Nel giro di un mese, tra Abruzzo e Sardegna, hanno votato più di 2,6 milioni di persone: quasi il 6% del corpo elettorale italiano. Ora Dibì dice che non bisogna paragonare pere e mele: bisogna ricordargli che pere e mele fanno parte dello stesso raggruppamento delle Pomacee, per di più d’inverno si fanno marmellate e torte di pere e mele, insieme.
In realtà, le politiche e le regionali sono le due elezioni più confrontabili. Sta di fatto che le 5S a marzo 2018 avevano quasi 672.202 mele e si sono ritrovati un anno dopo con 186.923 pere. Hanno perso per strada quasi tre quarti del carico (485.279). Non sono credibili come forza di governo: possono essere visti come una legittima protesta, come uno schiaffo agli altri partiti, ma non come una forza capace di governare. Si noti che i voti persi dalle 5 S sono più di quelli che la Lega e il Partito sardo d’azione hanno preso tra Abruzzo e Sardegna (315.081). Significa che la Lega non riesce a recuperare quanto perdono le 5S: mancano infatti 369.418 voti. Nonostante l’incremento dei voti della Lega, i giallo neri passano dal rappresentare il 53% dei voti delle politiche al 37% delle regionali. E questo è un dato politico, non solo elettorale: la coalizione giallo nera non tiene e alla fine risulta minoritaria. Con buona pace di Dibì e del baùscia. Il quale può certo dichiarare di aver fatto sei a zero con la sinistra, ma deve confessare a sé stesso prima che agli altri, che vince con il centro destra, e solo con il centro destra. Con un particolare: la Lega non riesce a recuperare quanto perde Forza Italia: infatti, insieme con il Partito sardo d’azione, recupera 115.861 voti ma ne lascia per strada più di dodicimila. Di fatto, sono altre liste del centro destra che guadagnano, (più di centotrentaduemila voti). E mentre alle politiche il centrodestra aveva il 33% dei consensi dei votanti, alle regionali 2019 ha il 49%.
Sta di fatto dunque che il calo di Forza Italia non coincide con una egemonia incontrastata della Lega, anzi, mi sembra di cogliere che il dato della Sardegna, con un misero 11,3%, (dietro al PD primo partito dell’Isola) conferma che il trend leghista in ascesa mostra segni di rallentamento e di affanno.
A mio parere sono evidenti i segni che lascia sulla Lega la vicenda dell’immunità (rifiutata prima e richiesta a gran voce dopo), l’inconcludenza della politica sulla immigrazione, e la difficoltà di rappresentare istanze del centro sud e nel contempo quelle dei ceti produttivi del Nord.
Di qui un certo nervosismo che è destinato a crescere da oggi al 26 maggio delle Europee: perché la Lega nazional populista lepenista, da una parte non riesce a intercettare in maniera consistente l’elettorato in uscita delle 5S, dall’altra non vorrebbe tornare ostaggio nella gabbia del centrodestra. Le sue ambizioni maggioritarie si infrangono man mano che passano i giorni e quindi cerca di divincolarsi, sgomitando e aggredendo verbalmente ex alleati e attuali alleati. In quest’ultimo caso lo fa più sommessamente, poiché pende il voto dell’aula del Senato sul caso della “Diciotti”. Per cui sta buono, difende Dibì, rinuncia o rinvia Tav, autonomie differenziate, legittima difesa, perché ha bisogno delle 5 S, dando per scontato che il centro destra lo sostenga comunque.
Alcuni commentatori (ovviamente, autorevoli) si sono lanciati sulla storia del bipolarismo: è tornato, è tornato ! A parte che il bipolarismo non è mai stato un fatto politico, ma solo un dato elettorale, che non ha mai garantito una reale stabilità politica (tanto che si sono fatte quattro leggi elettorali in venticinque anni per cercare di rimediare, a fronte di una sola legge in cinquant’anni), bisogna che si mettano l’animo in pace: il bipolarismo non esiste.. Se ne facciano una ragione: la politica prende sempre il sopravvento sugli artifici elettorali, che non durano neanche una legislatura. Quelli che da “apprendisti stregoni” erano camuffati da “commentatori” hanno combinato tanti di quei guai che non dovrebbero più farsi vedere sui giornali e in televisione: non parliamo poi di quelli che in questi anni, hanno pensato dalla direzione di qualche giornale, di combinare la vita politica e di farla andare in un certo verso, sostenendo persino formazioni create nei salotti.
Le elezioni hanno dimostrato anche una ripresa, sia pure modesta, della sinistra, che non è sparita, come andavano ripetendo nei vari talkshow i maestri del pensiero politico.
Con i voti, sia pure molto meno di prima, c’è una ripresa della sinistra, ma quello che manca è una politica, una iniziativa politica, nel Parlamento e nel Paese, che per esempio sappia far emergere le contraddizioni e i contrasti nel governo su due questioni fondamentali: la TAV e le autonomie differenziate.
Ma forse, su questi due temi, che dovrebbero essere affrontati prima delle elezioni europee, anche la sinistra o il PD hanno dei mal di pancia, che non sanno curare.
Luigi Corbani