Pubblico (con alcune note) un articolo di Michele Ainis, uscito oggi su “Repubblica”.
“Buone intenzioni, cattive soluzioni. E alla fine della giostra, il trionfo dell’ossimoro, della contraddizione logica: con questa riforma la Costituzione diventa incostituzionale.
Perché il marchingegno dei ri-costituenti entra in conflitto con l’ingegno dei costituenti, ne rovescia i principi fondativi. Che tuttavia restano lì, scolpiti nei primi articoli della nostra Carta, demoliti negli ultimi. Un fuoco ghiacciato.
Ma cominciamo da qui, dai buoni propositi che sorreggono la riforma timbrata venerdì dal Consiglio dei ministri, dopo una gestazione durata ben 12 mesi, come quella dell’asino. Sarebbe ingiusto disconoscerli, perché in queste faccende serve un esercizio d’onestà intellettuale, e perché non se ne può più di tifoserie armate l’una contro l’altra, dei giudizi di partito presi per partito preso. Invece i meriti della proposta di revisione costituzionale, a occhio e croce, sono tre.
Primo: l’astensionismo. È un veleno che sta intossicando la democrazia italiana (la settimana scorsa alle suppletive di Monza, ha votato il 19 per cento del corpo elettorale); questa riforma intende contrastarlo, offrendoci l’opportunità d’eleggere direttamente chi eserciterà i poteri di governo. E il presidenzialismo è a sua volta molto popolare, dichiarano i sondaggi.”
Nota: In realtà, non sembra vero visto che oggi su “la Stampa, appare un sondaggio per cui i favorevoli alla elezione diretta del premier sono il 39,2% degli intervistati, contrari lo sono il 38,6% e astenuti sono il 22,2%: come minimo si può dire che la riforma Casellati-Meloni spacca il Paese in due.
“Anche se, diciamolo, non è che nelle Regioni e nei Comuni – dove l’elezione diretta di governatori e sindaci sussiste da trent’anni – ci sia la coda per votare.”
Nota: Anzi, nelle ultime elezioni regionali della Lombardia (12 febbraio 2023) hanno votato quattro lombardi su dieci; Fontana ha avuto il 20% dei consensi degli elettori, ma il 54,67% dei voti validi, quindi, secondo la legge regionale, avendo superato il 40% dei voti validi, ha ottenuto il 60% dei seggi consiliari; se avesse ricevuto meno del 40% dei voti validi, avrebbe comunque avuto il 55% dei seggi consiliari, come prevede la proposta Casellati-Meloni con la elezione del Presidente del Consiglio.
In quelle, 3 ottobre 2021. per il Sindaco di Milano, figura un tempo molto sentita dei milanesi, ha votato un milanese su due e il Sindaco ha avuto il consenso di appena un milanese su quattro: la coalizione di centrosinistra, otto liste, ha ottenuto il consenso del 25% degli elettori – il 56,96& dei voti validi – ma il 65% dei seggi comunali.
“Secondo: il capo dello Stato. Figura a sua volta popolare, anche per merito di chi l’ha incarnata fino ad oggi. Nel programma del centro-destra compariva l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Dunque un presidenzialismo all’americana o alla francese, che avrebbe soppresso il ruolo di garanzia attribuito a Mattarella.
Dopo di che, inversione di rotta: eleggeremo il presidente del Consiglio, mantenendo in vita il Quirinale. Vivo, però alquanto acciaccato. Per un principio fisico, oltre che giuridico: l’aria in una stanza non è infinita, se la respiro tutta io la tolgo agli altri.
Con la riforma il premier gonfia i suoi polmoni, rubando il flato al capo dello Stato. Che conserva il potere di nominare il “Presidente eletto”, nonché di sciogliere le assemblee legislative; ma lo fa a rime obbligate, sotto dettatura.
Dunque un bi-presidenzialismo zoppo, che non a caso è senza uguali al mondo.”
Terzo: il referendum. Si terrà, su questo non ci piove. Per ragioni politiche (la maggioranza non ha i numeri per scongiurarlo), ma soprattutto per un’istanza democratica, dato che non puoi cambiare le regole del gioco senza interpellare il pubblico pagante.
Le due maxi riforme cucinate da Berlusconi e Renzi mettevano sul fuoco, rispettivamente, 55 e 47 articoli della Costituzione. Di conseguenza il doppio referendum successivo ci costrinse a un prendere o lasciare, senza distinguere cavoli e cavalli, e confiscando la nostra libertà di voto. Stavolta no, è in ballo una quaterna: gli articoli 59, 88, 92 e 94. Sarà più facile, per il governo, fare tombola nel referendum prossimo venturo.
