Ho conosciuto il sindacalista Ottaviano Del Turco e il Ministro Ottaviano del Turco. Ho seguito il suo percorso politico, socialista, poi fondatore del PD e infine Presidente della Regione Abruzzo. Da ultimo, la sua battaglia per tagliare le unghie alla sanità privata: e per questa sua decisione, da persona onesta, han voluto fagliela pagare cara. La vicenda giudiziaria ha dell’incredibile.
Mi addolorano le sue vicissitudini umane, la sua sofferenza e adesso le sue gravi malattie. E feriscono e imbarazzano i silenzi della CGIL e del PD. Dico solo che il compagno Ottaviano Del Turco merita il rispetto del suo sindacato e del suo partito. Viene da chiedersi se la solidarietà, il rispetto umano e la lotta per la giustizia siano ancora patrimonio di quelle organizzazioni della sinistra, per cui ha lavorato e combattuto Ottaviano Del Turco. Il giustizialismo non è l’opposto del garantismo, è la negazione della giustizia. Meglio di me, hanno scritto Paolo Franchi e Gian Domenico Caiazza: riporto qui i loro articoli.
DEL TURCO, EVAPORATE LE ACCUSE DEL 2008
RESTANO SOLO I SILENZI
di Paolo Franchi
(Corriere della Sera – 20 dicembre 2020)
Contro di lui c’era «una valanga di prove». E la carcerazione preventiva era inevitabile, visto il suo «profilo delinquenziale non comune che lascia ritenere pressoché certa la reiterazione degli stessi reati per cui si procede». L’uomo che così veniva rappresentato, lasciando incredulo almeno chi, come me e tanti altri giornalisti politici e sindacali, lo conosce da una vita, si chiamava, e si chiama ancora, Ottaviano Del Turco. Socialista fin da ragazzino. Numero due della Cgil ai tempi di Luciano Lama. Senatore. Ministro della Repubblica. E, al momento dell’arresto, il 14 luglio 2008, presidente (di centro-sinistra) della Regione Abruzzo. Dodici anni dopo, Del Turco, malato di cancro e afflitto dall’Alzheimer, non riconosce più neanche i suoi cari. Non sono un medico, ma mi permetto lo stesso di pensare che tra il suo stato attuale e il suo calvario giudiziario qualche nesso ci sia. Anno dopo anno, sentenza dopo sentenza, la «valanga di prove» contro di lui si è quasi del tutto squagliata. Via l’associazione a delinquere, via la corruzione e il falso, via altri reati minori, resta alla fine solo una condanna della Cassazione a tre anni per induzione indiretta. Sul fatto che una legge possa avere una applicazione retroattiva ci sarebbe parecchio da discutere. Non c’è da discutere, invece, ma solo da restare allibiti di fronte alla decisione del Senato di togliere a Del Turco il vitalizio di cui, si fa per dire, gode. E da prendere atto con (moderata) soddisfazione della successiva decisione di prendersi un mese di tempo per stabilire se procedere o no. Quanto alle reazioni suscitate dal caso, colpiscono soprattutto i silenzi. In particolare quello della Cgil, evidentemente immemore della propria lunga storia, e del ruolo per nulla secondario che il socialista autonomista (non è una parolaccia) Del Turco vi ebbe. Specie quando si trattò, correva l’anno 1983, Craxi e Berlinguer duellavano all’ultimo sangue sulla scala mobile, di salvarne nonostante tutto l’unità.
STORIA DI UN GRANDE ERRORE GIUDIZIARIO
LA VICENDA GIUDIZIARIA DI OTTAVIANO DEL TURCO
di Gian Domenico Caiazza
(Il riformista – 10 dicembre 2020)
La vicenda giudiziaria che ha ingiustamente distrutto la vita pubblica e privata di Ottaviano Del Turco (e facilitato o comunque reso migliore, in varia misura, quella di molti dei suoi accusatori) provoca ancora oggi in me, suo avvocato difensore, un senso di nausea e di indignazione dal quale mi sento puntualmente sopraffatto. Ma questa ultima infamia, del trattamento pensionistico revocato ad un uomo gravemente malato e reso del tutto inconsapevole dal morbo di Alzheimer all’ultimo stadio, mi costringe a rimettere mano a questa incredibile, invereconda vicenda.
