Spero tanto che prevalgano gli interessi primari del Paese a piccole questioni di nomi o di bandiere elettorali. La storia dei due forni o dei tre forni non dovrebbe mettere in allarme il PD: se le 5S vogliono tornare con la Lega, si fanno del male da soli e fanno un danno al Paese, non al PD o al centrosinistra. Un governo giallonero bis sarebbe una farsa, dopo la tragedia del primo “governo del cambiamento”: come è noto, il termine “cambiamento” è ambivalente e quasi sempre ha una valenza politica negativa. Per cui, al peggio non c’è limite: se il centrosinistra coltivasse interessi di parte, potrebbe tifare per una riedizione del governo 5S-Lega, poichè entrambi i partiti farebbero una figura meschina senza confronti. I rischi in questo caso sono triplici: un danno per i conti pubblici e per l’economia, un isolamento dell’Italia in Europa e nel mondo, un aumento del disprezzo nei confronti della politica e del sistema democratico e una ulteriore disaffezione dal voto. A pagare i conti di questa crisi politica sarebbero i ceti meno abbienti e l’intero sistema Paese.
Per questo, i richiami del Presidente della Repubblica non possono essere considerati puramente formali, anzi. Le elezioni anticipate dopo un anno dalle precedenti sono l’espressione della crisi del sistema politico, non sono un rimedio farmacologico di una malattia, sono una malattia grave del sistema parlamentare, incapace di essere responsabile di fronte ai problemi e di trovare soluzioni adeguate. In un sistema parlamentare come il nostro, che per quasi cinque decenni ha vissuto con una legge elettorale proporzionale e che ha consentito all’Italia di uscire dal baratro della guerra e di diventare una delle maggiori economie del mondo, la terapia di una crisi di governo è la formazione di un altro governo – si auspica – più capace del precedente. Le elezioni anticipate dopo appena un anno dalle precedenti sono la dichiarazione di decesso, non del Parlamento, ma del sistema politico tutto: forze di governo e di opposizione, che dichiarano la loro incapacità e impotenza.
Ora, nella situazione data, l’Italia ha bisogno di rilanciare lo sviluppo economico e sociale, di aggiustare i conti, di contenere il debito pubblico e la spesa per interessi (per questa voce, spendiamo più che per la scuola e l’università); ha bisogno di contribuire all’avvio di una nuova stagione dell’Europa, per una crescita anche civile, culturale e ambientale del nostro continente, con l’aumento della occupazione femminile e della popolazione attiva; ha bisogno dell’Europa e di una maggiore integrazione dei sistemi fiscali, assistenziali e previdenziali e di sicurezza interna ed esterna, di immigrazione legale, controllata e programmata; ha bisogno di svolgere una presenza efficace nel consesso internazionale, nello scenario del Mediterraneo e dei rapporti dell’Europa con l’Africa. In questo ambito ci stanno anche le riforme costituzionali. E se qualcuno considera queste ultime prioritarie, lasciategli la soddisfazione, purché ci sia un impegno serio sulle questioni economiche, sociali, ambientali, culturali e civili, a partire dalla manovra di bilancio e dai documenti di programmazione economica.
Non mi sembra neanche dirimente la conferma o meno di Conte alla presidenza del Consiglio. Ho già detto che metterei anche Gentiloni nella squadra di direzione del governo di centrosinistra-5S: come segnale forte, lascerei a casa tutti i ministri e sottosegretari dei governi Conte e Gentiloni.
Quando sento che la presenza di Conte diventa il casus belli, mi viene in mente quello che fece il PCI di Togliatti in un contesto ben più drammatico e con un aspetto ideologico ben più lacerante. Settantacinque anni or sono, il PCI decise con la svolta di Salerno di anteporre la guerra contro il nazifascismo a tutte le questioni ideologiche e politiche: ci si alleava con la monarchia, con quelli che avevano favorito a suo tempo il fascismo, si accettava Badoglio (che ne aveva combinate di tutti i generi, dalla Prima guerra mondiale, alla Tripolitania, alla Cirenaica, all’Etiopia, fascista e monarchico) e si accettava anche la monarchia (senza abdicazione ma con il passaggio dei poteri al Luogotenente del Regno, sulla base di una mediazione di Enrico De Nicola, poi primo presidente della Repubblica italiana) e si rinviava tutto l’assetto istituzionale e costituzionale a dopo la fine della guerra. Venne superata anche la contrarietà del PSIUP di Pietro Nenni e Lelio Basso e del Partito d’Azione di Ugo La Malfa e Leo Valiani. Come ebbe a scrivere nelle sue memorie, Ivanoe Bonomi, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale: “Proprio vero che in politica i fatti sono quelli che si incaricano di far giustizia delle passioni del momento».
E speriamo che la storia sia davvero un insegnamento per il presente: meglio guardare ai problemi reali che ai nomi, per quanto significativi e rilevanti.
“”La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(sabato 24 agosto 2019)
caro Luigi condivido la tua lucida analisi
Ma consentimi uno sfogo
Siamo di fronte ad un pericolo
grave per la democrazia e grazie all’incapacità del maggiore responsabile di questa minaccia abbiamo la possibilità di scongiurare il peggio :Borghesio o chi
per lui presidente della Repubblica per non dire d’altro
Persone normali sfrutterebbero
l’occasione e accetterebbero
di tutto o quasiper non riproporre il governo del truce o le elezioni
che darebbero ulteriori poteri
a questa masnada di sfascia carrozze
Mi auguro che prevalga un briciolo di responsabilità e finisca questa commedia della discontinuità