Dove siamo veramente ?
Viviamo in un’epoca in cui non è vero ciò che vero ma è vero quello che si racconta o, peggio ancora, diventa reale quello che viene largamente diffuso e condiviso tramite like e tramite condivisioni sui social. Ruota tutto intorno alla realtà che si vuole vendere per ottimizzare guadagni, di qualsiasi natura essi siano (convenienze personali, aziendali oppure un guadagno puramente economico o di consenso politico)
Ora se da una parte è vero quello che diceva Flaubert ossia che la realtà è il risultato di un punto di vista, diciamo che oggi non esistono più tanti punti di vista con spunti costruttivi che creino un dibattito sano. Per questo sono contento di essere qui oggi a Bari al Medimex, per raccontarvi il mio…
Credo che In tutti questi anni, dagli anni 80 in poi, in cui il marketing ha fatto da padrone in ogni sfera della nostra vita, siamo senza dubbio, diventati sempre più bravi a comunicare quello che serve per colpire l’immaginario del pubblico, la parte perversa però è che siamo diventati anche bravissimi a mischiare le carte per “vendere “ una idea, o un prodotto e il tutto spesso a discapito della reale presa di coscienza di determinate problematiche, tralasciando quindi di parlare di verità più o meno scomode che però, attenzione, poi tornano indietro con gli interessi alla comunità intera.
Ogni decisione ha un impatto sulla collettività. Decidere di tenere fermo per due anni il mondo che io ho definito “dello stare insieme “ha portato per esempio a delle conseguenze che ricascano su tutta la sfera sociale.
Guardate per esempio a come si divertono i giovani nelle città, (non hanno rispetto del bene comune e il divertimento è solo se ci si sballa) guardate come ormai siamo tutti pronti ad accettare qualsiasi cosa per quel minimo di sfogo sociale o presunta libertà di usare il nostro tempo libero a nostro piacimento, in realtà clamorosamente indotto
Oggi si vive sempre di più l’attimo fine a stesso piuttosto che cercando di assaporarlo. Ci si adegua, ci lasciamo inglobare dalle cose piuttosto che fare ricerca e scoprire quello che ci piace. Abbiamo mille possibilità ma sembra che alla fine non riusciamo a vederle perché non abbiamo metodo per conoscere noi stessi e i nostri gusti. C’è un gusto molto uniformato… Infatti forse avrei dovuto dire che oggi si CONSUMA l’attimo. Si divora non si assapora e assaporare vuol dire capire cosa si sta mangiando distinguere i sapori e crearsi un proprio gusto. costruire un percorso interiore personale ma anche collettivo di gusto e piacere.
E come dicevo questo fa molto male perché ci impoverisce. Noi invece dovremmo ragionare su come migliorare le condizioni per aumentare e diversificare offerte culturali e puntare sempre più al miglioramento della qualità di ogni esperienza umana in questa Società.
Veniamo quindi al dunque… al netto dei trionfalismi e delle semplificazioni dei media che inneggiano da ogni pagina di giornale e dai social ai record dei cantanti italiani e internazionali, per comprendere realmente e fino in fondo quali siano le sfide per il futuro dello spettacolo dal vivo è sufficiente analizzare il quadro generale e riflettere sullo stato dell’arte.
Un conto e commentare e farsi travolgere da un ottimismo fine a se stesso per via del successo di alcuni concerti e/ o spettacoli in un momento storico come questa particolare estate 2022 ,di riapertura dopo due anni di chiusure e con tantissime offerte di concerti e spettacoli posticipati da anni, un conto è guardare alle cose nella loro interezza e avere un visione dalla quale fattivamente mettere in piedi idee concrete per lo sviluppo del nostro settore e della crescita di un pubblico consapevole e attento.
Partiamo dalla scuola dell’obbligo
E’ tanto banale quanto fondamentale dire: partiamo dalla scuola dell’obbligo. Perché i bambini e ei ragazzi davvero sono il futuro. Dobbiamo interrogarci su che tipo di futuro vogliamo. Perché qui mi sembra si stiano allevando consumatori e non persone e se questo è lo scopo temo che stiamo andando “benissimo”, ma credo che questo non vada assolutamente ulteriormente permesso. Quindi è prioritario cambiare approccio verso il nostro futuro ossia verso i giovani.
