Il modo più sicuro per conoscere dove sta andando la Sanità pubblica milanese è quello di fare come i due famosi personaggi di Beckett, Vladimiro ed Estragone, che sulla scena dicono “andiamo” per poi rimanere immobili.
Così sono anni che una gloriosa storia di eccellenza come l’Istituto Neurologico Besta arranca tra annunci e false partenze, immobile in un futuro a destinazione variabile. E cosi è anche per il vicino Istituto Nazionale dei Tumori: era l’altra Scala di Milano, secondo il New England Journal of Medicine, riferimento mondiale di ricerche e terapie innovative, ma da tempo vive un destino ingiusto e penalizzante, condizionato dalla politica e dalla nascita di IEO e altri Cancer center negli ospedali privati convenzionati.
Un caso patognomonico, avrebbe detto Umberto Eco, indice di una situazione malata e di una politica sanitaria che nell’imminenza di un discusso trasloco interroga Milano, la sua memoria e il senso di quella che era la capitale della scienza e della ricerca chiamata “Città Studi”, nata proprio cent’anni fa con i due ospedali e l’Università Statale.
Ci sono cose che si possono fare, altre che lasciano dubbi e altre ancora che non si dovrebbero fare.
Nel caso del trasloco di Besta e Istituto Tumori a Sesto San Giovanni siamo alla variante più rischiosa: si fa lo stesso, anche se è sbagliato.
La destinazione nell’ex area Falck è un piatto ricco per la politica, con un ghiotto contorno immobiliare.
I costi lievitati di 200 milioni e i tanti incidenti di percorso però non fanno notizia. Due monumenti della Sanità cittadina e nazionale sono in sofferenza. Ma per Milano sembra più importante parlare di San Siro.
Il Besta è il caso più eclatante. Da 30 anni è in attesa di una collocazione degna del rango di ospedale di riferimento nazionale e internazionale per la neurochirurgia e le neuroscienze. L’edificio di via Celoria è inadeguato.
Il trasloco è un romanzo beckettiano scandito da annunci politici, cartine e plastici finiti chissà dove, progetti finanziati con soldi pubblici e mai decollati.
Nel Duemila, quando l’ex sindaco Albertini firmò un accordo di programma con la Regione, sembrava che l’ospedale dovesse cadere a pezzi. Una domenica d’estate il Comune venne convocato d’urgenza dall’allora ministro della Sanità, Umberto Veronesi.
Esito dell’incontro: trasloco del Besta nel quartiere Bicocca, su un’area lasciata libera dalla Pirelli, accanto all’Università. Nuova sede anche per l’Istituto dei Tumori, in cerca di spazi e soffocato in via Venezian: andrà nell’edificio dismesso dell’ex Maserati, a Lambrate.
Destini separati e tutti soddisfatti, con la benedizione del nuovo ministro della Sanità, Girolamo Sirchia. Siamo al 2004. Nel 2009 è prevista l’inaugurazione, ma il “progetto ormai esecutivo” slitta fino alla dissolvenza, come nei film di Antonioni.
Addio Bicocca. Si ferma tutto.
Il Besta diventa una pallina da flipper. C’è chi lo immagina a fianco dello IEO. Chi lo aggrega a un altro progetto mai nato: il Cerba, la cittadella della scienza sognata da Veronesi.
Poi si pensa al Policlinico. No, meglio Niguarda, suggerisce un assessore. Nel settembre 2010, colpo di scena.
Il presidente della Regione Formigoni annuncia la nascita della “Città della Salute”: Besta e Tumori traslocheranno al Sacco, dall’altra parte della città, a fianco dell’ospedale che diventerà un grande e attrattivo polo universitario in vista di Expo 2015. La valorizzazione dei terreni circostanti lascia qualche sospetto, ma la “Città della Salute” supera ogni dissenso: è un unicum per la Sanità pubblica.
«Abbiamo imboccato la strada del non ritorno», dice il presidente del Besta, Alessandro Moneta.
Nasce un Consorzio, due milioni di euro stanziati per le spese, un presidente e un direttore generale in pectore. Costo stimato dell’operazione 520 milioni di euro. Inizio lavori entro l’ottobre del 2011.
Ma non parte nemmeno un cantiere. Si litiga sulla stazione appaltante. Formigoni e il presidente del Consorzio, Luigi Roth, hanno idee e cordate diverse. Alla fine il braccio di ferro lo vince il più forte: Roth viene dimissionato e la Regione ritira il progetto. Motivo ufficiale: costi imprevisti della bonifica. Una figuraccia, subito archiviata. Si va ai supplementari. E la destinazione è un quiz.
Formigoni offre al Comune l’opzione di scelta. Ma non c’è tempo. Dietro le quinte si delinea l’opzione Sesto: l’area ex Falck per banche e investitori è una voragine da tamponare che mangia centinaia di milioni. L’ultimo progetto del costruttore Zunino è stato seppellito dalla crisi dei subprime e lui dal crack miliardario: doveva portare nell’ex Falck la sede di Sky che invece finirà a Rogoredo. Nello stallo il Comune di Sesto e la Regione, con Pd, Cl e Centrodestra, trovano un’intesa politica. Il Comune di Milano presenta in extremis una proposta senza futuro: la caserma Perrucchetti. Inutile. L’area di Sesto è la più conveniente e la più attrezzata. Cosi la Città della Salute emigra.
Ma non è finita. C’è ancora il caso Formigoni: il presidente indagato per corruzione deve dimettersi, sarà arrestato e condannato. Al voto cambia la presidenza, arriva il leghista Maroni. A Sesto intanto i costi si impennano, tra bonifiche e imprevisti: arrivano nuovi investitori sauditi e l’architetto Piano abbandona: non è la sua idea di urbanità.
Nel 2013 il temporaneo assessore alla Sanità, Mario Mantovani, smonta la vecchia intesa e riapre il valzer degli ospedali: «C’è l’urgenza di riammodernare nel più breve tempo possibile il Besta. Il suo trasferimento a Niguarda può essere una soluzione veloce ed economica”. Game over? Neanche per sogno.
Salta Mantovani e nel 2017 il Corriere annuncia: Besta e Tumori pronti nel 2021.
Ricomincia la partita a flipper. Trasloco aggiornato al 2023. Infine, 2025. Anzi, 2026.
Ma nessuno ci crede. Il Besta oggi vorrebbe uno spazio nel nuovo Policlinico. Senza un ospedale generalista accanto, andare a Sesto è un non senso, dicono autorevoli primari. Intanto piovono i calcinacci…
Questa è la storia di un’avanguarda sanitaria, in una città che ha perso la memoria.
Ma più che una storia, sembra una saga: quella degli errori.
Giangiacomo Schiavi
(per gentile concessione, dall’ultimo numero di
CITTÀ n. 14 – Novembre 2023)
Schiavi ..caro amico ..come sempre ci azzecchi…Luviana Baldrighi