La lettura o l’ascolto delle dichiarazioni dei politici italiani o degli analisti e dei commentatori (sui giornali e sui 22 inutili talk show) è a dir poco imbarazzante. Il tema dominante adesso è la definizione delle ricadute che il voto dell’Emilia-Romagna potrà avere sulla stabilità del governo. Di fatto, così facendo, i giornali hanno tirato la volata alla causa di Salvini. Mi auguro davvero che Stefano Bonaccini vinca le elezioni: ma lo dico per il bene dell’Emilia Romagna, e non per il governo.
Certo, se il PD dovesse perdere anche l’Emilia Romagna, sarebbe un bel problema per la politica del PD e del suo gruppo dirigente, che peraltro doveva accorgersi tempo fa della situazione dell’Emilia come di quella dell’Umbria. Ma assimilare il risultato elettorale di una Regione (significativa, certo) con il resto d’Italia è segno dell’immaturità della politica italiana e dei commentatori politici: 5,5 milioni di elettori dell’Emilia-Romagna e della Calabria equivalgono a 49 milioni di elettori che hanno votato per la Camera e il Senato poco meno di due anni fa? Confondere il significato delle elezioni fa male: basta vedere come è andato in tilt Salvini dopo le Europee.
Dal 4 marzo 2018, oltre alle europee, ci sono state dieci consultazioni regionali: ad ogni votazione sono in ballo i destini del Paese! Sembra sempre che si ricominci da capo e che la storia di questi anni di questo sciagurato Paese non conti mai e si ripetano gli stessi errori. Noi siamo naufragati in un eccesso di interpretazioni elettorali e mai nessuno si è chiesto quanto costino (non solo finanziariamente) queste elezioni e quanto siano le spese complessive di ogni consultazione.
Dal 1978 al 1995, in diciotto anni, si è votato ogni anno: cinque elezioni politiche, quattro elezioni europee, quattro elezioni regionali e amministrative complete, otto referendum, dodici elezioni regionali parziali e tredici elezioni amministrative parziali. Cinquanta appuntamenti elettorali e ogni volta in gioco era il destino del governo di turno. Finché, sorpresa! Dopo pagine e pagine di inserzioni pubblicitarie, di spot televisivi (adesso di pubblicità sui social), si scopre il finanziamento illecito o illegale. Ma guarda !
Vi pare una cosa seria, di un Paese serio ? La politica non è più la gestione della cosa pubblica; anzi la politica, alla fine di questa girandola di consultazioni, viene scambiata per un comizio permanente.
Ci sono quelli che vogliono la stabilità dei governi (magari con la falsità del maggioritario sperimentato già in questi anni), ma poi accettano che ogni elezione, anche quella di Maccastorna, sia un referendum pro o contro il governo.
Ma come è possibile questo corto circuito mediatico-politico? Solo perché c’è un tizio, che invece di fare il senatore, fa comizi tutti i giorni ? Il problema non è Salvini: anche quando era semplice consigliere comunale di Milano, preferiva (sue parole) i comizi a Lambrate ai lavori del Consiglio Comunale. Non fatelo studiare atti o documenti, lui preferisce i comizi, dove spara le sue panzane: a lui non si può citofonare perché o sta mangiando o sta facendo selfie e comizi. Gli italiani lo pagano per tromboneggiare: non per fare il senatore, eletto a Roma (sic!). Per inciso, che qualcuno del PD abbia divulgato le presenze al Senato (aula e commissione) del “Capitano” ? No, ci mancherebbe altro. Per il 92% delle votazioni (ultima considerata, l’8 gennaio) è stato “in missione”, ovvero assente ma con la diaria, per fare comizi; ha partecipato solo all’ 8% delle votazioni d’aula (Fonte Openpolis). Tralasciamo la commissione Affari esteri: “Chi l’ha visto?” è la domanda ricorrente.
Ma il punto vero sono i media che inseguono questo modo cialtronesco di fare: forse pensano di vendere qualche copia in più o di avere più audience, ma purtroppo per loro non va così.
Una manifestazione di saggezza e di cultura politica dovrebbe partire dalla considerazione che ogni elezione ha il suo specifico. Ogni votazione ha una sua specifica dimensione e anche il risultato è molto diverso: persino quando si vota nello stesso giorno, il voto per la Regione è diverso da quello per il Comune, e il voto per la Camera o per il Senato è diverso da quello per la Regione, o per il Comune. I dati sono lì a confermare quanto diversi siano i risultati in relazione allo specifico della votazione.
Mischiare le cose non fa bene né alla politica né alle istituzioni.
Certo, nessuno nega che ci siano rapporti tra le vicende politiche nazionali, quelle regionali e quelle locali. Ed è indubbio che i risultati elettorali, locali o regionali, sono un sintomo del benessere o del malessere di una forza politica, del trend di consensi o di dissensi verso questo o quel partito.
In un Paese che vota quasi ogni anno, assumere che il voto è sempre “politico” e sempre “pro o contro il governo” è un esercizio distruttivo della democrazia e delle istituzioni.
Induce anche il “politico” più bene intenzionato a pensare alle prossime elezioni piuttosto che alle prossime generazioni, al bene del proprio partito piuttosto che al bene del Paese, come diceva James Freeman Clarke (frase attribuita erroneamente a De Gasperi). Una sequela di ininterrotti referendum sul governo induce anche il miglior leader a non pensare alla scelte più giuste per il Paese, ma a quelle più demagogiche , più facili e più popolari per gli elettori.
Ma pare che vada bene così, a questo ceto politico e a questa “informazione”. E in definitiva, anche agli italiani.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(domenica 26 gennaio 2020)