I bambini sono per natura curiosi e vogliono conoscere tutto, in fondo li amiamo tutti per questo…per il loro innato entusiasmo. poi crescono e non si sa cosa accade loro. Come li “uccidiamo”? Come li reprimiamo? su questo dovremmo interrogarci seriamente.
La scuola dovrebbe alimentare la loro innata curiosità tramite la quale apprendono, si tratta solo di dargli la possibilità di conoscere le arti, si tratta di far vedere loro opere d’arte, si tratta di proporre loro l’immensa ricchezza dei canoni estetici e loro la diversità nei secoli e nelle diverse aree del mondo. Si tratta di conoscere la storia della creatività umana che non ha limite e che invece spesso diciamo essersi esaurita. Si tratta di proporre e far conoscere loro la varietà, si tratta di educarli all’ascolto della musica e non solo,ma anche del fare Musica, la forte crescita degli ultimi anni dei licei musicali e delle scuole medie a indirizzo musicale (per difetto rispetto alla richiesta) ha dimostrato che ai bambini piace fare Musica perché gli da la possibilità di esprimere i propri sentimenti ,di dare sfogo alla fantasia e alla creatività.
Paolo Fresu ha proposto ed ottenuto dal Miur di attivare un percorso di musica jazz nella scuola elementare perché quella è l’età in cui non si è ancora “inquinati” dalla società e c’è la creatività più vera ovvero la spontaneità.
Cominciare fin dalla più tenera età ad apprezzare la Bellezza anche nella Musica che ci accompagnerà per tutta la vita è una via per valorizzarla.
Anche noi dovremmo rimparare tutti a vivere la diversità, proponendogli la varietà che esiste, si tratta di lasciarli appassionare ad artisti, per conoscere e per conoscersi, magari ampliando la gamma degli strumenti che si usano a scuola non limitandosi a un flauto dolce che appassiona relativamente. Perchè non una bella chitarra elettrica o un sax? Tutto questo genera sviluppo culturale.
Se non verrà messo in atto questo tipo di approccio con i bambini e con i ragazzi avremmo a che fare con generazioni di ignoranti con una conseguente ricaduta tremenda sulla società, perché non avranno canoni estetici e tecnici di riferimento per comprendere le opere e il loro contenuto.
Verranno così cancellati secoli di storia dell’arte. E quindi secoli di storia dell’Umanità.
Perché sia chiaro a tutti, senza arte l’Italia non esisterebbe, si sgretolerebbe. Non perché, è banalmente lo strumento usato per fare soldi con il turismo, ma perché la gente non può vivere senza la fantasia e l’Italia è quasi fondata sulla fantasia, su quel modo di essere creativi che artisti e maestranze, nei vari settori artistici, hanno concretizzato creando opere immortali.
La bellezza
I ragazzi devono avere in mano strumenti per riconoscere la bellezza.
“La bellezza salverà il mondo” ci ostiniamo a dire, ma non stiamo facendo nulla per alimentarla perdendo il reale senso di quello che vuol dire questa frase con la quale ci si riempie spesso la bocca. Inquinamento, degrado, ingiustizia sociale, sono tutte nemiche della Bellezza.
Avere cultura vuol dire riconoscere la Bellezza e la Bellezza la riconosci subito. È quella cosa, quel momento, quel modo di fare che fa star bene gli individui sia singolarmente che collettivamente.
A questo dovremmo puntare in ogni cosa che facciamo. A star bene e far star bene, questo si dovrebbe fare nelle scuole. Questo atteggiamento dovremmo proporlo in ogni attività.
Come facciamo a creare godimento, come facciamo a creare piacere e in ultima analisi felicità? Semplice creando Bellezza.
E non possiamo lasciare che si speculi su di essa svuotandola di ogni significato. Bisogna difenderla e impedire questa deviata cultura speculativa.
La bellezza è esercizio costante, lavoro indefesso, senza orari. Deve essere insita in ogni nostro modo di approcciarci alle cose. Per questo va insegnata ai bambini e ai ragazzi.
