Nessun quotidiano nazionale ha riportato la proposta lanciata ieri da Maurizio Martina di istituire un salario minimo legale europeo.
Peccato, perché la proposta è molto interessante e anche molto intelligente e opportuna.
La proposta di Martina valorizza il lavoro e, in un clima di rinnovate pulsioni e di letali politiche di puro assistenzialismo, già la rende meritevole di attenzione. Il reddito di cittadinanza, unica sostanziale preoccupazione del Movimento 5 Stelle, non premia il lavoro vero, rischia, al contrario, di favorire il lavoro nero e rende attraente pure il lavoro zero. È uno stimolo ai nullafacenti e avvilisce i lavoratori.
La proposta di Martina, invece, mette, nuovamente e finalmente, al centro dell’agenda politica, il lavoro non solo come fonte di reddito, ma anche come sorgente di dignità personale e di ruolo sociale. Il lavoro è l’elemento fondante della cultura del movimento operaio e della sinistra. Del “riscatto del lavoro” cantava infatti l’Inno dei Lavoratori scritto da Filippo Turati nel 1886.
Nessuno, a sinistra, ha mai invocato il diritto all’ozio (remunerato dallo Stato, per giunta).
La proposta di Martina tende altresì a mettere ordine nelle giungla dei diversi trattamenti retributivi (ma anche fiscali e previdenziali) delle varie forme di lavoro contemporaneo: da quello garantito dai contratti collettivi nazionali, a quello delle partite IVA (che però si riferiscono a lavori molto diversi tra loro per reddito, qualità e condizioni) a quello precario. La proposta Martina ha infine il vantaggio di riferirsi a una perequazione a livello continentale europeo.
“Occorre liberare il lavoro e garantire meglio la progressività fiscale anche abolendo alcuni regimi fiscali speciali per recuperare risorse da investire nell’abbattimento della pressione fiscale del ceto medio. Occorre detassare strutturalmente il lavoro a tempo indeterminato per farlo costare sempre meno all’azienda e per lasciare più soldi in tasca al lavoratore. Occorre il salario minimo legale per chi non è coperto da contratto nazionale e una legge sulla rappresentanza per contrastare il dumping salariale. Bisogna vietare i tirocini gratuiti e implementare l’equo compenso per il lavoro autonomo partendo dalla pubblica amministrazione. Occorre rendere strutturali gli incentivi all’assunzione degli under 35 e sostenere la partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa. Occorre estendere subito anche ai lavoratori della gig economy la disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente per combattere le finte collaborazioni. Dobbiamo porci l’obiettivo di garantire una quantità di base di una risorsa preziosa sempre più scarsa che è il tempo. Serve introdurre per legge un tetto di ore mese sul modello tedesco così da favorire nuova occupazione e un maggior equilibrio tra tempi di vita e di lavoro. Serve potenziare e allargare gli ammortizzatori sociali in chiave universalistica.”
Questa la proposta di Maurizio Martina il quale, essendo bergamasco e frequentando le Regioni del Nord, ha senz’altro in mente e a cuore le ragioni dei ceti produttivi di queste Regioni che sono vaccinate da tempo dal virus dell’assistenzialismo statale. Senz’altro più dei suoi concorrenti alla Segreteria Nazionale del PD, sia detto per inciso. D’altra parte, Martina è stato un Ministro delle Politiche Agricole molto impegnato ed è stato un interlocutore estremamente affidabile per tutti coloro i quali hanno frequentato il Ministero. Sempre detto per inciso, il suo successore sembra, a chi ha legittimi interessi in materia, decisamente non pervenuto in quelle stanze.
Peccato, dunque, che nessun quotidiano nazionale abbia ripreso la proposta di Martina. Disattenzione del sistema dei media? Complotto mediatico? Marginalità e irrilevanza del PD e di chi lo rappresenta? Mah! Dilettantismo comunicazionale dei proponenti? (In effetti, se proprio vogliamo avanzare una critica di metodo, non avrei certo affidato il lancio di una simile proposta a un blog). Possiamo solo auspicare che tale proposta venga presa in seria considerazione dall’opinione pubblica, dagli elettori e dai legislatori nell’interesse dei lavoratori e degli aspiranti tali.
Astenersi nullafacenti.
Pepito Sbazzeguti