Il calcio coinvolge miliardi di persone in tutto il mondo e muove miliardi di euro, o di dollari, se preferite. Nei giorni scorsi si è molto parlato della proposta di una “Superlega” di calcio. A parte il dilettantismo e il pressapochismo con cui è stato presentato il progetto, mi ha colpito la furibonda reazione di un tale Čeferin, a difesa del gruzzolo che ogni anno la Uefa (la Federazione europea di calcio) raccoglie sul mercato dei diritti televisivi e degli sponsores. Già che questo signore abbia uno stipendio superiore ai due milioni di euro, grida vendetta; ma è tutta la Uefa che dovrebbe essere riformata in modo che i benefici vadano soprattutto alle squadre, vere protagoniste del “business”: in fondo la Uefa non rischia mai nulla, quelli che rischiano sono le squadre e i loro proprietari.
Detto questo, ho trovato infondate le affermazioni sul valore meritocratico nel calcio e nelle competizioni europee. Da anni, le squadre si classificano in base al loro budget: più grandi sono i budget e più possibilità di vittoria ci sono. E poi ormai le nazionalità delle squadre maggiori sono legate al luogo di residenza, non alla proprietà. In Italia ha vinto lo scudetto una squadra cinese (ed è la prima volta, dato e non concesso che la Juventus abbia una proprietà italiana e non olandese). Le due finaliste della Champions League sono di proprietà di un fondo di Abu Dhabi (Manchester City) e di un oligarca russo (Chelsea). L’altra semifinalista è di proprietà di un fondo del Qatar (Paris Saint Germain); solo il Real Madrid, l’altra semifinalista) è di proprietà spagnola, di un ricco spagnolo che Forbes colloca al 1517° posto tra gli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio personale di 2,2 miliardi di euro.
È di questi giorni la notizia del rinnovo del contratto di Ibrahimovic con il Milan (si parla di sette milioni) e della scelta della Roma (di proprietà americana) di prendere Mourinho come allenatore con un contratto di 16 milioni ( 7 pagati dalla Roma e 9 pagati dal Tottenham). Si consideri inoltre che lo Stato italiano agevola, fiscalmente, i contratti dei calciatori stranieri; ritengo questa, una altra stortura del Bel Paese: contratti milionari che vengono aiutati dallo Stato, che ha ben presente l’aspirazione del popolo e applica il sacrosanto principio romano: “panem et circenses”. E così vissero tutti felici e contenti. La nostra italianità si esprime nel calcio, siamo tutti italiani, abbracciati alla bandiera e all’Inno di Mameli solo quando la nazionale di calcio vince i trofei.
Di fronte al calcio e ai suoi tifosi (che votano o almeno dovrebbero votare) la ragione politica cede alla demagogia e alla negazione di un mondo artificiale, pompato da stipendi fuori di ogni logica: se un allenatore è pagato 12 milioni netti all’anno, perché un medico ospedaliero ha un reddito di 76.000 euro (dati OCSE) e per di più dopo dieci anni almeno di studio ? Si dice che questi stipendi di allenatori e calciatori sono in base ai risultati raggiunti: ma allora perché quasi tutte le squadre hanno dei deficit spaventosi, nonostante i diritti televisivi e le sponsorizzazioni? E non parlo di questi anni di covid. E davvero nel calcio vige un principio meritocratico? O il merito si acquisisce con i soldi, e quindi diventa un regime plutocratico, in cui domina la ricchezza.
Ho provato a guardare i campionati, dopo la costituzione della Premier League (1992-1993), che ha trasformato il mondo del calcio, l’ha fatto diventare un affare mondiale e ha voluto dire un afflusso di capitali straordinario.
Ora nei campionati della Premier League dal 1992-1993, cinque delle sei candidate alla “Superlega” (rimane fuori il Tottenham) hanno vinto 26 volte su 28.