Se si insegna la cultura della bellezza, implicitamente si insegna la voglia di appassionarsi a una cosa, e la passione vuol dire dedizione, studio e conoscenza e quindi si alimenta la maestria. Se non possiamo essere tutti artisti in realtà possiamo essere “maestri”. Possiamo creare maestria possiamo, formare maestranze tramite le quali gli artisti diano voce alla propria creatività.
Non esiste uno spettacolo fatto da una sola persona. Non può esistere. C’è un compromesso vitale e virtuoso tra l’artista e le maestranze.
Le Maestranze…
La bellezza è operaia, fatta per l’appunto non solo di artisti ma soprattutto di maestranze, maniache della precisione, del dettaglio, del rispetto del lavoro proprio e altrui.
Sembra dispregiativo, ma sin dal nome ha a che fare con la maestria… che è il bene più prezioso che l’essere umano possa avere per tirarsi fuori da un pasticcio. La maestria è democratica al contrario dell’istruzione che si finge tale. La maestria non si studia, si apprende osservando maestri più anziani di te. Maestri che creano la magia degli spettacoli, l’adrenalina che ti sbrana, quel senso di libertà assoluta inquadrata in una struttura rigidissima, perché l’arte non esiste senza il dettaglio, senza la cura data dalle maestranze.
Come nelle botteghe toscane del rinascimento quando Raffaello Sanzio trasmetteva e condivideva la sua maestria ai giovani allievi che a sua volta aveva imparato dal padre.
C’è una idea errata dell’arte, pensata “maledetta” e senza regole. Al contrario, è la cosa più prossima alla ricerca della perfezione irraggiungibile, in questo continuo rovistare e poi togliere, tentare, sbagliare, riprovare, togliere.
È proprio quella ricerca, la sperimentazione e parallelamente l’esercizio costante a costituire la Bellezza dell’arte.
Tramite la maestria la bellezza viene tramandata, è così che diventa la nostra memoria .Una memoria che altro non è che la nostra storia, una storia che deve essere raccontata. senza storia non c’è racconto e senza racconto non c’è storia.
La stessa storia della musica dal vivo è frutto di maestria
Uno spettacolo è frutto dello sguardo dei musicisti che si capiscono in un istante, è frutto del lavoro di fonici, di tecnici che si prendono cura di ogni aspetto, è frutto dello zelo di direttori di produzione, che vogliono che nulla sia affidato al caso. E l’arte viene tramandata e raccontata anche grazie ai fotografi, curiosi ladri di istanti che instancabili restano appollaiati scomodamente su trespoli improbabili.
Non so quanti musicisti, artisti, tecnici io abbia incontrato in più di 40 anni di attività, non sono computabili, ma so che l’arte è fatta di maestranze, di persone che si prendono cura di ciò che fanno.
Chiunque abbia partecipato ad un concerto, guardato una foto, un film, uno spettacolo di danza, una recita teatrale, deve essere consapevole che c’è il lavoro di migliaia e migliaia di maestranze che si fanno un culo come una capanna per mesi, giorni o ore.
La visione d’insieme
Manca una la visione d’insieme. Siamo sempre più divisi in settori, che se a livello logistico aiuta uno schema di produttività, a livello sociale ha portato solo a grande confusione e ingiustizie. Dobbiamo prima di tutto coltivare una visione d’insieme.
Con questo presupposto, quando si fanno le cose bisogna che ci si assuma la responsabilità di capire la complessità di quello che viene definito “il mondo dell’arte” e bisogna che si intervenga politicamente, collettivamente e individualmente affinché ci si educhi e adoperi avendo una visione d’insieme.
Dobbiamo farlo per spianare la strada per chi non è ancora nato ma soprattutto per chi non è ancora genitore, insegnante, politico, giornalista,musicista.artista ma anche per chi non è ancora fruitore.
Questo dobbiamo farlo perché l’equilibrio culturale di un paese non è diviso in settori .perché ogni settore influenza e incide su tanti altri aspetti della vita creando quello che chiamiamo benessere sociale.
Peraltro dopo due anni di chiusura, obtorto collo del mondo dello stare insieme e quindi dello spettacolo dal vivo (nonostante la filiera abbia espresso diversi protocolli mai considerati )abbiamo perso buona parte delle maestranze che hanno cambiato mestiere e abbiamo un grosso problema di professionalità e costi.
