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Siamo ancora in una democrazia parlamentare rappresentativa?

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Un carissimo amico mi ha fatto giustamente notare che il Parlamento italiano fa le leggi elettorali nell’anno precedente la consultazione o addirittura nello stesso anno in cui si vota, cosa che si pone in violazione di una norma europea. Cosa che succederà anche per le elezioni del 2023.

E questo ovviamente perché le leggi non sono fatte in relazione al  sistema costituzionale e della funzione degli organi costituzionali, ma secondo le aspettative di vittoria di questo o di quel raggruppamento, in quel momento, ovvero l’anno prima delle lezioni o nello stesso anno.

Questo influisce sul funzionamento del Parlamento, tanto che è lecito porsi la domanda se la nostra è ancora una “democrazia parlamentare rappresentativa”, come previsto dalla Carta Costituzionale,  firmata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola a Palazzo Giustiniani in Roma il 27 dicembre 1947 e controfirmata dal Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi e dal Presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini e sottoposta al visto del Guardasigilli Giuseppe Grassi (liberale di Lecce).

In verità, se guardiamo i dati, il Parlamento è ridotto ad approvare i decreti legge del governo, e spesso con voto di fiducia (sia alla Camera che al Senato) e ad esaminare le proposte di legge del governo.  Nella XVI legislatura (governi Berlusconi IV e  Monti) ci sono stati 96 voti di fiducia; nella XVII  (governi  Letta, Renzi e Gentiloni)  sono saliti a 108 e nell’attuale legislatura (governi Come I, Conte II e Draghi) siamo già a 100 voti di fiducia. Il governo Renzi ha avuto 66 voti di fiducia, Monti 51, Draghi (a maggio 2022) 49, Berlusconi IV 45, Conte II 36, Gentiloni 32, Conte I 15, Letta 10.

Però, la cosa rilevante è il numero di voti di fiducia al mese: e in questo caso è in testa il governo Draghi 49 fiducie in 15 mesi, ovvero 3,26 in media al mese. Seguono: Monti 3 al mese ; Conte II 2,25; Gentiloni 2,13; Renzi 2; Letta 1,11; Berlusconi IV 1,07; Conte I un voto di fiducia al mese. (Fonte Openpolis)

Dal 2018 sono stati approvati 98 decreti legge del governo e 60 leggi ordinarie, di queste l’80% erano di iniziativa governativa.  Fra il 2008 e il 2021 sono state approvate meno dell’1% delle proposte di legge parlamentare. Per cui il ruolo legislativo autonomo del Parlamento e dei parlamentari è  ridotto ai minimi termini, a vantaggio della ratifica degli atti del governo.

E questo non sarebbe di per sé un fatto negativo, vista la ipertrofia normativa: se andate sul portale “Normattiva – il portale delle leggi vigenti” e cercate le leggi, vi compaiono 79.462 atti. Quindi se venissero ridotte le leggi approvate e il Parlamento si impegnasse a rivedere quelle in vigore, per semplificare la normativa vigente, non sarebbe male.

Ma purtroppo la riduzione del numero delle leggi non comporta di per sé un aumento della qualità delle leggi, della semplicità, della chiarezza e della efficacia delle stesse.

“Infatti sempre più spesso, governo e parlamento hanno fatto ricorso ai cosiddetti “atti omnibus”, ovvero disegni di legge che affrontano una pluralità di questioni, anche molto distanti tra loro, e che possono arrivare a contenere centinaia di articoli” scrive giustamente Openpolis.  E fra l’altro, gli articoli spessissimo rimandano ad altre leggi che rimandano ad altre leggi ancora e ad altre ancora, il che provoca spesso un labirinto inestricabile.

Si può parlare ancora di democrazia parlamentare, di democrazia rappresentativa, quando -come abbiamo visto – il ruolo legislativo autonomo del Parlamento è ridotto ai minimi termini e quando  i governi sono espressioni più del Presidente della Repubblica che del voto degli elettori e dei partiti, o del Parlamento ?

Conte e Draghi non sono parlamentari e nessun elettore né di centrodestra, né delle 5S,  né di centrosinistra, aveva mai sentito dire da chi gli chiedeva il voto,  che avrebbe fatto un governo giallo/neroverde, giallo/rosa o arcobaleno.

E da quanto va avanti la storia che, per evitare le clientele o le infiltrazioni mafiose, si sono abolite le preferenze?  Così gli eletti sono designati dalle segreterie o dai capi corrente o dai clan che reggono i cosiddetti ”partiti”.

