Le recenti elezioni del sindaco di Istanbul ci hanno detto molte cose. Intanto sono state un lampo di luce, nel cielo buio di un mondo carico di minacciose nuvole nere.
Una vittoria larga delle opposizioni democratiche unite, contro il clerico-fascista Erdogan. Una cosa elementare che, in Italia, inspiegabilmente, ancora non si capisce. E il clerico-fascismo dilaga.
Aldilà di questa lezione scontata, interessa sottolineare come il primo insegnamento di questa vicenda turca, è all’insegna della speranza sulla dinamica della storia. Ha più fantasia degli uomini. Ed è la vera autrice di quel cambiamento positivo che tutti vantano, ma che, spesso, o non realizzano o lo fanno solo in peggio. Come da noi.
Chi avrebbe mai pensato fino a pochi giorni prima, alla caduta del muro di Berlino? O allo sfaldamento del CCCP sovietico? Oppure alla elezione di un nero a presidente degli Stati Uniti? Poi la storia è anche dispettosa…, complici comunque i singoli popoli, e allora ci ha dato, anche qui imprevisto, il successo di Trump o quello della Lega da noi.
Ma un’altra lezione viene da una simile lettura della storia. E ci insegna che la velocità del cambiamento, oggi, è un fatto indiscutibile che, come ci porta dal bene al male, e dovremmo essere più accorti, ci porta anche dal male al bene, e dobbiamo essere più pro-attivi.
Il fatto di Istanbul, quindi, non è di poco conto. Sia per l’importanza geopolitica, militare (la Turchia è il più importante paese nella Nato, dopo gli Usa) ed economico-sociale del paese. Sia per l’importanza di Istanbul, la vera capitale con 16 milioni di abitanti, 1/3 del PIL nazionale.
Ma è importante perché segna una discontinuità dalla deriva autoritaria che da molti anni, con Erdogan, il paese ha preso mortificando e riducendo ogni spazio di quella democrazia laica, che era un esempio per tutta la regione ed oltre, nata con il mitico Ataturk: dai media, ai diritti umani, civili e politici.
Ma un’altra lezione, che ci arriva è una conferma, su cui riflettere. La divisione, un po’ in tutto il mondo, fra realtà, le urbane e quelle rurali, nei comportamenti elettorali e quindi nei fenomeni politici conseguenti. Le grandi città, da Londra, a Parigi, a Istanbul appunto, ma ovunque, anche in Italia, come hanno le confermato le ultime elezioni europee e amministrative, le realtà urbane esprimono una visione più progressiva della società e, quindi, dei valori che presiedono al suo sviluppo e alla sua organizzazione sociale, politica, amministrativa. Aperte alla modernità, al cambiamento, alle libertà e alla democrazia partecipata. A differenza delle zone rurali, più legate alla tradizione, meno sensibili ai progressi della democrazia necessari alle libertà collettive e individuali, come anche le ultime tornate elettorali hanno dimostrato in Turchia con i successi di Erdogan alle politiche, o in Gran Bretagna con la Brexit et similia.
Insomma, la storia, la politica, la sociologia politica intesa come rapporto stato/società, sono spesso condizionati dai cambiamenti antropologici.
E in questi cambiamenti, evidenti e profondi, l’urbanizzazione, soprattutto metropolitana, gioca un ruolo decisivo.
Ebbene, guardando al mondo ed ai processi storici, la popolazione mondiale si va sempre più urbanizzando, e ormai oltre il 50% vive nelle grandi città, e il processo è in crescita inarrestabile.
Può essere, questo, un motivo di speranza per un mondo più progressista?
Certo, in una prospettiva “sub specie aeternitatis”, penso che questa aspirazione si potrà realizzare pienamente. Ma noi siamo anche impazienti, e vorremmo davvero vedere progressi significativi “hic et nunc”….
La Provvidenza può solo darci una mano…e, nei tempi lunghi, come diceva Keynes su altre storie, saremo tutti morti.
Benito Boschetto
(martedì 26 giugno 2019)