Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna, Bologna, 22 febbraio 2019.
Cooperare per proteggersi
La globalizzazione ha profondamente cambiato la natura del processo produttivo e aumentato l’intensità dei legami tra paesi. La proprietà transnazionale di attività finanziarie è oggi il doppio del PIL mondiale: nel ’95 era pari al 70%. Il commercio con l’estero è aumentato da circa il 43% del PIL mondiale nel 1995 a circa il 70% di oggi. E circa il 30% del valore aggiunto estero è oggi prodotto attraverso catene del valore [4].
A livello mondiale ciò non è tanto il risultato di scelte politiche quanto il frutto del progresso tecnologico nei trasporti, nelle telecomunicazioni, nei computer e nel software che ha reso conveniente lo scambio globale e la frammentazione produttiva [5].
L’Unione europea, sia per le scelte politiche del passato sia per la vicinanza geografica dei suoi membri, è, per i paesi che ne fanno parte, di gran lunga la più importante area commerciale. La maggior parte del commercio mondiale avviene all’interno di tre grandi blocchi: l’Unione europea, il NAFTA e l’Asia che, nonostante una crescita nelle loro relazioni commerciali, restano relativamente chiusi tra loro, con una quota di scambi al di fuori del blocco inferiore al 15% del prodotto [6].
Fra questi tre blocchi, l’Unione europea è il più integrato. Due terzi del commercio europeo sono con altri Stati membri, contro circa il 50% nel caso dell’USMCA e circa il 50% di tutte le attività finanziarie proviene da altri paesi europei. In concreto, ciò significa che l’Italia esporta di più in Spagna che in Cina e più in Austria che in Russia o in Giappone. Nel 2017 gli investimenti tedeschi in Italia sono stati pari a 5 volte quelli americani.
L’Europa ha tratto grandi benefici da questa integrazione. Tenendo conto sia degli effetti diretti derivanti dal commercio, sia di quelli prodotti dalla maggiore concorrenza, si valuta che il mercato unico contribuisca a un livello del PIL per l’Unione europea che è più alto del 9% circa [7].
Ma quanto più i vari paesi sono tra loro collegati, tanto più esposti essi sono alla volatilità dei flussi di capitale, alla concorrenza sleale e ad azioni discriminatorie, quindi ancor più necessaria diviene la protezione dei cittadini. Una protezione, costruita insieme, che ha permesso di realizzare i guadagni dell’integrazione, contenendone in una certa misura i costi. Una protezione che attraverso strutture e istituzioni comunitarie limita gli spillover (n.d.r.: traboccamento, Il termine è usato per indicare la diffusione di situazioni di squilibrio da un mercato all’altro, Fonte Treccani.), assicura un uguale livello di concorrenza, protegge da comportamenti illegali, in altre parole, una protezione che risponde ai bisogni dei cittadini, e quindi permette ai paesi di essere sovrani.
Nella struttura dell’Unione europea, le regole comuni vengono definite nel Consiglio e nel Parlamento europeo. La Commissione provvede a che siano rispettate, la Corte di Giustizia europea assicura la protezione in giudizio in caso siano violate. Per quel che riguarda i paesi dell’area dell’euro, la vigilanza bancaria europea e l’autorità che presiede alla risoluzione delle banche contribuiscono a contenere gli effetti dell’instabilità finanziaria.
In questo mondo così interconnesso, cercare l’indipendenza da queste istituzioni pone i paesi di fronte a scelte complesse. O, per poter continuare ad avere accesso al mercato unico, devono accettare passivamente regole scritte da altri perdendo il controllo su decisioni che toccano l’interesse dei propri cittadini, o devono separarsi dai partner commerciali più importanti, perdendo controllo sul benessere dei loro cittadini.
Si stima che nel caso di una possibile reintroduzione delle barriere commerciali in Europa, il PIL della Germania sarebbe più basso circa dell’8% e quello dell’Italia del 7% [8].
L’argomento per cui la cooperazione accresce la sovranità vale anche per le relazioni tra l’Unione europea e il resto del mondo. Ben pochi paesi europei hanno una dimensione tale da poter resistere agli spillover provenienti dalle altre grandi aree economiche del mondo o una voce forte abbastanza da essere ascoltata nei negoziati commerciali mondiali. Ma, insieme nell’Unione europea la loro forza è ben più grande.
L’Unione europea produce il 16,5% del prodotto mondiale [9], secondo solo alla Cina: il che dà a tutti i paesi europei un mercato interno di grandi dimensioni in cui riparare in caso di crisi commerciali nel resto del mondo. Il commercio dell’Unione europea vale infatti il 15% degli scambi mondiali [10], contro l’11% negli USA; e ciò contribuisce ad aumentare il peso negoziale dell’Unione europea nei negoziati sul commercio con gli altri paesi. Inoltre, il fatto che l’euro sia la seconda moneta più utilizzata negli scambi internazionali contribuisce a isolare l’economia dell’area dell’euro dalla volatilità del tasso di cambio.
