Il coro finalmente si fece dopo cinque anni dalla fondazione de laVerdi, grazie al Maestro Ceccato e al Maestro Gandolfi. Conoscevo Gandolfi dall’epoca del Coro della Scala, dove arrivò dopo la direzione del Coro del Teatro Colón di Buenos Aires (1968-1970). Era rimasto in Scala dal 1971 al 1983, poi fino al 1992 era stato consulente artistico e direttore del coro del Gran Teatre del Liceu di Barcellona.
Racconta1 – in un libro intervista – Antonio Pappano, nel 2007, due anni dopo la sua nomina a direttore musicale dell’ orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia: “Nel 1985 sono stato chiamato da Gandolfi al Liceu (come maestro accompagnatore, ndr)…A Barcellona ho lavorato con tutti i grandi cantanti, Alfredo Kraus, Mirella Freni, José Carreras, Montserrat Caballé…Ho sentito delle recite indimenticabili; e il coro di Gandolfi – mamma mia, che suono! Era semplicemente formidabile! Gandolfi a Barcellona oltre il coro dirigeva anche l’opera; aveva una posizione speciale creata apposta per lui, una sorta di direzione artistica. Era la presenza musicale più importante del teatro”
Naturalmente Gandolfi aveva un rapporto continuo con il “suo” Teatro Regio di Parma, di cui raccontava sempre eventi, fatti, aneddoti spassosissimi. Ne ricordo ancora uno che riguarda il barbiere fuori del Teatro Regio, appassionato di lirica, che sapeva a memoria tutte le opere verdiane; a un certo punto per fargli un regalo, le autorità del Regio gli affidano la parte del medico nella “Traviata”, poche battute, nella parte finale dell’opera; finalmente si arriva alla recita e va tutto bene fin quando Annina chiede al dottore, dopo che ha visitato Violetta, accompagnandolo alla porta “come va, signore?”, e il barbiere-dottore si rende conto che tutto il Teatro lo sta guardando con molta curiosità e viene preso dal panico, per cui non risponde; il direttore riprende la musica in attesa che lui dica la battuta, (sottovoce “la tisi non le accorda che poche ore”), ma non esce alcuna parola, e a quel punto il barbiere fa con le mani il gesto di “così, così” con l’effetto di far venire giù il teatro.
Avevo anche avuto occasione di stare insieme a Gandolfi grazie al mio amico Giannino Tenconi: entrambi coltivavano una comune venerazione per il grande Carlo Bergonzi, il tenore “verdiano” per eccellenza.
Romano Gandolfi, che oggi avrebbe compiuto novant’anni, era un gigante, un grandissimo musicista che aveva collaborato con i più grandi nomi della direzione d’orchestra: Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, Herbert von Karajan, Carlos Kleiber, Leonard Bernstein, James Levine, Zubin Mehta, Pierre Boulez, Georges Prêtre, Gianandrea Gavazzeni, Tullio Serafin, Riccardo Muti e Riccardo Chailly.
Avevo cercato di incontrarmi con Gandolfi e, grazie al Maestro Aldo Ceccato, ci vediamo alle terme di Tabiano. Gandolfi si lascia andare a raccontare le sue avventure, non solo musicali, in quel di Salsomaggiore e Tabiano. Poi parliamo di coro e io insisto perché ci dia una mano a fare un Coro, di valore, di non “professionisti della voce” come succede nei Paesi del Nord Europa. Solo in Italia si pensa che i cori di alta qualità debbano essere di professionisti mentre in altri Paesi ci sono grandissimi cori che sono amatoriali, di “non professionisti della voce”. Insistevo sul fatto di fare un coro di appassionati di canto, di persone che avevano altre professioni e lavori, ma che amavano tantissimo cantare, e quindi solo lui, con la sua esperienza e competenza, poteva formare un coro di questo genere e portarlo a prestazioni di alto livello artistico. In più, era un modo per lanciare un messaggio alle istituzioni: il canto dovrebbe essere diffuso in tutte le scuole, di ogni ordine e grado, anche nelle università: è il solo strumento che non costa nulla. E l’alfabetizzazione musicale dovrebbe iniziare proprio dal canto praticato nelle scuole. Del resto era stato lo stesso Gandolfi a dirmi una volta che “non esistono gli stonati (tranne chi scrive), è che non ci hanno mai insegnato a usare la voce”. Una volta, alle elementari ci insegnavano a cantare, e siccome era una buona cosa è stata cancellata.
