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L’”ampio campo”: un ritornello che porta male

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Nel 1991,  la nascita del PDS fu la manifestazione palese che il gruppo dirigente del PCI (colto del tutto impreparato dalla caduta del Muro di Berlino) non voleva  approdare alla socialdemocrazia europea., come sbocco naturale della evoluzione del Pci. Si iscrisse al Partito Socialista europeo, con la autorevole mediazione di Bettino Craxi: operazione che per Occhetto e compagnia, serviva ad accontentare una parte del vecchio PCI ed alcuni intellettuali che si erano fidati di Occhetto, che volevano questa iscrizione e che si illudevano  che ci fosse ancora una “unità” di partito. In realtà quella unità, si era frantumata all’indomani della nomina di Natta a segretario del Pci, poi con la nomina di Occhetto prima a vicesegretario, e poi a segretario (defenestrando Natta, con il pretesto di un suo malore).

Infine vi fu a caccia ai miglioristi che, dopo piazza Tian an men,  giugno 1989, avevano osato dire che il Pci doveva cambiare nome e simbolo ed entrare nei socialisti europei. Pesò in quegli anni la mancata nascita di una corrente organizzata, che portasse avanti in modo organico la proposta della ricomposizione delle forze , socialiste e comuniste, separate dalla scissione di Livorno del 1921 e dai dettami della Internazionale comunista, costruita attorno al “socialismo reale” in un Paese solo.

In realtà, a mio parere, la proposta della ricomposizione dell’unità dei socialisti e dei comunisti doveva essere proposta dal PCI, all’indomani dei risultati elettorali del 1975-1976. Ma questa riflessione merita un esame a parte.

Dopo PDS, DS, Cosa 2, si arriva con la Margherita al PD

Il Partito democratico, nel suo atto di nascita, non si definisce socialista ma “operando in un rapporto organico con le principali forze socialiste, democratiche, progressiste e promuovendone l’azione comune”  vuole  “costruire e consolidare, in Europa e  nel mondo, un ampio campo riformista, europeista e di centro-sinistra”,

Si coltiva così l’equivoco di una forza all’americana, democratica, ma non socialista, che persegue un compito, in Europa e nel mondo,  spropositato per le sue forze, una “terza via”, un “campo” (non ha portato tanto bene parlare di “campo”)  in cui ci sono forze riformiste (chi non è riformista? Anche la Meloni è “conservatrice e riformista”), europeiste ( tutti  sono europeisti , finché c’è da prendere soldi dalla Unione Europea)  e di centro sinistra ( ma Azione e Italia Viva non sono di centrosinistra, secondo le ultime impostazioni di Enrico Letta).

Un equivoco, quello della “terza via” che permane dal 1989, da quella sopravvalutata operazione della Bolognina, che ha portato alla confusione totale, senza alcun ideale o valore condiviso con la socialdemocrazia europea. Si ricordi che nel marzo 1989 (tre mesi prima di Tian an Men e sei mesi prima del crollo del Muro) il gruppo dirigente del futuro PDS aveva fatto un congresso all’insegna del “nuovo PCI”, “un nome glorioso perché cambiarlo”?

Si scioglie il PD, per fare che cosa?

Oggi si va configurando la presenza in Italia delle grandi famiglie politiche europee  (i liberaldemocratici, i popolari europei, i conservatori, i verdi europei, la  destra nazionalista, la sinistra comunista massimalista) rimane l’enigma del PD: un “partito” democratico all’americana, che non ha una  identità socialista democratica europea

Sta di fatto che il Pd non va  ad un congresso, sulla base di un documento politico, che rifletta sulla esperienza dal 2007 ad oggi e metta le basi per un rilancio del Pd con una chiara definizione ideale e valoriale, politica e programmatica: un documento da discutere in tutte le sedi, nei comuni, nei circoli, a livello provinciale, regionale e nazionale.

No, si va di fatto allo scioglimento del PD,  con una decisione della assemblea nazionale, e non di un congresso.

Si va alla Costituente di che cosa?  Di una cosa a cui partecipano anche non iscritti, anche quelli con un’altra tessera o magari che hanno sparato a zero contro il Pd, salvo fare carriera, come la Schlein. Partecipano tutti con gli stessi diritti degli iscritti del Pd.

Per cui chiunque, dai verdi alla sinistra alle 5 stelle, possono partecipare e deliberare la scelta di un candidato a segretario e influire quindi sulla politica, presente e futura.

I dirigenti del Pd  hanno trasformato una sconfitta elettorale, in una disfatta e in una tragedia, tanto da non dare vita a un congresso, ma ad una “costituente”, cioè a una assemblea sessantottina per costituire un nuovo soggetto.

O sono in stato confusionale oppure, cosa più probabile, sono i soliti notabili, capi “corrente”,  che fanno finta di cambiare tutto, si mettono la maschera del nuovismo, del radicalismo di sinistra, ambientalista, magari anche  critico del passato del Pd, e, in modo gattopardesco, cercano di mantenere il loro potere e rilanciare e rafforzare le loro correnti, con le primarie. Cambiare tutto, ma non cambiare nulla, e poco importa che si vada  verso una formazione confusa sia sul piano politico che organizzativo.

“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”

Luigi Corbani

(giovedì 15  dicembre 2022)

1 thought on “L’”ampio campo”: un ritornello che porta male”

  1. pierfranco bianchetti ha detto:
    Dicembre 17, 2022 alle 3:20 pm

    Straordinaria analisi storico politica che meriterebbe di essere insepnrta nelle scuole

    Rispondi

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