Pensare di sospendere tutto per poi ripartire come prima è stato un errore politico enorme.
Aver sottovalutato o addirittura non aver pensato alla ripercussione di una problematica del genere è difficile da digerire. Così come è difficile da digerire il fatto che qualcuno abbia deciso quello che è essenziale e quello che è sacrificabile. Andare ad uno spettacolo non è stato considerato essenziale e quindi neanche il lavoro di chi aiuta lo spettacolo a esistere è stato considerato essenziale. Però utilizzare i mezzi pubblici è essenziale per altri lavoratori per andare a svolgere altri lavori. Ricordo che i mezzi pubblici sfuggono ai controlli mentre un teatro con una capienza giusta e studiata come nei protocolli presentati non avrebbero comportato nessun rischio per la salute e avrebbe permesso non di guadagnare ma di mantenere le maestranze e farle vivere del loro lavoro. E poi come ho ampiamente detto la bellezza, l’arte è essenziale perché aiuta a vivere.
La logica della domanda e dell’offerta
I lavoratori dello spettacolo si sono trovati intrappolati in questa logica, il pubblico si trova intrappolato in questa logica.
Lo spettacolo, è entrato in questa logica speculativa e insomma penso che si sappia quanto io abbia personalmente combattuto tutta questa deriva speculativa sulla vendita dei biglietti.
Una sfida che bisogna continuare ad affrontare è quella di uscire da questa logica speculativa che a cascata, come sempre, genera altra speculazione a discapito del pubblico.
Questo accade per esempio quando gli Alberghi in occasione di un concerto con grande richiamo di pubblico aumentano vertiginosamente le tariffe. E’vergognoso che alberghi ad una stella o posti fatiscenti e purtroppo non solo loro sfruttino l’occasione senza offrire nulla solo perché esiste una domanda. Bisogna uscire da una logica speculativa per tornare ad una logica di standard qualitativa vera reale e seria.
Il pubblico
Si tratta sempre facendo un altro esempio e non in maniera esaustiva di insegnare ai nuovi organizzatori (quelli vecchi dovrebbero saperlo già ma spesso mi chiedo; davvero Lo sanno ? a volte mi sembra lo abbiano dimenticato)che il pubblico rappresenta la forza trainante e l’unica non sostituibile , i fans , i punters come li chiamano in Inghilterra sono i “Nostri Signori Clienti”come definivo io lo straordinario e preparato pubblico heavy metal e hard rock negli anni 80 quando organizzavo centinaia di concerti di quel genere oltre che i mitici raduni MONSTERS OF ROCK .
Il pubblico è formato da esseri umani, donne, uomini, anziani e giovanissimi spesso bimbi, portatori di handicap che non sono solo quelli fisici acclarati, ma che sono anche meno visibili, ma non per questo meno significativi.
Persone non numeri, anime non algoritmi, corpi non volumi.
Si tratta quindi di alimentare il rispetto, l’accessibilità, la condivisione, la qualità, il comfort perché certo gli organizzatori di concerti e festival non sono “la Croce Rossa”, come qualcuno ha detto pubblicamente, ma non sono neanche dei negrieri e sfruttatori che spingono le persone dentro uno spazio stipato come sardine e disposte a subire tutto e a pagare tutto più del dovuto solo perché sul palco c’è il proprio cantante preferito.
Si tratta di saper immaginare una esperienza complessiva per i nostri fruitori (non chiamiamoli mai più consumatori (come dice Carlo Petrini ricorda la consunzione un sentimento Dantesco) da quando si presenta, si promuove e si mette in vendita i propri spettacoli fino a quando si agevola il ritorno a casa del proprio pubblico una esperienza che lasci memoria complessiva positiva e costruttiva e che generi affettività e armonia, emulazione positiva e non imitazione becera.
Bisogna prestare attenzione al pubblico che se viene sfruttato spremuto e preso in giro come reazione si comporterà male. Un’esperienza collettiva può essere rovinata da chi comportandosi inadeguatamente compromette lo sforzo di molti generando negatività. Continuo a ripeterlo ogni cosa ne genera altre e quello che ne esce fuori dipende quasi sempre da ciò che si semina. E per fare le cose bene bisogna avere una visione d’insieme sulle cose. Una volta messa a fuoco la visione d’insieme ogni settore lavorerà per andare nella stessa direzione. Ma lo sforzo deve essere quello di fare le cose bene affinché tutti ne traggano “guadagno”: un guadagno emotivo di memorie e di benessere e un guadagno anche economico, ma non si può pensare solo a quello economico trascurando tutto il resto.
