La disaffezione dell’opinione pubblica nei confronti della politica è cosa nota da tempo. Poi la pandemia e oggi la guerra hanno aggravato la situazione. Con la complicità della politica stessa, che già debole e incapace di affrontare la crisi di sistema da almeno un ventennio, in questa nuova fase emergenziale sembra vivacchiare benissimo.
La conseguenza è che la politica agisce senza strategia a lungo termine in modo sempre più distante dagli interessi reali dei cittadini e i cittadini, esclusi da ogni processo decisionale, non sembrano più interessati a conoscere (al di là degli interessi diretti) né le politiche dei Governi centrali, né quelle degli Enti locali.
A breve si voterà in molte città italiane e nessuno ne parla, come se le elezioni fossero una questione ormai estranea agli interessi di tutti. Né si discute di programmi, di schieramenti e di partiti in vista delle elezioni politiche del prossimo anno.
Paradossalmente, in un clima di disgregazione politica, prevale il pensiero unico e il politically correct ed è praticamente scomparsa quella sana pratica democratica che a livello più alto si esprimeva attraverso la capacità dei cittadini di controllare l’azione dei propri governanti.
Viviamo in una fase nella quale non solo si è ridotto lo spazio di una “democrazia partecipativa” che tanto era stata magnificata e invocata, ma anche sono entrati in crisi gli istituti tradizionali di “democrazia rappresentativa”.
Un delitto perfetto e un corto circuito micidiale che ha messo in evidenza la debolezza dell’equilibrio dei poteri, sempre più concentrati nelle mani degli esecutivi (Presidenza del Consiglio, Presidenti di Regione e Sindaci) a scapito degli organismi democratici ed elettivi (i rappresentanti diretti dei cittadini elettori).
A livello locale la questione di fondo è da rintracciare nell’obbrobrio dell’elezione diretta dei Sindaci che ha sovvertito l’ordine delle priorità. L’elezione diretta ha fatto credere loro di avere poteri che la democrazia non ammette e ciò che avrebbe dovuto rappresentare il rafforzamento del rapporto diretto tra cittadino ed istituzioni si è trasformato nell’esatto opposto.
Il Sindaco eletto direttamente ha indebolito il ruolo dei consigli comunali e quindi della rappresentanza popolare. La subordinazione dei consigli comunali all’esistenza del Sindaco ha depotenziato alla radice il ruolo dei consigli (il Sindaco non può essere sfiduciato se non con il ricatto del “andiamo tutti a casa”).
Cosicché i Sindaci hanno aumentato di molto il loro potere e la loro arroganza istituzionale, mentre i poteri di indirizzo e controllo sull’attività degli esecutivi di competenza dei Consigli si è di fatto vanificata. L’incompatibilità tra membri di Giunta e Consiglieri comunali ha trasformato gli Assessori in impiegati del Sindaco e le Giunte, ancora sulla carta organi collegiali, di collegiale non hanno più nulla.
In questo quadro deformato il confronto, una volta decisivo, tra maggioranza e minoranza per l’esercizio del bene pubblico si è ridotto al minimo.
I consiglieri di maggioranza, ridotti all’obbedienza nei confronti del proprio Sindaco, hanno pochissimi margini di mediazione con l’opposizione e i consiglieri di minoranza sono sfiancati dalla loro inefficacia.
E’ anche il caso di Milano, aggravato dal fatto che tra la pandemia e la guerra si è svolta una campagna elettorale per l’elezione del nuovo Sindaco e del nuovo Consiglio comunale nella quale non c’è stata competizione e una parte dei cittadini hanno disertato le urne. Sala era dato per vincente e i cittadini, non votando, hanno lasciato che vincesse, con un consenso pari al 26% dell’intero elettorato.
Forse anche per questo del Comune si sono praticamente perse le tracce.
Come dicono gli stessi consiglieri di maggioranza, delusi e sull’orlo della rinuncia, tutto si traduce in piccola propaganda. Cosicché l’azione dell’Amministrazione comunale appare sempre più inconcludente ed evanescente.
Una volta le istituzioni seguivano una regola ferrea che si articolava in tre azioni principali: la programmazione, la progettazione e l’attuazione degli interventi.
Questo schema è completamente saltato. Nessuno programma più nulla e con ciò si favorisce, senza vincoli, senza visione e senza criteri di giudizio, l’azione spesso di rapina di chi arriva prima a portarsi via un pezzo di città.
La progettazione delle opere pubbliche è ridotta al minimo sindacale, vola basso, quando addirittura non segue regole tecniche ma orientamenti di carattere ideologico. E l’azione amministrativa, soffocata da una “dilatazione burocratica” che è insieme strapotere (le determine dirigenziali che vanno oltre le competenze dei Consigli) e ignavia (la paura ad assumersi le proprie responsabilità), è fuori da ogni possibilità di giudizio e di intervento del cittadino interessato.
Tre esempi sono sotto gli occhi di tutti.
L’Europa ha assegnato all’Italia 200 miliardi di fondi (il cosiddetto Pnrr) per raggiungere obiettivi straordinari e per il rilancio della nostra economia.
Innovazione, transizione ecologica, infrastrutture, istruzione, coesione sociale, salute.
Quali siano le risorse assegnate a Milano e quali siano gli obiettivi strategici del Comune in materia non è dato sapere. Né gli Assessori, né i Consiglieri, né tantomeno i cittadini sono informati. C’è da sperare che il Sindaco ne sappia qualcosa, anche se non lo comunica a nessuno.
Della riapertura dei Navigli, oggetto principale della campagna elettorale di Sala delle elezioni del 2016, progetto già definito come strategico nel Pgt del 2012, non si ha quasi più notizia. E il Comune mette in campo interventi contraddittori con il progetto Navigli.
Sul Meazza è calata la nebbia. Dopo la decisione del Sindaco di concedere alle squadre, agli immobiliaristi e alle società finanziarie le sorti dello stadio e delle aree di San Siro, a distanza di cinque mesi non se ne sa più nulla e per dichiarazione dello stesso Sindaco, il cittadino dovrebbe chiedere conto alle squadre, anziché a lui.
Tre questioni fondamentali che meriterebbero una comunicazione pubblica nella sede deputata del Consiglio comunale. Un dovere semplice per un buon amministratore, ma che non è più messo nel conto delle cose elementari da fare.
E così l’arroganza si coniuga benissimo con la debolezza.
Roberto Biscardini
(mercoledì 23 marzo 2022)