Prendete il voto del 2018, che ha premiato la forte proposta politica del “vaffanculo” delle 5S. Cosa è rimasto? Il gruppo delle 5S si è dimezzato, poiché ha perso 162 parlamentari. Ma anche altri gruppi hanno perso molti componenti, in primis Forza Italia e il PD (quest’ultimo anche per l’uscita di “Italia Viva”).

Nella XVI legislatura (governi Berlusconi IV e  Monti), dal 29 aprile 2008 al 14 marzo 2013, ci sono stati 261 cambi di casacca che hanno riguardato 180 parlamentari (ovviamente, qualcuno ha cambiato casacca più di una volta).

Nella XVII legislatura, (governi  Letta, Renzi e Gentiloni)  dal 15 marzo 2013 al 22 marzo 2018, si è battuto ogni record: 569 cambi che hanno interessato 348 parlamentari.

Nella XVIII legislatura (governi Come I, Conte II e Draghi) , dal 23 marzo 2018 ad oggi, con l’uscita degli amici di Di Maio dalle 5S,  si sono verificati 415 cambi, di cui sono stati protagonisti 283 parlamentari.

Qualcuno dice che Di Maio e company sono usciti perché sono già al secondo mandato e quindi temevano che le “regole” del movimento impedissero la rielezione: in verità solo 21 su 61 sono in già al secondo mandato. Quella regola (con eccezioni “nazionali”)  per cui, dopo il secondo mandato, il partito non ti ricandidava ce l’aveva anche il Pci: poi nel marasma delle varie sigle, si è arrivati anche a una deputata che ha fatto sei legislature, è stata oltre 23 anni alla Camera dei deputati: per quali meriti non è dato sapere, forse perché dalemiana, poi cuperliana, poi orlandiana. Di fatto la regola interna del divieto del terzo mandato si applica ai nemici di chi comanda il “partito”, non agli amici.

Al di là delle regole di ogni gruppo, la futura collocazione riguarda tutti i parlamentari, vista la riduzione da 945 a 600 parlamentari.  Quindi ben 345 vanno a casa anche se dovessero essere ricandidati tutti: quattro su dieci comunque rimangono fuori dal parlamento.

Ribadisco: la riduzione dei parlamentari è stata fatta per demagogia, senza un chiaro disegno istituzionale e costituzionale, che inquadri il ruolo legislativo del Parlamento  e la funzione esecutiva del governo in relazione all’esistenza delle Regioni (che dovrebbero essere enti legislativi) o del Parlamento europeo e della Commissione europea. In un quadro ovvero di ripartizione della attività legislativa e del conferimento di una sovranità sovranazionale all’Europa in tanti campi (come per esempio l’energia).

Ovviamente, il fenomeno dei cambi di casacca si può limitare, ma non si può bloccare, con  strumenti legislativi o regolamentari della Camera e del Senato.  Fa ridire, oggi,  pensare che alle discussioni sulla proposta delle 5S che volevano modificare la Costituzione e imporre il “vincolo di mandato”: un eletto nelle 5S doveva stare agli ordini del gruppo delle 5S, anzi del capopolitico delle 5S e basta.

La Costituzione stabilisce in maniera sacrosanta la libertà politica e ideale del parlamentare e non vuole la sua irrigimentazione  blindata nel gruppo “politico”.

Ma siamo sicuri che, in questo momento, in questo Paese, si stia parlando di politica ?  Siamo sicuri che sia politica, nel 2022, discutere se, nella capitale dei rifiuti, dei cinghiali per strada e degli incendi,  ci vuole il termovalorizzatore? E siamo alla politica o oltre il ridicolo quando (in una intervista ad un quotidiano, e poi si chiedono perché diminuiscono i lettori) un ex ministro, autorevole (dicono) esponente del PD, ribadisce   che bisogna dare retta ai temi posti da Conte? Costui  ha affermato che “le urgenze che abbiamo posto (a Draghi) non sono urgenze che richiedono una pronta risposta”. Aiuto!

“Conte chi?”, avrebbe dovuto rispondere Draghi, il quale può certamente dire  che “ne ha le tasche piene”, ma nel contempo, dovrebbe tirare dritto  fino alla scadenza della legislatura. E poi chi vivrà, vedrà.

“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”

Luigi Corbani

(martedì 12 luglio 2022 – stato della democrazia in Italia 3 – il parlamento)

1 thought on “Siamo ancora in una democrazia parlamentare rappresentativa?”

  1. Costantino ha detto:
    Luglio 13, 2022 alle 7:19 pm

    Ottimo, as usualc

    Rispondi

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