Teresa Bellanova, apprezzata viceministro al MISE nel Governo Renzi e Gentiloni, ora ancor più apprezzata Ministro per le Politiche Agricole con il Governo Conte bis, ha chiuso la decima kermesse della Leopolda ieri con un inno alla meritocrazia.
Ha sostenuto con grande enfasi che la “meritocrazia è di sinistra” e che “chi ce l’ha fatta”, c’è riuscito per i propri meriti e che Italiaviva sosterrà solo gli amministratori pubblici meritevoli.
Ora, a parte ogni considerazione su questa ultima affermazione (che potrebbe apparire troppo impegnativa), occorre qualche riflessione in materia.
Onore al merito, valore non discutibile in linea generale. È sull’ ideologia della meritocrazia che abbiamo qualcosa da eccepire.
Innanzitutto, rivendicare la meritocrazia in un Paese che è affetto da una serie di patologie che vanno dal disagio sociale alla rabbia da esclusione, non mi sembra una grande idea.
Queste patologie sono all’origine del successo politico ed elettorale del Movimento 5 Stelle, della Lega e di tutti i movimenti populisti e antagonisti. Non si contrastano denegandone l’origine e rivendicando un merito che ha origine nella diseguaglianza.
Sarà forse per questo che negli USA (dopo il trionfo elettorale di Donald Trump e tre anni della sua Amministrazione) si assiste a un forte dibattito intellettuale in sedi accademiche prestigiose ed elitarie e a una ricca produzione editoriale sull’argomento e cioè sul fatto che l’egualitarismo populista non possa essere combattuto glorificando la meritocrazia. Anzi, si sostiene, una riflessione autocritica della meritocrazia sarebbe indispensabile.
Qui sta la contraddizione che rileviamo nella posizione di Italiaviva: da un lato il tema delle diseguaglianze si è imposto all’attenzione collettiva ormai da tempo e si discute (talvolta si fa) su come ridurle, ma, dall’altro, s’invoca la meritocrazia come vocazione della sinistra.
La meritocrazia è diseguale per definizione. Invocarla come valore assoluto non ha senso per una sinistra non autolesionista. Il tema, semmai, è come ridurre, se non eliminare, le condizioni di base e partenza perché il merito individuale possa affermarsi.
Tra l’altro, l’art. 3, comma secondo, della nostra Costituzione repubblicana lo reclama esplicitamente questo compito della politica. “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.
Senza di ciò, la meritocrazia fine a se stessa finisce per alimentare l’ineguaglianza.
Citiamo solo tre libri di recente pubblicazione negli Stati Uniti: Success and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy di Robert Frank, The Meritocracy Trap di Daniel Markovits e Tyranny of Merit di Michael Sandel.
La tesi è semplice e di immediata evidenza: la meritocrazia ha creato un’élite che tende naturalmente a riprodursi avendo accesso se non esclusivo, quanto meno privilegiato, a opportunità formative, relazionali e professionali non disponibili a tutti.
L’ideologia meritocratica afferma di fatto la convinzione che tale successo sia meritato, appunto, e che gli esclusi siano tali per demerito. Ciò alimenta il risentimento sociale degli esclusi e la rivolta populista contro le élite.
In Italia la riflessione critica è ancora arretrata. Peggio ancora: l’invocazione alla meritocrazia dal palco della Leopolda a nome della sinistra evidenzia in modo drammatico la soggezione e subordinazione culturale nei confronti dell’élite.
Quando la sinistra si appropria orgogliosamente delle parole d’ordine dei ceti dominanti, subendone l’egemonia culturale, è finita.
Ma, davvero, riferendoci a Italiaviva parliamo di “sinistra”?
Pepito Sbazzeguti
(lunedì 21 ottobre 2019)