Pubblichiamo qui l’articolo sul “Foglio” di Umberto Minopoli, presidente della Associazione Italiana Nucleare.
La “neutralità climatica” entro il 2050 è l’obiettivo europeo. Ma, ovviamente, è un obiettivo valore. Il percorso della transizione climatica appare, piuttosto, accidentato. Non è ipotizzabile che esso possa essere assicurato, esclusivamente, dal dispiegamento delle sole tecnologie rinnovabili (solare, eolico, biomasse, geotermico). Realizzare al 2050 il 45% di riduzione delle emissioni attuali di CO2, imporrebbe l’aggiunta di capacità elettrica da fonti rinnovabili al tasso di un fattore dieci ogni anno. Purtroppo irrealistico.
Va allargata la tastiera delle fonti no-carbon. L’opzione nucleare è considerata ineludibile dalla stessa IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico). Ma di quali tecnologie nucleari si può, ragionevolmente parlare entro il 2050? I grandi impianti attuali (440 con 62 in costruzione), tra i 1000 e i 1600 MW, riusciranno a stento a garantire la capacità nucleare esistente.
Per raggiungere il carbon-budget, ipotizzato al 2050, occorrerà il dispiegamento di capacità nucleare aggiuntiva. L’offerta del nucleare energetico è un mercato in transizione, dagli attuali impianti baseload (carico di base, NdR) di grande potenza ai modelli di “reattori avanzati” di nuova concezione: impianti di piccola potenza (da 10 a 300 MW), modulari (fabbricabili in serie), intrinsecamente sicuri, che operano da integratori delle reti rinnovabili, ottimali per la produzione di idrogeno e di facile localizzazione.
Entro il 2026 arriveranno sul mercato numerosi di tali modelli (small modular reactors, piccoli reattori modulari, NdR) e si profila una dura competizione. Gli Stati Uniti, da soli, hanno in portafoglio una dozzina dei modelli in competizione e si propongono, sui piccoli reattori avanzati, il recupero della leadership tecnologica sul nucleare civile, persa allo stato con Russia e Cina. Ma la sfida commerciale è più ampia.
Sui reattori avanzati sono in campo nuovi players: India, Argentina, Corea, Sud Africa, Francia (con Orano) e GB (con Rolls Royce). L’Italia rischia di essere tagliata fuori da una importante sfida tecnologica. Che segnerà il ponte temporale tra il nucleare da fissione attuale e l’avvento della fusione nucleare. Il prossimo decennio vedrà il completamento della fase sperimentale della fisica della fusione. E l’avvio della costruzione di Demo, il prototipo che realizzerà l’allaccio alla rete elettrica nel 2050.
In vista della fusione, il breakthrough (il passo in avanti NdR) che segnerà il salto epocale nella generazione di energia, gli small reactors (piccoli reattori) saranno, con l’idrogeno, le batterie di stoccaggio elettrico, i sistemi di cattura della CO2, le tecnologie chiave della transizione energetica.
Va consentito alle aziende italiane di mettere un piede nelle alleanze industriali che si contenderanno il mercato dei reattori avanzati. Sarebbe illusorio immaginare la transizione ecologica, in Italia, dal lato dell’industria e delle tecnologie, come una strategia autarchica. Negli anni 60, lo Stato guidò la modernizzazione e il salto di qualità del nostro sistema (informatica, energia, aerospaziale, farmaceutica, chimica) con leggi di settore (pensiamo alla 808 nell’aeronautica) che promossero l’internazionalizzazione delle nostre aziende e l’acquisto di partecipazioni strategiche nei grandi programmi e progetti della competizione industriale di quegli anni. Per le tecnologie della transizione ecologica, occorrerebbe oggi qualcosa di analogo.
Umberto Minopoli
(da Il Foglio 30 marzo 2021)