MANCHESTER UNITED |
13 | 46% |
CHELSEA | 5 | 18% |
MANCHESTER CITY | 4 | 14% |
ARSENAL |
3 | 10% |
LIVERPOOL | 1 | 4% |
BLACKBURN | 1 | 4% |
LEICESTER | 1 | 4% |
Sempre prendendo a base il periodo dal 1922-1993 ad oggi, nella Liga spagnola, le tre squadre della Superlega hanno vinto 25 volte su 28.
BARCELLONA | 14 | 50% |
REAL MADRID | 9 | 32% |
ATLETICO DE MADRID | 2 | 7% |
VALENCIA | 2 | 7% |
DEPORTIVO LA CORUÑA | 1 | 4% |
Nella Bundesliga, due squadre hanno vinto 23 campionati su 28.
BAYERN MONACO | 18 | 64% |
BORUSSIA DORTMUND | 5 | 17% |
WERDER BREMA | 2 | 7% |
STOCCARDA | 1 | 4% |
WOLFSBURG | 1 | 4% |
KAISERSLAUTERN | 1 | 4% |
Nella Ligue 1 francese, c’è stato più equilibrio anche se ci sono due blocchi: l’Olympique Lyonnais (tra il 2001 e il 2008) e poi il Paris Saint Germain, che, con l’ingresso degli arabi dal 2012, ha vinto sette campionati su otto; il nono l’aveva vinto nel 1993-1994. Un campionato non è stato assegnato. Comunque, su 27 campionati le tre principali squadre (Paris, Lione e Monaco) hanno vinto 18 tornei su 27, il 67%.
PARIS SAINT GERMAIN | 8 | 29% |
OLYMPIQUE LYONNAIS | 7 | 26% |
MONACO | 3 | 11% |
NANTES | 2 | 7% |
BORDEAUX | 2 | 7% |
OLYMPIQUE MARSIGLIA | 1 | 4% |
MONTPELLIER | 1 | 4% |
LILLA | 1 | 4% |
LENS | 1 | 4% |
AUXERRE | 1 | 4% |
In Italia, (un campionato nel 2004-205 non venne assegnato), le tre squadre della Superlega hanno vinto 25 campionati su 28: il 92% dei campionati.
JUVENTUS | 14 | 50% |
INTERNAZIONALE | 6 | 21% |
MILAN | 5 | 21% |
ROMA | 1 | 4% |
LAZIO | 1 | 4% |
In Coppa Italia, c’è un po’ più di pluralismo: 11 squadre hanno vinto la Coppa, ma, al di fuori delle milanesi, della Juventus e delle romane, solo 6 hanno vinto su una media di 62 partecipanti; ciò significa che le “top five” portano a casa 18 trofei su 28.
LAZIO | 6 | 21% |
JUVENTUS | 5 | 18% |
INTERNAZIONALE | 4 | 14% |
ROMA | 2 | 7% |
MILAN | 1 | 4% |
NAPOLI | 3 | 10% |
FIORENTINA | 2 | 7% |
PARMA | 2 | 7% |
TORINO | 1 | 4% |
SAMPDORIA | 1 | 4% |
VICENZA | 1 | 4% |
Comunque, le finali hanno visto sempre le stesse squadre, con quattro novità: due volte l’’Atalanta, una volta l’Ancona e una volta il Palermo: 3 squadre su una media di 62 partecipanti, meno del 5%.
Se esaminiamo, la Champions League il prodotto non cambia: sono le squadre della “Superlega” ad aggiudicarsi 21 coppe su 28: il 75%.
Su una media di 66 squadre partecipanti ci sono solo 5 squadre che si aggiudicano la coppa, oltre alle squadre della “Superlega”. In totale ci sono solo 13 squadre su 66 (partecipanti di media) a vincere la Champions, poco meno del 20%.
