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Milano, la Rai e la cultura, il coraggio di un rilancio

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Caro Schiavi,

mi spiace che nel “documento Colao” non ci sia l’attenzione che meritano la cultura e le attività culturali. Temi che sono particolarmente importanti per il rilancio di una città e di una regione come Milano e la Lombardia. Ed è anche ora che si affronti davvero  un tema ricorrente: la questione della Rai.

Se la Rai rappresenta la maggiore industria culturale del Paese, siamo messi male, poiché l’attenzione che viene dedicata a Milano dalla Rai è veramente ridicola e romanocentrica. In questi mesi, abbiamo assistito a una ondata di giornalisti “inviati” a Milano, che ci raccontavano del mercato di via Fauchè.

So bene che chi tocca la Rai, muore: ne sa qualcosa Verdelli che quando propose un TG a Milano, venne sbrigativamente allontanato. Ma le istituzioni, le forze politiche, culturali, sindacali degli imprenditori e dei lavoratori, ma anche il quotidiano di Milano per definizione, il “Corriere”, dovrebbero porsi il problema della presenza di Milano nella Rai, e non viceversa, la presenza della Rai a Milano. Non credo che tutta la questione si possa ridurre allo spazio dedicato ai vari personaggi, nel telegiornale regionale.

E che senso ha una edizione del tg regionale a mezzanotte, che ripete le stesse cose della edizione delle diciannove e trenta, ma che costa quattro milioni di euro? Abbiamo bisogno di un movimento di idee e di proposte che scuota i Palazzi romani: la Rai non è di Roma o del generone romano.

Mi colpisce, per esempio, che due trasmissioni ricche di informazioni, utili per tutti, ma particolarmente per Milano e il Nord del Paese, siano relegate alla domenica mattina alle undici. Mi riferisco a “RegionEuropa” e a “EstOvest”. Non ha alcun senso avere decine di talkshow che rimenano la stessa minestra, con gli stessi interlocutori, mattina pomeriggio e sera, senza alcuna aggiunta di vera informazione, e non avere informazioni quotidiane sull’Europa, sul Parlamento Europeo, sui Paesi nostri vicini (più vicini della Sicilia o della Calabria). come la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria, la Slovacchia, la repubblica Cechia, la Serbia o l’Albania. Un servizio pubblico è un “servizio per il pubblico” per citare Verdelli, non un servizio per l’audience.

E aggiungo che ogni giorno da Milano potrebbe andare in onda un giornale culturale, non sulla rete specialistica, con le informazioni sulle attività culturali in Europa. Monaco di Baviera, Lubiana sono più vicine di Roma; Francoforte e Zagabria sono poco più distanti. Vienna Praga Budapest sono molto più vicine di Taranto. Reggio Calabria per noi è distante quanto Cracovia.

Al posto di “Agorà” o di “Carta Bianca”, a me sarebbe piaciuto sapere come hanno affrontato il virus e la fase 2, ognuno dei ventisette Paesi della Unione Europea.   Cari saluti

Luigi Corbani

Caro Corbani,

ci sono battaglie (perse) che vale la pena di riprendere, come nei “Duellanti” di Ridley Scott: un tg o una Rai più milanese sarebbero qualcosa di normale, ma la nostra politica non è normale.

Lei mette il dito nell’occhio a chi vede già Milano e la Lombardia in decadenza dopo la botta del Covid: figuriamoci se Roma molla, adesso che si parla di neostatalismo, la presa sulla Rai…

C’è un’inerzia di fondo che fa male non solo a Milano, danneggia il sistema Paese: è la mancanza di gioco di squadra.

Il fatto che di cultura si parli così poco è un brutto segno. Ci voleva un po’ di coraggio e Milano oggi ha solo una strada: dimostrare di averlo.

Giangiacomo Schiavi

“La lettera di Giangiacomo Schiavi – Corriere della Sera 17 giugno 2020”

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