Ottaviano Del Turco commise un solo -ma fatale- errore, nella sua esperienza di Governatore dell’Abruzzo: ritenersi più forte dell’immenso potere esercitato dalla sanità privata in quella Regione. Prima in campagna elettorale, poi appena eletto, perseguì – starei per dire con sorprendente impudenza, ma questo era l’uomo- la priorità politica di ricondurre nella legalità il rapporto tra sanità pubblica e privata, istituendo finalmente un meccanismo di controllo serio e credibile sull’immenso flusso di denaro pubblico che confluiva senza freni nella sanità privata convenzionata.
In tre anni al governo della Regione -come alla fine hanno dovuto prendere atto, dalla Corte di Appello in avanti, gli stessi suoi giudici- la Giunta Del Turco, semplicemente accertando irregolarità ed illegittimità retributive del più vario genere, aveva revocato alle cliniche private abruzzesi qualcosa come un centinaio di milioni di euro. Per darvi una dimensione della enormità di quella scelta politica ed amministrativa, sappiate che la precedente Giunta aveva contestato e recuperato, allo stesso titolo, 200mila euro. Cento milioni contro duecentomila euro.
Quando, il 14 luglio 2008 la Polizia Giudiziaria venne a prenderlo a casa per portarlo in carcere (insieme a mezza sua Giunta regionale), l’ordinanza di custodia cautelare che Ottaviano, incredulo, poté leggere era scritta interamente recependo senza filtri le dichiarazioni di due signori: Vincenzo Maria Angelini, proprietario del più importante gruppo di cliniche private abruzzesi; e Luigi Pierangeli, presidente dell’AIOP, associazione di categoria che raggruppava tutte le restanti cliniche private diverse da quelle del gruppo Angelini. Il cento per cento della Sanità privata abruzzese dava il benservito alla Giunta che aveva osato tanto.
I due gruppi erano in realtà in forte competizione tra di loro; ma l’obiettivo fu infine convergente. Pierangeli era andato in Procura a Pescara non meno di una ventina di volte (ma forse di più, non ho voglia di andare a contarle), con altrettante denunce raccolte a verbale, nelle quali affermava (ed a suo dire documentava) che tutte le iniziative amministrative adottate dalla Giunta Del Turco in materia sanitaria erano illegittime, e tutte indebitamente favorevoli al gruppo Angelini. Questa incredibile e quasi maniacale attività di denuncia fu recepita dalla Procura di Pescara senza una sola obiezione, ed infine trasfusa pari pari in un incredibile raffica di capi di imputazione per abuso in atti di ufficio, falsi ideologici e chi più ne ha più ne metta, dei quali -ascoltatemi bene- non uno solo, dico non uno solo, è sopravvissuto all’ impietoso giudizio di inesistenza dei fatti, ovviamente solo dopo la incredibile sentenza di primo grado che, asseverando invece senza esitazioni la bontà di quelle denunce, condannò Del Turco a dieci anni di reclusione. Nulla, una montagna di chiacchiere pretestuose, gratuite, infondate, grossolanamente speculative, odiosamente saccenti, desolantemente insensate dal punto di vista tecnico-giuridico, utilissime però a fare fuori quella Giunta, come puntualmente accadde.
Angelini servì a chiudere il cerchio. Perché mai, d’altronde, la Giunta Del Turco avrebbe così impudentemente favorito le cliniche del suo gruppo, se non per il vile denaro? Perciò Angelini viene convocato in Procura, ma cade dalle nuvole: mai dato una lira. Senonché viene contestualmente ad apprendere -sono atti del processo, a disposizione di chiunque vorrà consultarli- che la Procura sta mettendo da tempo il naso nelle sue attività di storno di immense quantità di denaro (già una sessantina di milioni di euro) che egli starebbe da tempo sottraendo alle sue aziende. Brutta storia. Ma forse, gli dice il Procuratore Capo dott. Trifuoggi, questi soldi, o una importante parte di essi, Lei dott. Angelini li ha distratti dalle aziende perché costretto a pagare la politica? Ci pensi bene, perché in questo caso da potenziale indagato (di bancarotta per distrazione, per esempio, ma anche di corruzione), lei diventa persona offesa, vittima, concusso da Del Turco e sodàli, sa quella storia della concussione ambientale, Mani Pulite eccetera. Insomma, ci pensi bene. Il verbale del primo approccio in Procura è testualmente in questi termini. Ci penso su, dice Angelini, ingolosito. Dopo qualche giorno, ritorna, per dire: a ben riflettere, oltre sei milioni di quei soldi che ho ritirato in contanti dalle mie aziende li ho dovuti dare alla vorace banda Del Turco. D’altro canto, basta leggere l’incipit della sua “collaborazione”, per capire di cosa stiamo parlando: <<Sono qui questa sera perché mi è stato assicurato che sarei stato compreso per quello che più avanti dirò>>. Assicurato? E da chi? E’ la Giustizia, bellezza.
