Notre-Dame di Parigi è qualcosa di più di un monumento storico della Francia. L’edificio è di proprietà dello Stato francese ed affidato per l’utilizzo alla Chiesa cattolica. È un edificio carico di esperienze umane e cristiane, e, come dice il sito della cattedrale, è prima di tutto “la Maison de Dieu et la Demeure des hommes”. È un luogo di culto, ma è il luogo della storia europea da Giulio Cesare a Napoleone, a De Gaulle, a Pompidou, a Mitterand. Pensiamo al significato e all’emozione dei democratici dell’Europa, ancora sotto i regimi nazisti e i fascisti, per il fatto che il 26 agosto 1944 il generale De Gaulle guidasse un corteo dall’Arco di Trionfo alla Cattedrale di Notre-Dame per una celebrazione religiosa con l’esecuzione di un “Magnificat” per la liberazione di Parigi.
L’Unione Europea dovrebbe dichiararlo “monumento dell’Europa” e destinare risorse al suo recupero integrale. Questo sarebbe un passo verso una politica culturale che metta al centro dell’Europa unita il patrimonio su cui si basa la nostra identità europea. Gli Stati Uniti d’Europa hanno la loro prima ragione d’essere nelle comuni radici religiose e nella cultura, che non ha mai conosciuto né confini, né barriere, nonostante le divisioni territoriali: religiosi, architetti, scultori, pittori, musicisti, letterati hanno “globalizzato” l’Europa. Gli uomini e le loro idee hanno creato un sistema di relazioni comuni più forti delle tante guerre che hanno attraversato il nostro continente e degli Stati e Staterelli. E il fuoco a Notre-Dame ci spinge a pensare e a guardare più in là del nostro io, della nostra casetta nazionale: Notre-Dame non è francese, è europea, è di tutti noi.
Sì, anche perché grazie all’Europa unita, in quei 13 milioni di visitatori all’anno, più di 30.000 visitatori in media al giorno, ci sono moltissimi italiani che hanno visitato quella cattedrale e che magari non hanno mai messo piede nel Duomo di Milano. Ci pensino coloro che si bevono la storiella del “prima gli italiani”: da quando possiamo andare in giro liberamente per l’Europa, ci sentiamo tutti meglio: e grazie al mercato comune europeo, e all’euro, milioni di italiani, non solo i ricchi, hanno potuto vedere Notre-Dame e la tour Eiffel, visitare il Louvre (magari non hanno visto gli Uffizi di Firenze o la Pinacoteca di Brera), mangiare nei bistrots.
Mentre vedevo le fiamme, pensavo anche alle api di Notre-Dame. Anni addietro, un bravissimo violoncellista della Verdi, con una passione fenomenale per le api, mi disse che l’ambiente della città è formidabile per le api. Pensavo mi prendesse in giro, ma poi ho scoperto che sul tetto di Notre Dame, nella zona della sagrestia, che dà sul giardino Giovanni XXIII, ci sono degli alveari, curati per “ricordare la bellezza della Creazione e la responsabilità dell’uomo nei suo confronti”. Si aggiunga che il patrono di Milano, Sant’Ambrogio, ha come emblema le api ed è anche santo patrono degli apicoltori. “Ciò che fa la gloria dell’ape non è la sua laboriosità – dice San Giovanni Crisostomo – ma il suo lavoro per il bene comune”. Scrive il sito della cattedrale gotica: “La città è un rifugio per le api. In città, le temperature più calde, la diversità delle piantagioni, i metodi di coltivazione senza fertilizzanti e pesticidi, la proliferazione di spazi verdi, le piantagioni su terrazze, davanzali e cortili allettano le api. Nei giardini, le fioriture si sono diffuse dalla primavera all’autunno e le api hanno molto da coltivare per buona parte dell’anno. Un’ape depone 700 fiori al giorno in un perimetro di tre chilometri attorno all’alveare. La maggior parte delle piante non può vivere senza le api. Il loro ruolo è indispensabile in natura. La presenza delle api è un segno di buona salute del nostro ambiente e la loro conservazione è indispensabile per salvare il pianeta”. Dove ci sono le api, c’è la vita: Notre-Dame deve tornare a vivere per tutti noi europei.
Luigi Corbani