Infatti, poiché circa il 50% delle importazioni dai paesi al di fuori dell’euro è oggi fatturato in euro [11], la trasmissione delle variazioni del cambio ai prezzi delle importazioni è oggi minore. La politica monetaria può quindi concentrarsi sugli sviluppi interni all’area dell’euro senza dover reagire ripetutamente agli shock ad essa esterni [12].
Per tutte queste ragioni, porsi al di fuori dell’UE può sì condurre a maggior indipendenza nelle politiche economiche, ma non necessariamente a una maggiore sovranità. Lo stesso argomento vale per l’appartenenza alla moneta unica.
La maggior parte dei paesi, da soli, non potrebbero beneficiare della fatturazione delle loro importazioni nella loro valuta nazionale, il che esaspererebbe gli effetti inflazionistici nel caso di svalutazioni. Sarebbero inoltre più esposti agli spillover monetari dall’esterno che potrebbero condizionare l’autonomia della politica economica nazionale: primi tra tutti gli spillover della politica monetaria della BCE, come negli ultimi anni è peraltro accaduto alla Danimarca, alla Svezia, alla Svizzera e ai paesi dell’Europa centrale e orientale [13].
Furono proprio questi spillover provenienti dalle economie più grandi uno dei motivi per cui si creò la moneta unica. Nel Sistema monetario europeo ad essa antecedente, la maggior parte delle banche centrali doveva seguire la politica monetaria della Bundesbank. Per questo dopo più di un decennio di esperienze deludenti quando non devastanti, si preferì riguadagnare la sovranità monetaria condividendola nella creazione della moneta unica [14]. (segue)
Mario Draghi
Fonte: Direzione Generale Comunicazione della Banca Centrale Europea,
[4] UNCTAD (2018), World Investment Report 2018: Investment and New Industrial Policies.
[5] Una questione dibattuta è se l’evoluzione tecnologica possa rendere meno importanti le catene del valore globali. Tecnologie come la stampa tridimensionale o la robotica potrebbero consentire di produrre molti più beni a livello locale. Alcuni accademici ritengono che sinora i cambiamenti tecnologici abbiano attenuato solo leggermente la delocalizzazione, mentre altri prefigurano un’inversione molto più significativa. Cfr. Koen De Backer, K., Menon, C. Desnoyers-James, I. e Moussiegt, L. (2016), “Reshoring: Myth or Reality?”, OECD Science, Technology and Industry Policy Papers, n. 27, OECD Publishing; e Baldwin, R. (2016), The Great Convergence: Information Technology and the New Globalization, Harvard University Press.
[6] OCSE (2018), OECD Economic Outlook, volume 2018, numero 1, capitolo 2.
[7] in ‘t Veld, J. (2019), “Quantifying the Economic Effects of the Single Market in a Structural Macromodel”, European Economy Discussion Paper, n. 094, Commissione europea, febbraio.
[8] Questo scenario presume un’ipotesi controfattuale di un ritorno alle regole commerciali del WTO e applica le aliquote della nazione più favorita (NPF) ai dazi sulle merci. Per le barriere non tariffarie, si basa su stime calcolate per il commercio tra l’UE e gli USA. Cfr. in ‘t Veld, J. (2019), op. cit.
[9] Misurato dal PIL corretto per la parità di potere di acquisto.
[10] Escludendo il commercio intra-UE.
[11] Cfr. per maggiori informazioni, BCE (2015), The international role of the euro, Francoforte sul Meno, luglio.
[12] Cfr. Gopinath, G., Itskhoki, O. e Rigobon, R. (2010), “Currency Choice and Exchange Rate Pass-Through”, American Economic Review, vol. 100, n. 1, pagg. 304-336.
[13] Cfr. Falagiarda, M., McQuade, P. e Tirpák, M. (2015), “Spillovers from the ECB’s nonstandard monetary policies on non-euro area EU countries: evidence from an event-study analysis”, ECB Working Paper Series, n. 1869; Potjagailo, G. (2017), “Spillover effects from Euro area monetary policy across Europe: A factor-augmented VAR approach”, Journal of International Money and Finance, 72(aprile):127-147; Bäurle, G., Gubler, M. e Känzig, D. (2017), “International inflation spillovers – the role of different shocks”, Swiss National Bank Working Papers, n. 7/2017.
[14] Cfr. Draghi, M. (2018), “L’Europa e l’euro vent’anni dopo”, intervento di Mario Draghi, Presidente della BCE, pronunciato in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, 15 dicembre 2018.