“A’ impunito!“ direbbero a Roma dove aver letto l’intervista su “Repubblica” di oggi del Prof. Mimmo Parisi, presidente dell’Anpal, il quale conferma tutto quello che abbiamo scritto su di lui pochi giorni fa sul “Migliorista”, compresa la nota spese di 160.000 euro in un anno. Ma il nostro eroe aggiunge che con i “Centri per l’impiego chiusi, e gli obblighi dei colloqui sospesi”, “i navigator hanno lavorato da casa”: a fare che cosa non si sa, ma hanno preso, nonostante il loro compenso non fosse stato decurtato dal coronavirus, l’indennità di 600 euro. Ora, non mi scandalizzo se qualcuno prende più soldi, anzi. Ma considero demenziale un Paese in cui lo Stato eroga un compenso di 28.000 euro lordi all’anno (“per fornire assistenza tecnica (sic!), non incrociare domanda e offerta”) più l’indennità covid ai “navigator” e nel contempo, nella sanità “privata convenzionata”, sostenuta dai soldi pubblici, consente contratti a partita Iva, di 35,000 euro lordi annui, a medici che hanno alle spalle dieci anni di università e due di specializzazione, e sono celebrati come “eroi” in questi mesi. C’è qualcosa di marcio in Danimarca, ma non per colpa dei “navigator”, ma per responsabilità di chi ha inventato questa bufala dei “navigator”.
Il suddetto Mimmo Parisi spara che “in 65 mila hanno un impiego”, e dichiara di “non sapere” quanti sono frutto delle famose “tre proposte di lavoro”. Ma?! Secondo i dati della sua stessa agenzia, al 31 gennaio: “Sono 39.760 le persone che hanno avuto un contratto di lavoro dopo aver ottenuto il reddito di cittadinanza”.
Vale la pena notare che di quelle 39.760 persone, il 65% hanno ottenuto un lavoro a tempo determinato , il 20% a tempo indeterminato, con altri tipi di contratto tutti gli altri.
Il 46% ci ha messo oltre 180 giorni per trovare un impiego; il 30% tra 91 e 180 giorni, il 18% tra 31 e 90 giorni; poco più del 7% hanno avuto bisogno di meno di trenta giorni per trovare un lavoro.
Solo un quarto di questi 39.760 occupati hanno tra i 25 e i 34 anni e oltre il 60% sono del Sud e delle Isole, il 16% del Centro e il 24% del Nord.
Secondo i dati Anpal (al 1 aprile 2020) i beneficiari totali del “reddito di cittadinanza” sono 991.565 persone, ma quelle che possono stipulare un patto per il lavoro sono 819.129, che corrispondono a 497.423 nuclei familiari. L’Anpal dichiara che al 1 aprile 2020 sono 365.759, il 48% su 819.129 soggetti, quelli che hanno sottoscritto il “patto per il lavoro”. “Possono ad esempio essere esonerati in occasione della convocazione da parte dei Centri per l’impiego, i componenti con carichi di cura legati alla presenza di soggetti minori di tre anni di età o di componenti del nucleo familiare con disabilità grave o non autosufficienti ovvero i frequentanti corsi di formazione e gli occupati a basso reddito, considerati disoccupati ai sensi dell’articolo 4, comma 15 ter della Legge 26/2019” Fateci caso: il comma 15 ter dell’articolo 4 non c’entra nulla, dice che l’attuazione delle disposizioni di cui al comma 15-bis sono senza nuovi oneri ma il 15-bis rimanda ad un altro comma di un altro articolo, che rimanda a un decreto del Ministero del lavoro del 30 giugno 2015, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 20 luglio 2015. Semplice no?
Le donne sono il 52,2% dei beneficiari: al Sud sono il 51,2%.
Nel Nord Est ci sono solo il 6,5% di tutti i beneficiari del sussidio e solo il 5% di tutti quelli soggetti al “patto per il lavoro”
Le famiglie sono al 65% al Sud e nelle Isole.
Gli under 40 sono oltre il 51%, quelli tra i 40 e i 49 anni sono il 22% e quelli tra 50 e 59 anni sono il 20%.
Il livello di istruzione per il 72% è fino alla scuola secondaria di I grado.
Le famiglie dei beneficiari del Patto per il lavoro composte da una sola persona sono il 53,5 %, quelle da due persone sono il 33%, quelle da tre sono il 9,5% e solo il 4% (19.654) sono famiglie con quattro o più persone.