REAL MADRID | 7 |
BARCELLONA | 4 |
MILAN | 3 |
LIVERPOOL | 2 |
MANCHESTER UNITED | 2 |
INTERNAZIONALE | 1 |
JUVENTUS | 1 |
CHELSEA | 1 |
BAYERN MONACO | 3 |
AJAX | 1 |
PORTO | 1 |
OLYMPIQUE MARSIGLIA | 1 |
BORUSSIA DORTMUND | 1 |
Nella Europa League, vi è un po’ più di pluralismo ma ci sono stati solo 17 vincitori su 75 partecipanti (in media): il 23%.
Sei vincitori (l’8% di 75) sono della cosiddetta “Superlega” che in totale hanno vinto 10 trofei su 28 ovvero il 36% dei trofei.
SIVIGLIA |
6 |
PARMA | 2 |
PORTO | 2 |
FEYENOORD | 1 |
BAYERN MONACO | 1 |
SCHALKE 04 | 1 |
GALATASARAY | 1 |
VALENCIA | 1 |
CSKA MOSCA | 1 |
ZENIT SAN PIETROBURGO | 1 |
SHAKTAR DONETSK | 1 |
ATLETICO DI MADRID | 3 |
INTERNAZIONALE | 2 |
CHELSEA | 2 |
LIVERPOOL | 1 |
JUVENTUS | 1 |
MANCHESTER UNITED | 1 |
Ebbene, esaminando, i diversi tornei, appare chiaro che i trofei sono appannaggio di una élite consolidata nel tempo, e sempre più ricca (anche di debiti), ma sono i club con la maggiore disponibilità di risorse a fare le pazzie per assicurarsi i migliori giocatori e i migliori allenatori. Quei pochi che emergono, al di fuori dei dieci club della “Superlega” sono una eccezione, una tantum. Non esiste una vera alternanza di risultati.
Le squadre della “Superlega” hanno avuto un dominio gigantesco: 108 trofei su 140 (Premier League, Liga, Lega serie A, Champions League e Europa League): 11 squadre hanno conquistato il 77% dei trofei. 19 squadre diverse hanno vinto il restante 23% dei premi.
BARCELLONA |
18 |
JUVENTUS | 16 |
MANCHESTER UNITED | 16 |
REAL MADRID | 16 |
INTERNAZIONALE | 9 |
MILAN | 9 |
CHELSEA | 8 |
ATLETICO DE MADRID | 5 |
LIVERPOOL | 4 |
MANCHESTER CITY | 4 |
ARSENAL | 3 |
TOTTENHAM | – |
Di fatto, la “Superlega” veniva a confermare una situazione esistente: il predominio dei club più forti, che lasciano le briciole agli altri club. Con una variante rilevante: volevano fare il pieno delle possibilità economiche presenti sul mercato (compreso il finanziamento della JPMorgan). Ora la reazione isterica e grossolana ad un progetto mal confezionato e mal proposto svela il vero problema: i soldi e la sopravvivenza di organismi europei e internazionali che vivono grazie alle squadre, in modo particolare a quelle più ricche che danno lustro alle competizioni europee e nazionali. Senza queste squadre, Uefa e Fifa (la federazione mondiale del calcio) avrebbero qualche difficoltà ad avere ricchi diritti televisivi e ricchi sponsors.
Rimane il fatto che manca un vero campionato europeo, con le venti più forti squadre del continente: cosa che si dovrebbe fare anche riducendo il numero delle squadre dei vari campionati nazionali (20 squadre in serie A sono troppe). Ma nessuno vuole mettere mano a qualcosa di veramente nuovo. E allora si dice che non sono possibili riferimenti ad altri casi, come la NBA, la lega della pallacanestro americana. E perché?