Qui inizia la grottesca, tragicomica sarabanda dei “riscontri oggettivi”: l’imprenditore deposita, in tempi successivi, le ricevute telepass di una serie di autovetture delle sue aziende, e le ricevute bancarie dei prelievi in contanti di somme dai conti correnti delle sue società. Attribuisce tutte le uscite autostradali al varco di Aielli-Celano, di qualsivoglia e non identificata autovettura delle sue Società, quale prova delle sue trasferte a casa di Del Turco. Che non abita, ovviamente, dentro il casello di Aielli Celano, ma a Collelongo, uno dei molti paesi (ad almeno 20 km di distanza dal casello) per raggiungere i quali chi viene da Chieti in autostrada può uscire a quel varco. Il quale ultimo torna però anche utilissimo per raggiungere una delle vicine cliniche di Angelini, impegnando anzi la via più breve. Nossignore, spiegherà Angelini quando finalmente noi potremo obiettarlo in dibattimento, non ho mai fatto utilizzare né al mio autista né ai miei dipendenti quella uscita, uso solo ed esclusivamente, senza una eccezione che sia una, quella successiva di Avezzano (percorso totale più lungo). “Me possino cecamme”, si direbbe a Roma (basterebbe infatti una qualsivoglia altra ragione di uscita a quel casello, per elidere ogni già flebile capacità indiziante rispetto alla casa di Del Turco). Mai uscito ad Aielli Celano in vita mia, né alcuno dei mei, se non per andare a casa di Del Turco carico di denari. Lui seleziona 26 uscite ad Aielli Celano, e tenta di incrociarle con i prelievi, ma è sfortunato e non ne trova nemmeno uno coincidente. La cosa incredibile è che la Procura di Pescara non fa un plissè quando Angelini spiega a suo modo l’arcano: il Satrapo mi faceva avvertire dai suoi di preparare prima i soldi (ecco i ritiri al bancomat o in banca), e dopo alcuni giorni, a suo piacimento, giocando come il gatto con il topo, mi ordinava di portarglieli immediatamente.
Ecco allora come si fanno coincidere -si fa per dire, naturalmente!- i prelievi (da lui scelti tra centinaia di altri identici, tramite i quali ha depredato le sue società) con i famosi Telepass, tutti relativi a date diverse. Come fa, dott. Angelini, a ricordare quali fossero i 26 prelievi per Del Turco, tra centinaia di altri identici? Solo chi ha sofferto le indicibili umiliazioni che ho subito io da Del Turco potrebbe non ricordarli. E come mai le uscite ad Aielli Celano sono invece quasi una ottantina? Andavo a fargli visita spesso, per parlare di politica. Uno stalker, più che un concusso. Siamo su Scherzi a Parte? Nossignori, siamo dentro il famoso processo Del Turco e la sua “montagna di prove” che la Procura di Pescara ebbe l’impudenza di preannunciare in una roboante conferenza stampa. Sto solo raccontando – per quanto incredibili siano- alcune delle più esilaranti (se non parlassimo di una tragedia) “prove” in base alle quali, come se niente fosse, è stato massacrato un galantuomo, un grande protagonista delle lotte sindacali ed operaie degli anni ruggenti, un socialista con la schiena diritta e le mani pulite. Vuoi vedere che prima o poi qualcuno dei nostri famosi “giornalisti di inchiesta”, gli eroici nostri cronisti giudiziari che scodinzolano ubbidienti nei corridoi degli Uffici di Procura, o ne attendono trepidanti i whatsapp, trovino un po’ di coraggio e vadano finalmente a cercare di capire come, e soprattutto perché, sia potuto accadere tutto ciò? E non vi ho ancora raccontato niente: preparatevi, nella prossima puntata, a sentire il racconto delle foto delle mele, delle noci, e delle buste piene di soldi: Groucho Marx, al confronto, è un dilettante. Meno male che Tu, Ottaviano, amico mio, non riesci più a sentire nemmeno l’olezzo maleodorante che torna su da questi ricordi dolorosi. A volte la malattia sa essere pietosa. (segue)
STORIA DI UN GRANDE ERRORE GIUDIZIARIO
IL PROCESSO HA PROVATO UNA COSA: OTTAVIANO È INNOCENTE
di Gian Domenico Caiazza
(Il riformista – 11 dicembre 2020)
Insieme alle grottesche ricevute Telepass di cui vi ho raccontato ieri, “incrociate” con prelievi bancari scelti ad capocchiam tra innumerevoli altri identici, e senza nessuna coincidenza temporale plausibile, Angelini tira fuori l’ennesimo colpo di teatro. Una serie di foto, che raffigurano una mazzetta di denaro nelle sue mani; poi l’immagine sfocata di una persona indistinguibile che il suo fedele autista testimonierà essere lo stesso Angelini, con una innocua busta con i manici, tipo profumeria, sul vialetto di casa Del Turco; poi, quando è ormai buio pesto, una foto -sempre nelle mani di Angelini- di una busta un po’ stracciata piena di mele e castagne.
