Nulla accade per caso, potrebbero dire le 5S.
Si sono svegliati con l’arresto di un loro leader, potente a Roma, e sono andati a dormire dopo aver salvato Salvini dai magistrati. Le 5S sono state coerenti: lo stato di diritto non esiste, esiste l’interesse di parte. Prima, la poltrona: è il motto di Dibì, ovvero del vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dello Sviluppo Economico (si fa per dire, vista la recessione), nonché capo politico e padrone delle 5S.
Oltretutto si è fatto prendere in giro da Salvini, quando al Senato costui ha detto “le cose si fanno in due”: ovviamente non pensava a cose sconce, stava parlando del caso Diciotti, mentendo, sapendo di mentire. Perché i giornali sono lì a dire come nell’agosto 2018 il segretario della Lega abbia rivendicato a sé e solo a sé la decisione di sequestrare 177 persone per piegare l’Europa a fare quello che un mese prima al tavolo della trattativa con i Ministri degli Interni dell’Unione europea non era riuscito ad ottenere. Ma la cosa bella è che le 5S hanno applaudito Salvini per quella frase: della serie, come farsi male con le proprie mani, confermando in tal modo che la politica sulla immigrazione della Lega non è subìta, ma è la politica delle 5S.
Di fatto, le 5S, insieme al centrodestra – una bella ammucchiata, si diceva una volta, ma adesso non è una espressione “politicamente corretta”, pare – hanno detto che i magistrati non devono impicciarsi: i Ministri possono sequestrare delle persone per seguire una politica votata dal popolo. Un fine ragionamento politico e giuridico: noi possiamo fare cose extra legem o contra legem, perché abbiamo con noi il popolo sovrano.
Personalmente, ma forse è solo una mia sensibilità, mi fa più paura un Ministro che sequestra delle persone per realizzare i propri fini politici, di un Ministro che ruba. Se poi sequestra e ruba, mi fa ancora più paura, perché significa che pensa di essere sopra la legge, comunque.
Dopo aver salvato un inquisito, nello stesso giorno, il capo politico delle 5S espelle, ipso facto, il suo rappresentante al Comune di Roma, arrestato: senza procedura, senza probiviri, senza un minimo di garanzia, senza la possibilità per il suddetto grillino di difendersi. Penso a quanti articoli di giornali, a quante lezioni di democrazia, di libertà e di diritto sarebbero stati scritti se la cosa l’avesse fatta il segretario del PCI: vi ricordate gli articoli a demonizzare il centralismo democratico ?
Forse sarebbe bene definire, con legge, cosa voglia dire “associarsi liberamente”, come scritto all’articolo 49 della Costituzione. Non credo che un partito o un gruppo rappresentato in Parlamento “possa concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” senza avere regole democratiche e di garanzia per i suoi associati: sarebbe in contrasto con i principi costituzionali.
Questo De Vito, definito il cuore delle 5S a Roma, viene scaricato come un limone spremuto, come se fosse un marziano capitato per caso. Di Maio non dice neanche, avendo una lunga frequentazione con lui, “confido che dimostrì la sua innocenza”. Neanche il beneficio del dubbio. Scaricato come immondizia: si espelle senza alcuna procedura di garanzia, una persona, che, allo stato dei fatti, è agli arresti cautelari per un reato che deve essere dimostrato dal giudice inquirente in un dibattimento davanti a un magistrato giudicante,
Ma dello Stato di diritto se ne fanno un baffo, ovviamente. Per il semplice fatto di essere inquisito, è colpevole (non così per Salvini, ovviamente) e deve essere allontanato dalle 5S. Giustizia sommaria, si diceva una volta.
In un Paese in cui lo Stato paga in media 38 milioni all’anno per risarcimenti per ingiusta detenzione o per errori giudiziari, una qualche cautela sarebbe, non solo giusta nel rispetto di uno stato di diritto, ma politicamente corretta.
Ha ragione Sebastiano Messina quando scrive: “Un amministratore incapace è peggio di un amministratore disonesto. Peggio di un amministratore incapace c’è solo un amministratore incapace e disonesto”
Bisogna però considerare due aspetti. L’incapacità di amministrare si tocca con mano tutti i giorni, e Roma ne è un esempio più che evidente. La disonestà si constata solo dopo una condanna passata in giudicato. Perché l’imputato è colpevole, solo quando sia giudicato colpevole, oltre ogni ragionevole dubbio, in tutti i gradi di giudizio.
Il signor De Vito non è il mio eroe preferito, non lo conosco e solo per il fatto che amministri Roma è da condannare, sul piano politico. Sul piano penale, aspetto una sentenza definitiva: allo stato attuale dei fatti è solo un imputato.
Ma è da condannare ancora di più sul piano politico, un personaggino che non conosce le elementari regole del diritto e del rispetto delle persone, ma che per la poltrona è disposta a tutto, anche ad umiliare il padre.
Luigi Corbani