Questa coalizione di potere, realizzata anche per le grandi, narcisistiche ambizioni dei due vicepremier, ha la sua base programmatica su una visione semplice: “povertà pubblica, ricchezza privata”. Il popolo italiano ha sempre avuto un rapporto conflittuale con lo Stato, temperato al nord da una secolare presenza di una amministrazione pubblica più efficiente che da altre parti del Paese. Lo Stato in generale è considerato una cosa distante, che non ci appartiene, e le proprietà dello Stato, del Comune non sono un bene comune. E l’atteggiamento in generale non è quello del cittadino che ha dei doveri e dei diritti. Le cose che contano sono la furbizia e le relazioni. Si aggiunga che da quasi trent’anni a questa parte si è puntato tutto su una cultura dell’individualismo, con il corollario di soldi, sesso e bella vita. Modelli distribuiti a piene mani dai media, privati e pubblici, nell’epoca del berlusconismo: il bene comune viene dopo, persino non pagare le tasse è un vanto: “più privato e meno stato”.
Interpreti fedeli di un cultura per cui lo stato è un puro erogatore di servizi assistenziali e di denaro, se fate attenzione, tutti i programmi dei giallo neri non erano basati sullo sviluppo dell’economia italiana, sul contenimento della spesa pubblica corrente e sull’impegno a contenere il disavanzo pubblico, per liberare risorse per gli investimenti: al contrario hanno imputato all’’Europa di non avergli lasciato mano libera per andare a disavanzi maggiori, e di finanziare tutti i loro programmi a debito.
L’Italia è arrivata a novembre 2018 a 2.345 miliardi di euro di debito (+ 81 miliardi su dicembre 2017): il che vuol dire che ogni italiano ha sulle spalle 38.770 euro di debito (siamo 60.483.973 abitanti). Questa situazione pesa sul presente, perché con l’aumento dello spread noi paghiamo di più i nostri debiti; nel bilancio 2019 è previsto un aumento del costo di 4,5 miliardi. Si consideri che dal 2007 al 2016 abbiamo pagato 756,4 miliardi di interessi sul debito, una media di 70 miliardi all’anno, con una percentuale tra il 4 e il 5% del prodotto interno lordo: detto in piccolo, un euro ogni 20 euro, prodotti con il lavoro in Italia, va a pagare gli interessi sul debito; in sostanza spendiamo di più per gli interessi sul debito di quanto spendiamo per la scuola. E poi dicono che il debito non pesa sulle nuove generazioni.
Per inciso, non capisco ancora perché il governo Monti, in una fase di emergenza come quella del 2011-2012, non abbia introdotto, anche pro tempore, una imposta patrimoniale straordinaria, destinata ad abbattere il nostro debito e abbassare quindi il costo che ogni anno abbiamo per gli interessi. C’erano tutte le condizioni politiche e la situazione contingente spingeva ad affrontare un debito che nel 2012 era di 1.990 miliardi, pari al 123,33% del PIL (1.613 miliardi): Tanto, che era un governo di affamatori, lo avrebbero detto lo stesso: almeno avremmo abbattuto drasticamente il debito e gli interessi.
Il dramma è che l’attuale compagine di governo non si pone neanche questi problemi: voi sentite parlare di lotta all’evasione fiscale (Iva, Irpef, Ires, Irap), all’evasione contributiva (per lavoro in nero, in seminero o irregolare), all’evasione di Imu e di imposte sui canoni di locazione, alla evasione assicurativa? Si pensi che quasi il 50% del patrimonio edilizio al Sud è abusivo. Secondo le stime del Ministero dell’Economia, ufficiali e allegate al bilancio 2019, si calcola, secondo parametri stabiliti a livello internazionali, che l’evasione fiscale sia di 97 miliardi e quella contributiva sia di 10,7 miliardi, il che fa un totale di 107,7 miliardi, superiore al 24% delle entrate tributarie (456 miliardi). Stiamo parlando di una evasione che sta tra il 5 e il 10% del Pil.
E chi si azzarda ad affrontare questo problema?
Paolino Casamari
La morale è quella solita: “il convento è povero e i frataccioni sono ricchi”!