Premesso che mai Del Turco ha negato di avere ricevuto in quegli anni Angelini a casa sua quattro o cinque volte, come decine e decine di altre persone che volevano incontrarlo, questa roba qui è stata considerata -anche in appello- la prova, indiretta ma certa, di una dazione di denaro ad Ottaviano. Ciò si pretenderebbe di desumere dalla successiva foto con le mele, inserite dal vorace Del Turco nella stessa busta (dicono in un primo momento Angelini ed il suo fido autista) che all’ingresso conteneva i soldi, “per non insospettire l’autista”, qualunque cosa ciò possa mai significare, visto che secondo l’accusa di Angelini, a quella data, l’autista lo aveva accompagnato per la medesima operazione almeno altre venti volte. Ottaviano si preoccupa improvvisamente di non insospettire l’autista, tornando il suo datore di lavoro alla macchina senza la busta con la quale era entrato (e chissà mai perché dovrebbe immaginare che l’autista ne sospetti il contenuto illecito!), e pretende che Angelini la riporti con sé, piena di mele e castagne. E questa surreale, insensata messinscena lui la pretende proprio nel giorno, esattamente nel giorno in cui Angelini, esasperato, aveva deciso per la prima volta di documentare la dazione!
So che stentate a credermi, ma la storia è questa, e non vi siete ancora goduti il meglio. Proiettata la foto in udienza, perfino il Tribunale deve prendere atto che la busta con le mele è diversa da quella che avrebbe contenuto i soldi!! Dunque la messinscena raccontata dal nostro accusatore perderebbe ogni residua briciola di sensatezza, giusto? Non per i giudici di questa Repubblica. Anche la Corte di Appello, che demolirà i quattro quinti delle accuse ritenute provate in primo grado, manterrà la residua condanna agganciata a questa follia. E la Corte di Cassazione, che a sua volta annullerà anche il capo di associazione per delinquere che la Corte di Appello aveva incomprensibilmente mantenuto in vita, dirà: non siamo giudici di merito, non entriamo nella dinamica del fatto, ma questa è l’unica dazione rispetto alla quale vi è un principio di prova (le foto ed il racconto dell’autista) e quindi questo residuo brandello della vicenda lo dobbiamo salvare. Non vi tedio sul tema della falsa datazione di quelle foto, perché è oggi oggetto del nostro ricorso per revisione. Ma quando vi raccontano che comunque Ottaviano Del Turco è stato condannato in via definitiva e dunque è un corrotto conclamato, è giusto che sappiate di cosa stiamo parlando.
Ricapitoliamo: in primo grado il Tribunale di Pescara ritiene tutte le accuse fondate, corregge solo la qualificazione giuridica (Angelini non fu concusso da Del Turco, ma lo corruppe; nel frattempo per lui, Angelini, il reato si è prescritto visto che mai era stato iscritto fino ad allora come corruttore, mannaggia, peccato, ci dispiace tanto).
Il poderoso sviamento della attività amministrativa in suo favore, descritto dalla miriade di reati di falso, omissione, abusi eccetera è altresì pienamente provato; ed anzi -siate attenti- il Tribunale di Pescara imprudentemente afferma che “tale accertata generale condizione di illegalità [costituisce] il più significativo riscontro dell’attendibilità dell’Angelini”. Dieci anni di reclusione. A nulla è valsa nemmeno la prova certa in atti, della assenza di ogni traccia di anche un solo euro non tracciato, nel patrimonio di Ottaviano.
