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300 (trecento) milioni per inquinare il centro della città

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“«Piano da 300 milioni, Sogemi diventerà hub dell’alimentazione»”   Il presidente Ferrero: la nuova logistica per Milano”. Così era il titolo sulla pagina economia del “Corriere della Sera” del 12 aprile 2023 di un articolo di Nicola Saldutti. Non credevo ai miei occhi, e allora leggo che questo Cesare Ferrero, – che fa il presidente e il direttore generale e che è stato rinnovato da Sala per tre volte, oltre la norma del secondo mandato  –  prevede investimenti pubblici per trecento milioni, e aggiunge orgoglioso : «Un prossimo tema, che darebbe una grande spinta, sarebbe l’apertura del capitale ai privati». Sic!

Questa ultima affermazione è singolare: il capitale della Sogemi è tuttora al 100% del Comune di Milano, non c’è neanche un centesimo della Camera di Commercio, dell’Unione del Commercio,  o di chi potrebbe essere interessato a un mercato all’ingrosso. Fino a qualche anno fa la Unione del Commercio aveva lo 0,0027% del capitale, così la Società Finanziaria Mercati Alimentari srl: due quote ridicole, che adesso non ci sono neanche più.

Al grido di “privato è bello”, “basta con le partecipazioni statali o con le mini Iri dei Comuni, basta, via tutto”, negli anni novanta è iniziata la dismissione di tutte le aziende pubbliche; alcune sono state totalmente cedute, (Centrale del Latte, Farmacie comunali, la rete di fibra ottica dell’AEM),  altre vendute in gran parte,  (Aem, Sea). Inoltre  si è venduto il patrimonio pubblico, o si vuole demolirlo, come lo stadio di San Siro.

Vale per tutti il caso del Pirellino, degli uffici del Comune, collocati in una zona, Garibaldi Varesine, dove, avendo il Comune il 60% delle aree, si erano  fatti investimenti per migliaia di miliardi per rendere la zona la più servita di Lombardia:  adesso è andato tutto a vantaggio del fondo del Qatar e di Coima. E hanno venduto di tutto e di più, anche la sede storica dell’AEM in corso di porta Vittoria: manca solo che vendano Palazzo Marino o il Palazzo Beltrami o la Scala , e si sono disfatti di un patrimonio pubblico pazientemente realizzato dai nostri illuminati precedenti amministratori pubblici per le generazioni successive.

Ma la Sogemi no, la Sogemi è un bene fondamentale per il Comune, tanto che il Comune ha fatto un piano 2012-2016 di opere straordinarie con un finanziamento di 12,730 milioni.

E poi è una società che  ha fatto degli utili pazzeschi negli anni: 202.000 euro nel 2016, 48.000 euro nel 2017, 199.000 euro nel 2018, 61.000 euro nel 2020, 116.000 nel 2021. Peccato che abbia chiuso il 2019 con una perdita di 49, 4 milioni. Ma non importa, il Comune ci ha messo dal 2013 quasi 30 milioni di euro in conto futuro aumento di capitale, che poi ha deciso di fare per 225 milioni in natura, conferendo le aree e gli edifici del “Compendio agroalimentare” ( 647.000 metri quadrati di terreni con 249.000 mq. di edifici) e per 49 milioni per cassa, con tanto di stanziamento in conto capitale nel bilancio del Comune, e  “di conseguenza il capitale sociale interamente sottoscritto e versato è pari a 228.592.713,21, diviso in n. 2.628.348.394 azioni prive di valore nominale”. E stiamo parlando di una società che fattura 13 milioni e che ha 43 dipendenti.

Però, visto che non ha mai pagato il diritto di superficie dell’area concessa dal Comune, la Sogemi ha accumulato un debito di 25 milioni, per cui il Comune si è fatto dare le aree dell’ex Macello (122.000 mq) e del mercato avicunicolo (28.000 mq.) e sette Palazzine Liberty su viale Molise ( con superficie fondiaria di 16.000 mq. e superficie commerciale di 8.000 mq). per un valore di 24 milioni e dovrebbe avere cash dalla Sogemi 1,2 milioni di euro.

Dunque il Comune, attraverso la sua società, investe 300 milioni: per che cosa? Per i grossisti, che non ci mettono dentro neanche un soldo di capitale e che si lamentano dei prezzi dei posteggi? E quale servizio fornisce al cittadino milanese e lombardo? Solo un consumatore lombardo su 4 acquista frutta e verdura transitata dall’Ortomercato. L’85% delle merci dell’ortomercato mi risulta sono acquistate da ambulanti e da negozi di prossimità, dai fruttivendoli. Sono del tutto marginali, pressoché inesistenti, i flussi di acquisto della Grande Distribuzione  Organizzata (GDO) e della Ho.re.ca (hotel, ristoranti, mense e catering). Si consideri che la GDO copre il 60% della distribuzione, mentre gli ambulanti e i fruttivendoli coprono il 25%.