Io da sempre mi adopero affinché i servizi per il pubblico abbiano standard di qualità e attenzione perché da organizzatore so che si può sempre migliorare l’esperienza di chi partecipa ad uno spettacolo. Si dovrebbero creare economie adeguate a questa logica per migliorare l’esperienza di chi paga per assistere ad uno spettacolo.
L’estetica dello spettacolo o smettere di fare confusione
Si tratta per esempio di iniziare semplicemente a chiamare le cose con il loro nome che forse servirebbe anche a non alimentare gli “scontri” fra boomer e nuove generazioni.
La musica dal vivo credo sia storicamente, almeno da qualche secolo …, individuata in quella suonata dal vivo, con strumenti musicali cosi importanti che forse non ce ne rendiamo neanche conto(anche la voce umana è uno strumento )Strumenti che sono fondamentali perché trasformano una idea, una sensazione, un sentimento in Musica
Musica che trasmette emozioni a chi la ascolta. Strumenti che hanno dato vita eterna a Mozart e Jimi Hendrix. Perchè un essere umano è portato a creare uno strumento musicale? Perché sente il bisogno di esprimere i propri stati d’animo tramite esso. Ogni performance live è una esperienza unica e irripetibile nella sua essenza ogni qual volta viene eseguita.
Meglio se suonata con personalità e identità anche male come molta parte del punk ci ha insegnato ma suonata e interpretata.
Altra cosa è l’utilizzo di vari artifici e supporti tecnologici per fare spettacolo senza suonare, ne spesso manco cantare, una ricerca di una perfezione effimera, irreale, dove si bada all’effetto e non al contenuto.
Il successo commerciale, il seguito, la popolarità. l’emulazione che si genera nelle persone, la propria forza nei social, nella vendita di biglietti per i propri spettacoli e/o nella vendita di proprio merchandising o altro non si discute e anzi spesso si “invidia, ma queste indubbie capacità credo non si dovrebbero chiamare musica, se e quando non lo sono.
Bisognerebbe anche smettere di elogiare solo chi ha successo, anche i giornalisti dovrebbero essere più audaci e aiutare realtà che ci sono ma che fanno fatica a decollare solo perché la famosa legge della domanda va assecondata. Anche perché cosi alla fine chi la decide la domanda? Multinazionali che spingono prodotti e non sempre artisti? Così non aiutiamo i giovani che sono il nostro futuro a conoscere nulla. Che poi diciamolo spesso si creano solo argomentazioni sterili su pettegolezzi piuttosto che diffondere e far conoscere opere o lavori artistici. Le cose possono nascere di nicchia e restare tali, non tutti avranno un successo commerciale enorme ma avere la possibilità di restare nicchia è una condizione irrinunciabile che va aiutata e sostenuta e come per tutti i campi bisogna lavorare insieme per ottenere la liberta di parlare e portare in scena cose che meritano di essere conosciute regalando quindi la possibilità ai fruitori di potere realmente scegliere e di non scegliere dal “catalogo” di youtube o della radio commerciali cosa andare a sentire.
Bisognerebbe anche qualificare le modalità di ascolto di massa della musica riprodotta nei locali pubblici, nei bar, ristoranti e hotels, nelle piazze, nelle strade, sui campi da sci come nelle spiagge si diffondono suoni pessimi, distorti, bassi che ammorbano e alti che stridono. Non è solo la qualità di ciò che viene diffuso ad alimentare mediocrità e superficialità ma anche come viene diffuso contribuisce al risultato in maniera determinante.
Le produzioni
La grande sfida per il futuro dello spettacolo dal vivo è anche e soprattutto quella di invertire l’inarrestabile tendenza al gigantismo, all’eventismo, alla forma che ha più rilevanza della sostanza
Produzioni sempre più complesse con migliaia di bilici che attraversano i continenti pieni di ferro, audio e luci, che invece potrebbero utilizzare, se disponibili sui territori nazionali, strutture locali cosi da avere un impatto positivo ambientale a livello globale e un impatto positivo economico per il paese che ospita lo spettacolo.