“È esatto dire che non avete riscontrato né un euro, né la traccia di un euro che non avesse una giustificazione su risorse finanziare pregresse ai fatti che interessano questo processo?”, chiedo in udienza al Colonnello Favia della Guardia di Finanza; “Sostanzialmente è giusto”, è la sua risposta. Lo stesso vale per l’acquisto di alcuni immobili, per i quali si accerta che Del Turco disinveste risparmi ventennali, e addirittura vende due quadri, condotta semplicemente inspiegabile se fosse vero che in quegli stessi momenti, egli avesse le tasche piene di milioni di euro in contanti.
Ed invece, solo per darvi un assaggio della serenità di giudizio del giudice di primo grado, ecco come se la cava il Tribunale: “Gli acquisti, pur compatibili con la condizione patrimoniale complessiva dell’imputato, si collocano in periodi immediatamente successivi” ad alcune della dazioni contestate “sicchè ben può ritenersi che l’imputato non si sia preoccupato di procurarsi per tempo le provviste necessarie all’acquisto degli appartamenti, potendo contare in caso di estremo urgente bisogno, sul denaro che l’Angelini illecitamente gli aveva consegnato”. Devo aggiungere altro, sulla sentenza di primo grado? Credo proprio di no, sebbene avrei da raccontarvi decine di altri simili aneddoti, soprattutto descrittivi della atmosfera incredibile nella quale si è celebrato quel processo.
Senonché, la Corte di Appello de L’Aquila, in accoglimento di larga parte del nostro appello, ci assolve – e con noi i nostri coimputati- da quasi tutte (21!) le fantomatiche tangenti, facendo salve quelle in qualche modo riferibili alle leggendarie foto delle mele. Da sei milioni e trecentomila euro, ora ne avremmo invece presi ottocentomila. Ma soprattutto, ci assolve (per insussistenza dei fatti) da tutti -tutti- i reati che avremmo commesso per favorire Angelini in cambio del denaro. Tutti.
La Giunta Del Turco, ammette ora la Corte, non ha mai sviato l’amministrazione della sanità Regionale in favore di nessuno (anzi, ad Angelini, il favorito, ha decurtato 68 milioni di euro!). E quindi, questa associazione per delinquere si sarebbe costituita intorno a quale obiettivo? Non si sa. Di far soldi con qualche pollo da spennare, “cogliendo l’occasione” propizia derivante comunque dalla forza intimidatrice del potere esercitato. E Angelini perché darà del denaro a chi gli ha decurtato 68 milioni di euro? Boh. La Corte di Cassazione annullerà poi anche la associazione per delinquere (il fatto non sussiste, sancirà definitivamente il giudice di rinvio), salvando solo, come ho detto, le dazioni riconducibili alla tragicomica storia delle foto.
Così si impicca un uomo ad un errore giudiziario, quando esso è troppo, davvero troppo grande per poter essere interamente ammesso e riconosciuto dal sistema; che si autoprotegge, per quanto possibile.
Hai arrestato il Presidente di una Regione democraticamente eletto, e mezza sua Giunta; hai interrotto il corso democratico di una istituzione elettiva; hai coperto di ignominia uomini pubblici e le loro famiglie. Tutto questo sul nulla: in questa Italia divenuta orgogliosamente patria della forca e del linciaggio, ci vogliono non dei giudici, ma degli eroi che abbiano la forza di sancire che fu tutto un enorme, grossolano, imperdonabile “errore” giudiziario.
Nella vicenda giudiziaria di Del Turco, questo di fatto è stato ammesso, ma salvando un pezzettino di quella indecenza, giusto un pezzettino, al quale chi ne fu responsabile possa aggrapparsi.
Ora, caro Ottaviano, mentre noi proviamo a combattere l’ultima battaglia per la revisione di quella infamia che ti ha piegato e piagato, tu non sei più in grado nemmeno di comprendere questa ennesima, ultima umiliazione che uno Stato ottusamente feroce e protervo ti sta infliggendo: la revoca della tua pensione di parlamentare della Repubblica. Tu che sei Stato Ministro delle Finanze, Parlamentare italiano ed europeo, Presidente della Commissione Antimafia. Meglio così. Chissà quale delle tue amate tele stai immaginando di poter dipingere, finalmente in silenzio, finalmente in pace.
(NdR. Gian Domenico Caiazza è Presidente della Unione delle Camere Penali Italiane)
la giustizia Italiana la paragono a un’arma, che viene sovente usata da disonesti o mafiosi ribaltando il vero in falso. io che sono molto ignorante sull’argomento ho passato anni angosciosi e terribili con costi enormi per un’accusa studiata a tavolino da mafiosi.