Quindi in primo luogo, ha senso un investimento se è pubblico e privato insieme, ma non ha senso, all’epoca di internet e degli approvvigionamenti diretti, in un rapporto produttore-distributore e spesso anche produttore-consumatore, una struttura del tutto pubblica di 700.000 metri quadrati nel centro della città. E la dichiarazione del presidente-direttore generale  è significativa di una vera politica ambientale del Comune di Milano:  “Noi faremo una rigenerazione urbana non out of the town, fuori dalla città, ma a soli due chilometri dal centro” .

 Cioè nel centro della città, si organizza, nel 2023, una struttura che tra camion, autotreni, autoarticolati, camioncini, furgoni già oggi ha dai 3.000 ai 4.500 varchi veicolari al giorno, in un anno  un milione e duecentomila  passaggi di veicoli in quella zona. E i mezzi di trasporto delle merci potranno nel futuro essere tutti elettrici, ma rimarrà la congestione. Si puniscono gli automobilisti che hanno aggiornato le loro auto, solo qualche anni fa, ma si investe in una struttura a due chilometri dal centro che produce congestione e inquinamento. Bella politica verde e ambientale.

Ma nell’articolo sul Corriere, il suddetto Ferrero dice che lui pensa alla mobilità delle merci, e qui c’è veramente la chiedersi dove siamo finiti, “creando dei FoodyPoint in giro per la città, realizzati insieme ad Atm”  Sala ha venduto tutto, ma si mette in casa uno che con i soldi pubblici  vuole fare  i “FoodyPoint” con l’Atm! Una roba da matti.

E già, perché, il genio vuole valorizzare il marchio (brutto, a mio parere)  dell’Expo,  Foody, di cui si fregia l’Ortomercato,  e vuole allargare il commercio ad altre merceologie (olio, vino, formaggi, insaccati, ecc), come scrive nella relazione di bilancio. Con due risultati prevedibili:  aumentare il disavanzo dei bilanci della Sogemi e aumentare il traffico di veicoli pesanti nella zona a ridosso del centro della città.

Quanti asili nido si potrebbero costruire con trecento milioni? E quante case popolari per i giovani?

Che il Sindaco non sappia cosa sia l’area metropolitana è scontato, ma che la sua priorità sia tenere le squadre di calcio e l’Ortomercato a Milano, mentre aveva favorito la dislocazione a Sesto del Istituto neurologico Besta e dell’Istituto dei Tumori (ipotesi per fortuna credo tramontata) e delle facoltà scientifiche della Statale all’Expo, è la dimostrazione dell’assenza di qualsiasi visione del futuro di Milano.

Nel passato gli amministratori di Milano avevano frequenti contatti con la città di Barcellona, dove all’interno della città vari mercati all’ingrosso erano situati in posizioni centrali.  Con l’aumento della popolazione e la crescita della città si erano creati vari problemi ambientali, di  traffico e di dimensione dei mercati. Così, come mi ha ricordato una amica, hanno costruito fuori dal centro il Mercabarna, struttura che fa capo a una società per azioni fondata nel 1967, con  azionisti,  il comune di Barcellona, la Regione Catalana e la struttura statale Mercasa, che ha altri 23 centri nella Spagna.

I mercati sono stati messi dunque vicini ai  raccordi autostradali, a due chilometri dall’aeroporto e dal porto , e a dodici chilometri da Plaza de Catalunya, e Marcabarna è diventato uno dei principali centri europei di distribuzione di prodotti freschi.

Gli edifici in centro di Barcellona, allora occupati dai mercati, oggi sono utilizzati per importanti strutture sociali, culturali e ricreative.

E pensate che bello sarebbe se il Comune di Milano, la Giunta regionale e il Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e della pesca, insieme con il Consiglio metropolitano, realizzassero il progetto di un super centro nell’area metropolitana milanese, fuori dal centro della città.

E pensate se, nel contempo,  si facesse una vera politica ambientale nel contempo, creando con i  settecentomila metri quadri dell’attuale Ortomercato un grande parco botanico, utilizzando le strutture liberty esistenti.  E in un progetto simile ci sarebbero stati bene anche le aree e i manufatti dell’ex Macello.

Perché a Milano manca un parco botanico vero, ma soprattutto mancano le idee, sostituite dalla  cupidigia del mattone.

“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”

Luigi Corbani

(Pubblicato su “Arcipelago Milano” il 31 maggio 2023)

1 thought on “300 (trecento) milioni per inquinare il centro della città”

  1. Monica Flavia Passoni ha detto:
    Maggio 31, 2023 alle 7:53 pm

    Non so più cosa dire! Ovunque si trovano solo affari sporchi!

    Rispondi

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