La cosa curiosa è che i cittadini stranieri sono il 31% nel Nord Ovest, il 34,4% nel Nord Est, il 27,7% nel Centro, il 6,1% nel Sud e il 4,3% nelle Isole; in termini assoluti i cittadini stranieri, comunitari e non comunitari, sono al Sud più numerosi che nel Nord Est, ma ciò è dovuto alla forte differenza dei beneficiari italiani.
L’Anpal ha anche stabilito l’indice di “profiling”, ovvero “alla persona disoccupata viene assegnato un indice di profiling. La definizione del profilo personale di occupabilità prevede il calcolo del livello di svantaggio cioè della probabilità di non essere occupato a distanza di 12 mesi. I valori sono compresi tra 0 (facilmente collocabile nel mercato del lavoro) e 1, che rappresenta il grado più elevato di difficoltà nel collocamento.”: “Con un valore dell’Indice che varia da 0,829 per il Nord Est, a 0,846 per il Nord Ovest, a 0,847 per il Centro, si evidenzia come si tratti di soggetti che presentano basse probabilità di accesso all’occupazione, con distanze dal mercato del lavoro che crescono spostandosi verso le regioni meridionali: tanto per le Isole (0,904) che nel Sud Italia (0,890), infatti, l’indice di profiling medio risulta maggiore rispetto al valore medio nazionale (0,881).
L’Inps ci fornisce i dati del sussidio. Intanto consideriamo la “pensione di cittadinanza” erogata a 127.984 persone con una media di 235,53 euro di sussidio. Le persone delle famiglie coinvolte sono 145.245.
Ad aprile 2020, intanto il sussidio di cittadinanza viene erogato a 993.659 persone (Inps) per un importo medio di 554,74 euro. Le persone coinvolte nelle famiglie dei percettori del sussidio sono 2.529.973.
In totale dunque, le persone che ricevono il sussidio sono 1.121.643 per 2.675.218 persone coinvolte: il 90% italiani, il 4% cittadini europei e il 6% cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno UE.
I percettori con minori sono il 35% (396.435). I percettori con presenza di disabili sono il 20% (227.973).
Dall’aprile 2019 a dicembre 2019 sono stati pagati 3.868.342.357 euro di sussidi di cittadinanza. Da gennaio 2020 ad aprile 2020 sono stati pagati 2.087.192.726: la proiezione annua porta a una spesa di 6.261.578.177 euro per il 2020.
Dunque in totale, dall’aprile 2019 all’aprile 2020, sono stati spesi 5.955.535.082 euro, con una media di 909.555 beneficiari al mese e un sussidio medio mensile di 503,67 euro. Il che significa che per ognuno dei 39.760 posti di lavoro sono stati erogati sussidi per quasi 150.000 euro. Desumiamo anche che quelli che hanno ottenuto un posto di lavoro sono solo il 4% dei percettori del sussidio, e il 5% dei soggetti del “patto per il lavoro”.
Si tenga conto che il “reddito di inclusione” distribuito dallo Stato dal gennaio 2018 a marzo 2019 è costato 1.136.121.261 ed era assegnato a 257.009 persone con una media di 294,70 euro mensili. Da aprile 2019 ad aprile 2020 il “ Rei” ha interessato una media di 68.076 persone per 299,24 euro medi mensili e un importo complessivo di 264.825.243. Nel solo mese di aprile 2020 hanno percepito il “rei” 8.763 persone con un sussidio medio mensile di 303,4 e un importo totale di 2.658.681 euro.
Ora, se si fosse raddoppiata la platea degli utenti del reddito di inclusione (destinandolo a 515.000 persone) aumentando la pensione sociale da 460 a 500 euro (oggi la media del sussidio di cittadinanza è 503,67) in questi tredici mesi si sarebbe fatto un minor debito di quasi tre miliardi, che è quanto destinato alla sanità nel cosiddetto “decreto rilancio”.
Ma la cosa più grave non è tanto la bufala della “povertà sconfitta”, quanto che dal sussidio di cittadinanza e da quello di emergenza, si sancisce, si conferma, e per certi versi si accentua, la divisione tra le varie zone del Paese. Invece di creare le condizioni per gli investimenti e per il lavoro, si acuisce il carattere assistenziale dell’intervento dello Stato, in particolare nel Mezzogiorno. Anzi, si arriva a teorizzare che bisogna dare un sussidio a chi lavora in nero e non vuole intaccare il proprio capitale. E se guardate i provvedimenti del coronavirus, si continua nella strada dei contributi a pioggia, a tutti, a scapito di quelli che pagano le tasse e le imposte.
Paolino Casamari
(giovedì 4 giugno 2020)