Il biondismo, al di là della definizione che ne dà il dizionario Treccani (“Colorazione bionda dei capelli, come carattere distintivo di alcuni gruppi etnici; si dice anche del mantello sauro chiaro dei bovini”) è diventato una categoria dello spirito politico (populista-sovranista) del nostro tempo che ha come testimonial principali l’inquilino della Casa Bianca e l’affittuario di Downing Street. Certamente non “biondi e belli e di gentile aspetto”, come Dante descriveva Manfredi di Svevia, ma piuttosto come Obizzo II d’Este, Signore di Ferrara, condannato alle pene dell’Inferno (XII° canto).
È, appunto, con Trump e Johnson che – messi in naftalina gli «ismi» infami del XX secolo: nazismo, fascismo, comunismo – il biondismo è diventato l’«ismo» del nuovo millennio, di cui fanno parte, per diritto pilifero, Marine e Marion Le Pen (zia e nipote), Giorgia Meloni, ma anche il morellino Matteo Salvini, il castano presidente del Brasile Jair Bolsonaro, il brizzolato primo ministro ungherese Viktor Orbán, tanto per citare la crème dell’internazionale biondista, che, badate bene, non ha niente a che vedere con il fatto che le donne preferiscano i “bei biondini”, come quelli cantati da Nilla Pizzi nel motivetto “Avanti e indré” del 1949, o che gli uomini preferiscano le bionde, come suggeriva Marilyn Monroe nel celebre musical “Gentlemen Prefer Blondes”.
Il biondismo ha un padre (poco) nobile nello scarmigliato Steve Bannon – ex consigliere, ex capo stratega del presidente Trump e grande ammiratore di “Little Trump” (come un sito americano dell’ultra destra cristiana ha definito il nostro, altrettanto ex, ministro degli Interni) – che entusiasti elettori filo-biondisti (in testa quelli che hanno finanziato di tasca loro un chilometro di muro al confine tra Messico e New Mexico) vorrebbero alla Casa Bianca nel 2024, ovviamente dopo la rielezione di The Donald nelle presidenziali che si terranno alla fine di quest’anno bisestile.
Comunque, visto che viviamo in tempi accelerati rispetto al secolo scorso, c’è già chi si porta avanti e si chiede come e quando ci scrolleremo di dosso il biondismo, visto che, per parafrasare Giulio Andreotti, il potere, prima o poi, logora anche i capelli.
Che dire. Certo è che per liberarci dal nazi-fascismo c’è voluta una guerra mondiale; per far collassare il comunismo si è dovuto sgretolare il calcestruzzo del muro di Berlino; per spazzare via il biondismo non servirà, potete scommetterci, uno shampoo decolorante. E ho anche la (rabbrividente) sensazione che, per questo, non saranno utili neanche condottieri come i Bernie Sanders, i Jeremy Corbyn, gli Zingaretti di questo mondo.
Franco Cologni
(venerdì 31 gennaio 2020)