Sennonché l’inferno è lastricato di buone intenzioni. E l’inferno costituzionale che ci attende brucia attraverso uno squilibrio, uno scompenso nella distribuzione del potere.
Perché, mentre rafforza il Premier, indebolisce il Parlamento e il capo dello Stato, riducendo il primo alle funzioni d’un Consiglio comunale, il secondo a quelle di un notaio.“
Appunto, il Consiglio comunale è svuotato di ogni potere in un assetto “bonapartista” o cesarista” come è quella della elezione diretta del Sindaco o del Presidente della Regione oggi, e domani lo sarebbe il Parlamento con la elezione diretta del Presidente del Consiglio
“E perché, mentre ci abbaglia donandoci la scelta dei governi, non ci permette di controllarne l’operato, introducendo nuovi istituti di democrazia diretta. A partire dal recall, che nella patria del presidenzialismo (gli Usa) consente la revoca anzitempo dei governanti inetti, attraverso un referendum. Insomma, pesi senza contrappesi.
Ma il guaio peggiore deriva dalla norma che c’è, non da quella che non c’è. Dice il nuovo articolo 92: la legge elettorale stabilirà un premio di maggioranza che “garantisca il 55 per cento dei seggi” alla coalizione vincente. Bello, quando le coalizioni in campo sono due. Ma se fossero invece quattro o cinque? In quel caso può bastare il 20 per cento dei consensi per dominare il Parlamento. Nel 2014 il Porcellum fu annullato dalla Consulta proprio per tale ragione, perché non contemplava una soglia minima di voti.
Adesso cade nello stesso vizio la Costituzione, e di nuovo tocca alla Consulta. Una sua celeberrima sentenza (n.1146 del 1988) dichiarò che neppure le leggi di revisione costituzionale possono offendere i «principi supremi» della Carta. E il primo fra questi è il principio democratico, che si lega alla rappresentatività del Parlamento. Da qui l’ossimoro costituzionale, da qui i nostri malanni: la democrazia del capo procura il mal di capo.”
E, per la prima volta dal 1947, si mette in Costituzione un sistema elettorale.
In questo caso, sull’onda del rafforzamento degli esecutivi, introdotto dai referendum di Segni e compagnia e da cinque leggi elettorali, si prevede il 55% dei seggi alla coalizione vincente.
Ricordo che venne definita “legge truffa” la riforma elettorale del 1953 De Gasperi-Scelba che assegnava alla coalizione che conseguiva il 50% + uno dei voti validi un premio di maggioranza con l’attribuzione del 64,5% dei seggi. La legge fu approvata dalle Camere a seguito di lunghissime discussioni dopo che il presidente del Consiglio De Gasperi aveva posto in ambedue le Camere la questione di fiducia. Non scattò il premio poiché la coalizione “Centro democratico”, composta da DC, PSDI, PLI, PRI, SVP e PSd’AZ, ottenne 13.488.813 voti, il 49,80% dei voti validi che furono 27.087.701 (pari al 95,36% dei votanti). I votanti, comprese le bianche e le nulle, furono il 93,84% degli elettori.
La legge venne abrogata nel 1954. Occorre considerare che quello del 1953 era un “premio di maggioranza” che consolidava una maggioranza esistente. In questi trent’anni invece abbiamo visto delle leggi elettorali con “maggioranza assicurata”, poiché, se il premio scattava, questo era decisivo per trasformare una minoranza in una maggioranza.
Nelle ultime elezioni politiche del 2022, la coalizione di centrodestra ha avuto il 44% dei voti validi ovvero il 27% dei voti degli elettori, ma ha portato a casa il 59% dei seggi. Il tutto in omaggio ad una esigenza di “governabilità”, di “stabilità di governo”.
Non importa se poi non vi è stabilità politica, né stabilità istituzionale: ad ogni legislatura, chi vince le elezioni pensa di cambiare la Costituzione a suo favore.
Non importa poi se alle politiche del 2022 abbiamo raggiunto la partecipazione elettorale più bassa dal 1946 ad oggi: il 36% degli italiani non ha votato, quasi 17 milioni che sono 5 milioni in più degli elettori del centrodestra: Fratelli d’Itali, che vorrebbe la riforma Casellati Meloni, ha preso 7,3 milioni di voti.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in ioi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(domenica 5 novembre 2023)
Sarà necessaria una intensa, ma accessibile campagna di informazione (non di propaganda!) sui fatti e i misfatti della riforma, perché mi sorprende e mi spaventa la percentuale del 39,2% di favorevoli contro il 38,6% di contrari.
Completamente d’accordo. Dobbiamo diffondere queste critiche