Se non sbaglio, e molti conoscono la NBA meglio di me, giocano sempre le 30 squadre ammesse alla lega, divise in due “conference” (Eastern e Western) che a loro volta sono divise in “division” di cinque squadre (Atlantic, Central, Southeast, Northwest, Pacific e Southwest) che si affrontano per un totale di 82 partite, tra trasferte e in casa. E poi otto squadre di ogni “conference” si scontrano nei “playoffs” per arrivare alle “Conference Finals” da cui emergono i campioni della Eastern e della Western che si affrontano in una serie finale al meglio della sette partite conclusive.
Ora, vale la pena considerare che dal 1992-1993 ci sono stati 11 vincitori, ovvero il 37% delle squadre che partecipano alla NBA e che 20 squadre su 30 sono state finaliste, il 67% dei club.
VINCITORI DELLA NBA DAL 1992-1993 | |
LOS ANGELES LAKERS | 6 |
SAN ANTONIO SPURS | 5 |
CHICAGO BULLS | 4 |
GOLDEN STATE WARRIORS | 3 |
MAIMI HEAT | 3 |
HOUSTON ROCKETS | 2 |
BOSTON CELTICS | 1 |
CLEVELAND CAVALIERS | 1 |
DALLAS MAVERICKS | 1 |
DETROIT PISTONS | 1 |
TORONTO RAPTORS | 1 |
A parte le tante regole, compreso il contratto collettivo di lavoro che fissa dei parametri di ingaggio e tante altre questioni, esiste un “tetto salariale”, che non è fatto per limitare l’ingaggio del singolo giocatore: infatti, per esempio, due formidabili giocatori come Stephen Curry e James LeBron hanno un “salario”, rispettivamente, di 43 e di 39 milioni di dollari annui.
Il “salary cap maximum” serve a indicare la cifra complessiva di ingaggi che ogni club può spendere: e se non sbaglio, nel 2020-2021 era fissata in poco più di 109 milioni per ogni club. E se capisco bene, la NBA, calcolando che i singoli club possono sfondare quel tetto, introduce dei sistemi di compensazione. Come per esempio la regola della “Luxury Tax”: le squadre che superano il tetto salariale di una certa somma di denaro sono obbligate a pagare alla NBA il corrispondente di questa somma, che verrà poi distribuito dalla lega stessa alle squadre che non lo superano.
Sta di fatto che i “salari” pagati dai 30 club (nel 2020-2021) sono arrivati alla somma di 3 miliardi e 852 milioni di dollari, pari al 49% delle entrate dei club (totale 7 miliardi e novecento milioni), così per la stagione in corso i club della “Eastern conference” hanno avuto una media per squadra di 126 milioni di “salary cap” e quelli della “Western conference” una media di 131 milioni.
Il “salary cap” consente dunque un certo livellamento tra le potenzialità dei club, crea una condizione di quasi pari opportunità tra i club. Forse qualche insegnamento bisogna trarlo. Per esempio, la pubblicità dei bilanci delle squadre, con un modello unico per tutti, con voci dettagliate soprattutto sulle plusvalenze; la pubblicazione di stipendi, salari e ingaggi di tutta la squadra, obbligatorio anche per il regime fiscale di vantaggio esistente. E infine la introduzione in tutte le serie professionistiche, italiane ed europee, di un “monte ingaggi” valido per tutte le squadre, che non può essere superato se non con penalità monetarie, progressive, per le squadre che superano determinati limiti di “evasione”.
Insomma, qualche regola nuova per mettere a regime un sistema impazzito e per creare un torneo europeo e dei tornei nazionali, basati su criteri uniformi. Ci vuole coraggio dunque, ma il coraggio non se lo danno quelli che non vogliono cambiare nulla. E soprattutto che quelli che vivono alle spalle dei club, dimostrano, a parole e nei fatti, reagendo in malo modo, con punizioni, minacce e pressioni, che il tema di un vero campionato europeo a 20 squadre è all’ordine del giorno, ma non vogliono affrontarlo per non perdere il loro potere (e il denaro).
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”.
Luigi Corbani
(domenica 9 maggio 2021)