Costituzione e contro la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E su questo è giusto e sacrosanto che una forza politica si opponga fino a far venire meno il suo voto a un governo che usi i temi della giustizia in modo inappropriato. Appare un po’ contraddittoria però la posizione assunta sul decreto-legge intercettazioni, approvato con tanto di voto di fiducia. In altre epoche, questi due provvedimenti, lo ”spazzacorrotti” (con la retroattività delle pene, cancellata giustamente dalla Corte Costituzionale e la fine della prescrizione) e il decreto intercettazioni, sarebbero stati definiti “liberticidi”, illiberali come minimo. Si certifica che per diritto di cronaca si può pubblicare tutto e che non importa come, dove, quando e per quali reati realizzare la intercettazione,: quello che conta, anche con l’uso e l’abuso dei trojan, è l’intercettazione in sé. La pesca a strascico ha delle limitazioni, invece le intercettazioni a strascico, anche in camera da letto, sono gradite. E attenzione all’uso del carcere preventivo, al posto dei processi immediati e tempestivi: in Gran Bretagna, se non sbaglio, avevano messo negli stadi dei giudici, che esaminavano subito gli “hooligans” colpevoli di reati colti sul fatto, per citare un esempio che vale anche per gli spacciatori.
In questo Paese, da troppo tempo, i temi della giustizia sono manifestazione dei muscoli della maggioranza, usati pro o contro gli avversari politici. O sono il terreno di scorribande mediatico giudiziarie. È quindi più che giusto che su questi temi si rivendichi, una volta per tutte, la prerogativa legislativa del Parlamento: questa è davvero, nello scenario di questi tempi grami, una innovazione istituzionale, in perfetta sintonia con il dettato dell’attuale Costituzione democratica e liberale.
Del resto, se PD e 5S vogliono togliere argomenti a “Italia viva”, hanno una mossa semplice da fare: rinviare la prescrizione alla definizione della riforma del processo penale. Quello che aveva chiesto Salvini, che poi non ha avuto la forza né la serietà di perseguire. Oggi è in vigore, questa prescrizione “giustizialista”, questo è il punto politico essenziale. Avesse proposto la elezione diretta del Presidente della Commissione europea sarebbe stato un fatto politico, una proposta per il futuro, non la bufala del “sindaco d’Italia”.
Stupisce fra l’altro che nello studio di “Porta a Porta” nessuno abbia chiesto a Renzi di spiegare come concilia la sua proposta con la riduzione dei parlamentari e come voterà al referendum di marzo.
E questa è un’altra certezza: la cosiddetta informazione è una parte del problema italiano, poiché da molto tempo recita un ruolo nel teatrino politico, dominato dal generone romano.
Ma, è proprio vero: “domani è un altro giorno”.
Luigi Corbani
(venerdì 21 febbraio 2020)