Comunque, Ceccato divenne decisivo per convincere Gandolfi a fare un coro di “amatori” – non di “professionisti” come i cori degli Enti Lirici – ma di persone animate da una tale passione per il canto da diventare professionali più dei professionisti. Romano resisteva perché riteneva impossibile fare un coro di qualità, nazionale e internazionale, ma d’altra parte ricordava i tanti problemi “sindacali” con il Coro della Scala. Alla fine, Gandolfi accettò, e ripeto che tutto si deve al Maestro Aldo Ceccato, che usò quegli argomenti musicali che io non avevo. Nei mesi successivi abbiamo definito con Gandolfi il programma delle audizioni, con un bando inviato ovunque. Così da febbraio 1998 fino a maggio ci sono state le audizioni di centinaia e centinaia di persone da tutta Italia. Vennero anche molti studenti, coreani e cinesi, che erano in Italia a studiare canto e volevano fare una esperienza con un maestro del coro, mitico come Gandolfi. Alcuni selezionati in quegli anni per il Coro de laVerdi fecero poi carriera come solisti o andarono a cantare in altri cori all’estero.
Gandolfi aveva scelto come assistente Erina Gambarini, che è stata decisiva per la preparazione del Coro e che, dopo la morte del maestro, gli successe nella direzione. Erina ha una dote che pochi hanno: l’orecchio perfetto o orecchio assoluto che è “la capacità di un essere umano di distinguere e riconoscere perfettamente e istantaneamente l’altezza (o la frequenza) di una nota, senza bisogno di controllare e confrontarsi con uno standard esterno, ad esempio uno strumento accordato alla perfezione o il diapason stesso.” Pare che questo dono l’avesse Mozart e lo stesso Beethoven, prima di diventare sordo, e fra i cantanti Frank Sinatra, Barbra Streisand, Mariah Carey, Jimi Hendrix, Steve Wonder, per citarne solo alcuni.
Erina Gambarini fu anche decisiva a coinvolgere molti cantanti di un coro da lei formato a Bergamo: e la cosa straordinaria è che per quasi vent’anni Erina e costoro venivano due sere alla settimana da Bergamo, affrontando le code di una delle autostrade più trafficate d’Europa. Quando si dice che la passione fa superare ogni ostacolo!
Io commisi un errore che oggi non mi perdono: venendo meno ai miei principi, accettai (unica volta in tutti gli anni de laVerdi) la raccomandazione della signora che dirigeva il settore musica classica della Ricordi, perché prendessimo, come assistente di Gandolfi, il nipote, de cuyo nombre no quiero acordarme, come scrive Miguel de Cervantes all’inizio del “Don Quijote”.
Gandolfi accettò, eravamo già a maggio, ma non volle rinunciare a Massimiliano Tarli, che così divenne maestro accompagnatore insieme a Luigi Ripamonti. Segretaria del Coro era Silvia Lomazzi, alla quale dobbiamo il titolo “Crescendo in musica”, che venne dato ai concerti del sabato pomeriggio per i bambini e le famiglie
Il programma del debutto del Coro era molto impegnativo: i “Quattro pezzi sacri” di Giuseppe Verdi. Si tenga conto che molto spesso i cori, anche di professionisti, tralasciano “Ave Maria” e Laudi alla Vergine”, due pezzi “a cappella”, e cioè (lo dico per coloro che non lo sanno) per voci sole, senza accompagnamento strumentale: questo fatto mette a nudo il Coro, che non si può nascondere dietro l’orchestra, lo espone senza alcuna copertura. Alle volte, infatti, il suono dell’orchestra copre qualche magagna, e la cosa vale anche in senso inverso.
Per il debutto del Coro de laVerdi era dunque quasi obbligatorio quel programma, ma in agguato c’era ancora qualche sorpresa.
Stanco di tutto, imploro la pace della morte,
stanco di vedere il merito nascere sempre mendico,
ed a festa parati i buoni a nulla,
e la più pura fede sciaguratamente tradita,
e svergognatamente gli alti onori male attribuiti,
e la casta virtù con brutalità prostituita,
ed in disgrazia iniqua l’integra rettitudine calpesta,
e fiaccata da colpi mancini l’energia,
e dall’autorità messo all’arte il bavaglio
e regola dettata all’estro da dottoreggiante pazzia,
e la semplice verità scambiata per semplicità,
e al male capitàno, subordinato il bene in servitù:
Stanco di tutto, vorrei andarmene vorrei da tutto
Se, morendo, il mio amore non dovessi lasciare solo.
(William Shakespeare, Sonetto, LXVI,
traduzione di Giuseppe Ungaretti, Oscar Mondadori 1967)
Luigi Corbani
(domenica 5 maggio 2024)
1 Pietro Acquaviva- Tony Pappano, direttore d’orchestra – Skira editore – 2007: pagg 28-30