Produzioni che sono, senza alcun dubbio, impattanti sul già precario equilibrio ambientale, energetico, ecologico di una terra che ha perso più del 40% delle proprie risorse naturali a causa del riscaldamento globale, del disboscamento selvaggio, delle coltivazioni intensive, dei consumi e degli sprechi di cibo e di acqua, e a causa dell’inquinamento degli oceani e della natura, della cementificazione e del continuo sviluppo edilizio delle città.
Produzioni che spesso alimentano il talento creativo ma altrettanto spesso nascondono l’assenza del talento
Bisognerebbe studiare modelli per cui le Grandi masse di persone che utilizzano veicoli inquinanti per muoversi vengano aiutate a muoversi diversamente.
Produzioni con biglietti sempre più onerosi e oggetto di speculazioni e distorsioni di ogni genere non solo il Secondary Ticketing (va ricordata la sanzione di 23 milioni di euro a Viagogo) ma anche il dynamic pricing e poi a seguire il costo degli hotel che nei giorni dei concerti aumentano ovunque i prezzi in maniera vergognosa come ho già ampiamente spiegato
Produzioni che spesso generano disservizi e prezzi troppo alti nella ristorazione, nonché coercizioni, quali l’obbligo di un taglio minimo di acquisto, per l’utilizzo di token, molto elevato.
Produzioni open air che alla luce degli improvvisi mutamenti climatici, ormai purtroppo piuttosto comuni, forse necessiterebbero di ripensare le proprie priorità.
La nostra sfida collettiva dovrà credo essere quella di ripensare, re-immaginare la grande Bellezza del raduno di migliaia di persone consolate, eccitate, animate dalla partecipazione al rito del concerto di massa che, pur mantenendo le proprie unicità, possano far tornare a casa i fruitori sempre con il sorriso stampato sugli sguardi e nel cuore ma in maniera più sostenibile e meno onerosa per la terra e per tutti noi.
Si tratta di rispettare l’ambiente facendolo vivere, i nostri parchi cittadini che vanno preservati dal diffuso abusivismo e dalla maleducazione individuale ma non certo dall’organizzazione seria, professionale e consapevole di concerti e festival.
La strada
Se gli artisti non comprendono che devono uscire dagli spazi abituali dei concerti e delle rappresentazioni e utilizzare gli spazi pubblici per costruire dalle loro stesse opere l’audience development si perderà il contatto vero con la realtà rinunciando a un’esperienza unica nella nostra formazione e in quella del pubblico. L’esperienza dell’arte di strada dovrebbe essere obbligatoria per la formazione di ogni artista. Cominciare a considerare l’arte di strada come un arricchimento della propria professionalità e non come uno svilimento.
La Musica per qualche secolo ha segnato i momenti della vita agricola, della semina e del raccolto, della nostra crescita e del nostro sonno, del lavoro, delle lotte sociali, dei matrimoni e dei funerali, della detenzione e della rivoluzione.
La Musica, l’Arte sono strumenti e oggetto della nostra Vita e la nostra vita è in strada. Gaber e Luporini hanno scritto :“C’è Solo la strada, nelle case non c’è niente di buono …quell’uomo comincia ad ammuffire …e ti senti depresso …c’è solo la strada su cui puoi contare …la strada è l’unica salvezza …c’è solo la strada su cui puoi contare ,la strada è l’unica salvezza…il bisogno di uscire di esporsi nella strada ,nella piazza”
Gli esseri umani sono fatti per stare insieme, non soli davanti ad un smart phone o un televisore o un pc. Il futuro non può essere lo streaming, la supremazia della virtualità sulla realtà. Non è pensabile nè accettabile immaginare di chiudere la socialità in nome di un diritto alla vita e alla salute che è stato ed è tuttora calpestato e umiliato per milioni di persone bambini e anziani che vivono abbondantemente al di sotto della soglia della decenza umana senza acqua, senza cibo e senza nessun Diritto alla salute. Diritto che viene quindi utilizzato in maniera strumentale, per stimolare la percezione della paura di morire, senza alcun rispetto per la vita stessa.
