Per le elezioni europee si stanno compiendo altre operazioni che allontanano ancora di più i cittadini dalle istituzioni. La pratica delle pluri-candidature (cioè candidare la stessa persona in più collegi) servono solo a garantire il posto sicuro a qualcuno, non certo a garantite un maggior rapporto tra cittadino ed eletto.
Come si sa, esistono le incompatibilità, (vedi articolo 122 della Costituzione: “Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo.”) ed è evidente che, per esempio, Meloni e Tajani non si dimetteranno dal governo, una volta eletti al Parlamento europeo.
E che dire dell’uso spregiudicato di una elezione – il cui fine è quello di eleggere i rappresentanti del popolo italiano al Parlamento europeo – per cercare il plebiscito attorno alla propria persona? Con la candidatura dovunque di “Giorgia Meloni detta Giorgia”, si cerca di fare un referendum, ovvero un plebiscito popolare sulla figura della “donna sola al comando”. Ci mancava anche il vezzo di poter scrivere anche solo il nome “Giorgia”: una di noi, un donna del popolo. Giorgia, basta il nome.
In tal modo Giorgia pensa, con il plebiscito sul suo nome, di dettare le sue condizioni in Italia e in Europa. In realtà, a me sembra che si sia montata la testa.
“Meloni userà le Europee per conquistare un en plein personale, tutto il resto (compreso il destino degli alleati) è contorno. Un contorno che sarà rinviato al giorno dopo il voto, quando alle grandi battaglie di principio si sostituiranno gli affari correnti delle nuove regole di bilancio, del rientro dal debito, delle casse dello Stato vuote, e un peso più alto a Bruxelles potrebbe aiutare a sciogliere i nodi di Roma, quelli che davvero preoccupano la premier.” – Così scrive Flavia Perin su “la Stampa”. E sui temi europei, Flavia Perina sottolinea che nelle parole della Meloni vi “è un passo indietro verso la vecchia Cee dei ’60 definita dalle posizioni di Charles De Gaulle («Non può esserci altra Europa che quella degli Stati nazionali», unica citazione dell’intervento di ieri)” della Giorgia.
Dietro a queste esagerate ambizioni personali, dietro a questa invenzione populistica e familistica del nome, si nasconde invece la logica del clan di Fratelli d’Italia, della “dittatura della maggioranza”, che ha varie espressioni, non ultima quella di ripetere le votazioni in Parlamento, quando l’esito del voto non piace alla “maggioranza”. E quando qualche giornalista scrive che l’antifascismo è fuori moda ed inattuale, e non è un programma politico, vorrei ricordare che tutta la nostra Costituzione è basata sul principio della democrazia rappresentativa, che esclude la concezione del “capo” e della “dittatura della maggioranza o della minoranza”.
Anche questa scelta elettorale, come quella di proporre la elezione diretta del Presidente del Consiglio, , appena insediatasi a Palazzo Chigi, non sono bei segnali. Se i Costituenti non hanno voluto il “capo del governo” o un sistema maggioritario o il plebiscito per il “capo del governo” non è perché erano scemi o sprovveduti o non ci avevano pensato. Essi erano coscienti, sulla base della nostra storia, che tutti i sistemi che accentuano le divisioni politiche, economiche, sociali e territoriali sono pericolose per la democrazia italiana, perchè di nuovo precipitano il Paese in una situazione in cui le masse popolari si dividono e si distanziano dalla politica e dalle istituzioni. Ci si sta avviando su una china in cui i punti fermi della convivenza civile, sanciti dalla Costituzione, vengono forzati per andare ad un regime diverso, ad una “democrazia plebiscitaria e autoritaria” che appartiene all’inizio di un passato nefando della nostra storia.
Vi è appena stato (6 aprile) il centenario delle elezioni con la legge Acerbo, legge del 18 novembre 1923 che sancì, insieme al precedente conferimento dei “pieni poteri“, il suicidio del Parlamento, della libertà e della democrazia liberale.
Purtroppo, la “sinistra” non comprende che la diffusione dell’astensionismo non è il segno di una omologazione al resto dell’Europea, ma la riproposizione specifica di un male italiano, che si è manifestato, con l’apolitica, con l’antipolitica, con il menefreghismo, per cui anche, nei proverbi, gli eventi atmosferici erano colpa della politica e delle istituzioni.
Così la “sinistra” non comprende che ritardare la nomina di un componente della Corte Costituzionale, oltre il mese previsto dalla legge, non è una disattenzione, ma una scelta politica e istituzionale ben precisa, che va contro la legge. Il governo Meloni in questo caso viene meno a una norma di legge per evitare il confronto dentro la coalizione di centrodestra su un nome solo, e aspetta di nominarne quattro per accontentare tutte le componenti del centrodestra. Ogni giorno i gruppi di opposizione dovrebbero richiamare presidente del Senato e della Camera al rispetto della legge.
Ma lo spettacolo delle liste per il Parlamento europeo, con tutti quelli che hanno uno stato di incompatibilità, manifesta una degenerazione della politica veramente preoccupante.
Cosa buona e giusta sarebbe che tutti i candidati si dimettano dai loro incarichi incompatibili con il Parlamento europeo: rischiando anche di non essere eletti al Parlamento europeo, mostrerebbero rispetto nei confronti degli elettori e delle istituzioni.
Nessuna forza politica ha il coraggio di proporre una legge per cui sono incandidabili coloro che, all’atto della presentazione della candidatura, occupano posti incompatibili con il ruolo di parlamentare europeo.
Così come si assiste senza far nulla al degrado della partecipazione alle elezioni: il degrado del combinato disposto dei “partiti” e del “parlamento Europeo” (se non dell’Europa) ha portato alla diminuzione di oltre otto milioni di voti validi dal 1979 al 2019, con una discesa costante dall’ 84% dei voti validi sugli elettori del 1979 al 54% del 2019 (unica eccezione il 2004 in cui la percentuale dei voti validi 67% era superiore a quella del 1999, 64%).
Giorgia ed Elly – scrive Fabio Martini su “HuffPost”- “ si sono inventate la preferenza “ad honorem”. Con la clausola della dissolvenza incorporata: appena la esprimi, la preferenza si annulla. Il messaggio insito in questo comportamento è diseducativo: è la negazione simbolica, e al tempo stesso pratica, di un gesto che ha una sua laica sacralità, il voto. E proprio qui sta il nuovo salto logico che sta dentro le candidature-civetta: è come proclamare il valore pura apparenza. Un gesto dichiaratamente inutile: non esiste in nessun altro Paese, è una specialità italiana”
Si possono continuare a imbrogliare gli elettori promettendogli di farli contare di più e poi prenderli in giro?
La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa,
può l’omo usare in colui che ‘n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa.
Dante, Inferno 11, 54
Luigi Corbani
(mercoledì 1 maggio 2024)
Sono completamente d’accordo
Grazie caro Luigi. Come sempre condivido tutto.