L’epitaffio del noto architetto e designer Ugo La Pietra secondo cui la soppressione degli Istituti d’Arte (ISA) e la loro trasformazione in Licei Artistici è stata “una tragedia nazionale”, rende bene l’idea di quali cambiamenti si sono verificati nell’istruzione artistica italiana ma soprattutto in quella delle arti e dei mestieri che aveva sempre rappresentato il focus di queste scuole.
I primi Istituti nacquero già nell’Ottocento per iniziativa privata di associazioni operaie, società filantropiche e Comuni, con l’intenzione di formare l’artigiano operaio, perché di fronte allo sviluppo industriale si avvertiva la necessità di adeguare le competenze delle maestranze ma anche di rendere disponibili artigiani in grado di produrre oggetti di uso domestico sempre più necessari in quantità e qualità. L’unità didattico-funzionale dell’Istituto d’Arte era la Sezione (ad es. dei metalli, del legno, del merletto e del ricamo, della ceramica, del tessuto…), che si differenziavano da Istituto a Istituto, in virtù di quelle che erano le caratteristiche e le esigenze del territorio, con un ruolo preponderante svolto dai laboratori, cioè dalla realizzazione di oggetti di artigianato artistico, per la casa, la persona, l’edilizia. Inizialmente il corso di studi era della durata di tre anni con il rilascio di un diploma di Maestro d’Arte che dava la possibilità di accesso all’Accademia di Belle Arti. Si inserì poi un biennio di specializzazione, con il rilascio di un diploma di Maturità d’Arte Applicata, che consentiva l’accesso all’università.
Questo primo segnale di un’omologazione con le altre scuole di istruzione secondaria superiore troverà il suo completamento con la riforma Gelmini e la loro trasformazione in Licei Artistici, che per contro avevano l’obiettivo diverso di “impartire l’insegnamento dell’arte, indipendentemente dalle sue applicazioni all’industria”, senza mantenere la loro fisionomia ma perdendo le caratteristiche che erano loro proprie e soprattutto l’attività di laboratorio che li contraddistingueva.
A oltre dieci anni dalla riforma si può dire che, tranne per quegli Istituti d’Arte che possedevano una forte identità, laboratori ben attrezzati e un corpo docente stabile e di solida formazione e hanno sperimentato anche l’istituzione di Bienni di Perfezionamento, per molti altri di loro l’accorpamento ai Licei preesistenti, l’assenza di competenze specifiche da parte del personale dirigente e un corpo insegnante privo di formazione pratica, stanno provocando una crisi d’identità.
Naturalmente non sono mancate iniziative volte alla tutela e al rilancio dei nuovi Licei Artistici, portate avanti, oltre che da una serie di gruppi a livello locale, dall’Associazione Nazionale per la Valorizzazione delle Scuole d’Arte (ESSIA). Questa, attraverso una serie di convegni svolti in città sedi di importanti nuovi Licei Artistici, ha messo al centro della propria iniziativa: 1) la tutela, conservazione e catalogazione del patrimonio di opere, strumenti, laboratori presenti negli ISA e ora trasmessi ai Licei; 2) l’orientamento della didattica e della formazione in base alla vocazione produttiva, culturale di ciascun territorio; 3) la promozione del modello educativo Bottega-Scuola; 4) la costruzione di una rete di tutela del patrimonio artigianale e artistico locale. Da ultimo l’Associazione si è fatta sostenitrice del D.L. 2117/2021 per la tutela e lo sviluppo dell’artigianato artistico.
La crisi dell’insegnamento delle professioni artigianali non è dipesa però esclusivamente dalla scomparsa degli ISA ma anche dalla continua diminuzione delle botteghe artigianali che una volta animavano la vita delle città e che, anche dopo la loro scomparsa nei grandi centri, resistevano nei paesi della penisola e a cui si ricorreva per opere in ferro, ceramica, legno, oreficeria e per la manutenzione di questi beni. Purtroppo, lo sviluppo della grande distribuzione che ha invaso dopo l’alimentare, i comparti dei beni per la casa e per la persona e la capacità delle aziende industriali di saper standardizzare la produzione su misura di tutta una quantità di beni, hanno fatto il resto.
A contrastare questo fenomeno si sono adoperate una serie di istituzioni private e pubblico-private come, solo per citarne alcune, la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte con sede a Milano e l’Osservatorio Mestieri d’Arte di Firenze che mettono a disposizione borse di studio per la formazione in botteghe e scuole artigiane e una serie di manifestazioni dell’artigianato artistico come Artigianato e Palazzo a Firenze o le storiche Fiere dell’Artigianato di Firenze e Guardiagrele.
Da ultimo occorre non trascurare il ruolo che l’alto di gamma può svolgere nei confronti dell’artigianato sia come committente che come tutela e patronaggio. Oltre che per la valorizzazione dei propri prodotti, le aziende di questo comparto possono far ricorso alle abilità e ai manufatti di botteghe artigiane per il merchandising e il display dei punti vendita o internalizzare quelle botteghe artigiane che possono apportare valore alle proprie produzioni come ad esempio nel caso della Brioni, ora parte del Gruppo Kering, con sede a Penne in Abruzzo, che ha integrato al proprio interno l’Arazzeria Pennese, alla cui creatività e professionalità sta facendo ricorso per l’arredamento dei propri negozi e l’arricchimento dei propri capi.
In conclusione, non esiste alternativa alla collaborazione tra istruzione, artigianato e industria e ad un’iniziativa legislativa che definisca e tuteli, sull’esempio della Francia, l’artigianato artistico in Italia.
Fabrizio De Fabritiis
(martedì 21 marzo 2023)