I retroscena della cattura del padrino Messina Denaro, le incertezze della maggioranza parlamentare sulla regolamentazione delle intercettazioni e l’esplosione dell’elicottero che aveva a bordo il ministro degli Interni ucraino, tutte queste notizie sono obiettivamente più calde del rinvio a giudizio dei due pm del processo Eni-Nigeria deciso dal gup di Brescia, cui competono i casi giudiziari relativi alla magistratura milanese. E tuttavia la notizia bresciana ha una sua grande importanza e avrebbe pertanto meritato anch’essa uno spazio in prima pagina sui grandi giornali d’informazione e pure qualche commento all’interno. Per almeno due ragioni.
La prima è una ragione di deontologia professionale. La grande stampa d’informazione si propone al pubblico come indipendente. Ma può dirsi indipendente una grande stampa che spara in prima pagina con assoluto rilievo la notizia del rinvio a giudizio dei vertici dell’Eni per la presunta maxi tangente nigeriana, presentata come la più grande della storia, e poi relega nelle pagine interne o addirittura tace la notizia del rinvio a giudizio dei pm che quell’inchiesta avevano condotto? Intendiamoci bene: l’enfasi di allora era più che giustificata dalla gravità del caso oggetto dell’inchiesta, ma se poi l’inchiesta viene smontata dal Tribunale, che assolve tutti con formula piena, e la stessa Procura generale rinuncia all’appello perché quell’inchiesta non meritava nemmeno di essere fatta tanto era priva di fondamento, e se infine emerge che l’inchiesta non solo non aveva alcuna solidità ma era stata caratterizzata dall’occultamento di elementi di prova favorevoli alle difese, allora c’è ben materia per osservare la par condicio espositiva tra i due rinvii a giudizio. Così non è stato, in barba al sedicente garantismo delle grandi testate. Si promette una linea e se ne segue un’altra.
La seconda ragione per cui la notizia bresciana avrebbe meritato il rilievo, che invece non ha avuto, è di natura squisitamente professionale. Governo e Parlamento stanno affrontando la riforma della giustizia. Il ministro competente, Carlo Nordio, ha più volte manifestato le sue riserve sull’obbligatorietà dell’azione penale e sul ruolo unico dei magistrati. In particolare, si discute se si debbano limitare le intercettazioni alle inchieste di mafia e terrorismo o se vadano lasciate anche per altre ipotesi di reato, corruzione in primis. Ebbene, il caso dei pm milanesi De Pasquale e Spadaro si inserisce perfettamente in questo processo decisionale. E lo fa con la forza di un caso a suo modo esemplare. Era così difficile da capire? Certo, esso non conforta l’Associazione nazionale magistrati e le forze politiche che contestano il ministro. L’obbligatorietà dell’azione penale e il ruolo unico di pm e giudici, entrambi magistrati per quanto le loro funzioni divergano nel processo, si giustificano con il dovere della pubblica accusa di ricercare la verità e non di far prevalere la tesi accusatoria a prescindere. E questo è un dovere che implica l’obbligo di inserire agli atti tutte le informazioni acquisite nel corso dell’inchiesta senza filtri impropri. Nel caso bresciano, che riguarda – giova ripeterlo – l’inchiesta su un’ipotesi di corruzione presentata come la più grande della storia patria, un giudice ha stabilito che le accuse dei pm bresciani relative ai colleghi milanesi non vadano archiviate ma meritino un processo. Un giornalismo di informazione degno di questo nome avrebbe dovuto dare alla notizia il rilievo che la connessione della notizia medesima con la riforma della giustizia determina. Così non è stato.
A questo punto ci si deve chiedere il perché di tanta disattenzione. Certo, l’evidente declino qualitativo delle redazioni può spiegare il “buco” di “Repubblica” e il trafiletto davvero minimo de “La Stampa”. Ma è una spiegazione sufficiente o c’è dell’altro? Più suggestiva è la posizione del “Corriere”. Che schiera il politologo Angelo Panebianco sulla linea garantista oggi impersonata da Nordio, ma senza alcun riferimento ai casi reali che la rafforzerebbero, e il cronista-commentatore Luigi Ferrarella che dà conto della notizia bresciana a pagina 22, ma senza azzardare nessun ragionamento, come invece aveva fatto alla vigilia della sentenza di assoluzione su Eni-Nigeria quando teorizzava l’impossibilità di dimostrare la corruzione internazionale dato il livello troppo alto delle prove richiesto dalla legge. Un colpo al cerchio e uno alla botte, dunque, come spesso si usa al “Corriere” o c’è dell’altro?
Sì, c’è dell’altro. E in tutti e tre questi giornali. Questo “altro” è la debolezza culturale e professionale delle direzioni. Che vorrebbero ancora sostenere la linea dell’Associazione magistrati e a tal fine censurano le notizie scomode (le testate del gruppo Agnelli-Elkann) e si rifugiano nel cerchiobottismo riduzionista (il Corriere di Urbano Cairo), mentre per contrastare la linea di Nordio avrebbero dovuto esaltare proprio la decisione del gup di Brescia quale dimostrazione della capacità della magistratura non solo di riconoscere l’innocenza degli innocenti (come è accaduto con i giudici di Milano) ma anche di perseguire gli abusi degli inquirenti nel corso delle inchieste.
Senonché nessun pasto è gratis: valorizzare il gup di Brescia irriterebbe la procura più potente d’Italia, quella di Milano, e la grande stampa d’informazione non se la sente di aprire un tale fronte. Pazienza se in tal modo conferma una sempre meno comprensibile dipendenza dalla corporazione togata più ideologizzata accanto alle sempre più forti dipendenze dal potere economico e finanziario e dalla pubblicità, almeno giustificabili – direbbe un osservatore cinico – con le esigenze di bilancio e di carriera.
Devil
(giovedì 19 gennaio 2023)
È una Novità la collusione dei poteri tra loro? È solo un modo per sostenersi a vicenda. Non solo ma non sfugge a nessuno la capacità di ricatto di entrambi i poteri, media e soprattutto magistratura. Lo spirito currittivo è una componente strutturale di ogni potere. Certo che quello dei magistrati è ancora più scandaloso. Ed noi è proprio un cancher!!!!