Vita che è alimentata con la gioia con cui milioni di persone nel mondo tutti i giorni si fanno il culo per curare e realizzare spettacoli di tutti i generi e tutte le dimensioni. Gioia che alimenta la voglia di vivere.
Gli spazi del futuro
La maggioranza degli spettacoli che avvengono ogni giorno in Italia e nel mondo sono quelli che si svolgono in spazi piccoli e di media capienza.
In Italia esistono più di 2000 teatri di tradizione parzialmente utilizzati anche per la Musica ma ciò che sarebbe necessario fare magari anche accedendo ai fondi del PNRR e/o utilizzando i denari delle sanzioni per concorrenza sleale o per acclarate distorsioni quali il Secondary Ticketing è avere una visione sullo stile di “Un palco a disposizione in ogni città” dove dare possibilità a giovani e meno giovani musicisti e artisti di esibirsi, di crescere artisticamente, di crearsi un seguito. Spazi piccoli e medio piccoli modulabili e multifunzionali che in Italia non esistono e non se ne costruiscono da decenni. Spazi lungimiranti e strategici non immediatamente “spendibili” in termini di successo di massa e di gigantismo e di consenso “politico” ma necessari per costruire un futuro per chi non è ancora nato.
Alla luce dell’aumento del numero di teenager e spesso bambini agli spettacoli musicali è anche strategico e indispensabile immaginare gli spazi del futuro a dimensione psico fisica di questo pubblico.
Lo Stato italiano, i Comuni devono capire che la tutela del patrimonio artistico e culturale avviene, non solo perché restauri e conservi, ma anche sviluppando e favorendo una “nuova” attività e produzione culturale al passo con il nostro passato storico che ne ha fatto il “Paese della cultura”, della musica, dell’arte, del teatro, dell’architettura, ecc. La nuova attività culturale è decisiva per la conservazione, e la fruizione del patrimonio. Non conservi la musica del passato se non produci nuova musica. Il rischio è di diventare un museo, non un paese vivo e vitale, in cui presente e passato convivono per creare un futuro più stimolante.
Ogni Comune potrebbe mettere a disposizione spazi come le aree industriali dismesse per realizzare dei “poli di creatività” in cui i giovani possano sperimentare le loro forme di produzione artistica (musicale, di danza, ecc). Quello che ha portato il Comune di Milano molti anni fa a comprare l’Ansaldo, per farne il “laboratorio della creatività”.
L’indipendenza è un punto di arrivo e non una piattaforma di partenza.
Ho ricordato tante parti che io credo essere primarie per il futuro dello spettacolo dal vivo ma la sfida delle sfide , the final cut , e non certo “l’Ultimo Valzer” resta la capacità di restare se stessi, evolvendosi, crescendo, cambiando idea ogni qual volta lo si reputa giusto farlo mantenendo la propria identità, alimentando le proprie radici, ragionando sempre di più con la consapevolezza che si è parte di una comunità, la nostra comunità senza provincialismi ma con affettività e armonia, desiderio e passione per la propria unica personalità, pronti a unirsi, collaborare, comprendere e studiare le tante parti di un sistema globale pensando localmente e con in testa ben chiaro che ogni nostra azione individuale, professionale e creativa genera delle conseguenze collettive.
Bisogna essere indipendenti nel cuore, nel cervello, nell’anima e nel portafoglio in un mondo che con il consolidamento galoppante di tutta la filiera dello spettacolo dal vivo nelle mani di poche multinazionali corre verso una omologazione di gusti, modi e obbiettivi che sono l’anticamera della estinzione culturale e sociale prima che di quella fisica.
Il futuro non è scritto dipende da tutti noi
Grazie per avermi invitato e per avermi ascoltato
Claudio Trotta
Milano 12/13 luglio 2022
Scritto anche grazie agli appunti e agli scritti di Giuseppe Boron, Michaela Berlini, Stefano Bonagura, Luigi Corbani, Letizia Compatangelo, Claudio Formisano, Don Pasta, artisti e operatori culturali di cui mi onoro di condividere i pensieri e anche grazie agli amici di Barley Arts, Slow Music, Si Meazza e Unisca con cui condivido quotidianamente la Gioia di analizzare, creare, lavorare, riflettere e di vivere.