I programmi elettorali dei partiti che si presentano alle elezioni di questo mese di settembre paiono ispirati, ma solo parzialmente, al titolo del film di Vittorio De Sica “Pane, amore e fantasia”: pane per tutti, fantasia tantissima ma, ahimè, zero amore per il Paese e i suoi depressi cittadini.
Pane per tutti. Le infinite e varie promesse di sussidio (10.000 euro a ogni diciottenne), di reddito senza fatica (teorizzato anche dalla giovane candidata del PD), di gratifiche a gogo (uno stipendio mensile in più per tutti), di agevolazioni (spese odontoiatriche gratuite per i pensionati), di soluzioni avveniristiche (basta fonti fossili e tutta l’energia prodotta da fonti rinnovabili) si sprecano senza che nessuno dei proponenti si preoccupi di indicare la fonte di finanziamento di questi miracolosi provvedimenti con l’implicita conseguenza dell’esplosione a big bang del debito pubblico.
Fantasia. Tutte queste promesse richiedono certamente una enorme dose di fantasia, dote di cui i nostri politici sembrano disporre illimitatamente. Programmi ispirati dal mero principio del piacere e zero considerazione per un necessario principio di realtà. Come se costoro si rivolgessero a una popolazione di adolescenti e non di adulti. E, forse, è proprio questa la rappresentazione che essi hanno del Paese.
Amore. Zero per il Paese e i suoi cittadini aggrediti da una crisi economica che si annuncia già devastante per il costo dell’energia, di vari prodotti di consumo ormai essenziali e delle stesse derrate alimentari.
Uno scenario da 4 F: fam, fum, frèc e fastidi.
Uno scenario che non sembra impensierire i nostri politici, occupati come sono a garantirsi un seggio sicuro per sé e, ove possibile, i propri familiari.
Qualunquismo? Populismo? Forse, ma alcuni di questi soggetti ci ha campato egregiamente per anni e, quindi, perché non ricordarglielo?
Ma la cosa grave non è nemmeno questa.
La cosa grave è la totale assenza di valutazione delle conseguenze di tali promesse.
Energia. Tema che dovrebbe essere oggi il primo posto dell’agenda di un Governo ragionevolmente interessato al benessere dei propri cittadini. Letta sposa Fratoianni e Bonelli che invocano un futuro energetico totalmente sostenuto da fonti rinnovabili, ma anche nello stesso PD da tempo si coltivano sogni deliranti in materia. Poco importa che sia irrealistico pensarlo in termini assoluti (non solo a breve, ma anche nel medio-lungo periodo), poco importa che l’emergenza per famiglie e imprese sia attuale e drammatica, poco importa che nel frattempo si riattivino le centrali a carbone (e nessuno ne parla).
Il fanatismo ideologico verde acido (per le conseguenze che ne derivano) porta a dire no a tutto: no al gas (né nostro né altrui, né gassoso né liquido), no al nucleare (che sia di terza o quarta generazione), no alla decarbonizzazione e allo stoccaggio della CO2 (che pure si fa tranquillamente altrove in Europa).
La campagna a manifesti del PD riassume bene questo delirio: fossili brutto, rinnovabili bello. La parola d’ordine postfuturista è “elettricità” ma come generarla resta un mistero.
Lavoro. Il tema in agenda dovrebbe essere come generare veri posti di lavoro, pagati il giusto e dignitosamente regolati. Oltre a riciclare il trito argomento del cuneo fiscale, si procede alla delegittimazione del lavoro come fonte di reddito (già citata affermazione della giovane candidata del PD sul fatto che il reddito personale non è detto che debba essere generato solo dal lavoro. Ma se è così, da cos’altro?), alla promessa di mensilità aggiuntive (pagate come e da chi?) e alla fantasiosa rappresentazione di una società che genererebbe spontaneamente nuovi lavori (soprattutto per i giovani) non meglio identificati.
Riforme. Gli impegni presi con l’Unione Europea in merito ai fondi del PNRR vengono allegramente disattesi poiché si tratta di negoziare (con chi? perché? con quali speranze di successo?) nuovi indirizzi e nuove destinazioni di questo tesoretto che, giova ricordarlo, non è per nulla scontato. L’assalto alla diligenza, se ben difesa (e parrebbe lo sia dai temibili mercanti e contabili del Nord Europa), sembrerebbe destinato al fallimento.
Si apprende dai sondaggi che l’astensionismo si assesterebbe intorno al 40% e oltre. Difficile non condividere la depressione di questa ampia fascia di elettorato potenziale. Impossibile richiamare le ragioni del diritto/dovere di voto a una società così devastata dalla diseguaglianza e dall’intossicazione propagandistica.
Munendosi di scafandro (perchè turarsi il naso forse non basta), però, il voto va dato. Scegliendo, tra sigle e persone candidate, quelle che appaiono più realiste e ragionevoli.
È una scelta di responsabilità individuale che potrebbe contenere i danni di una rinuncia di massa al potere di rappresentanza.
La libertà è partecipazione.
Pepito Sbazzeguti
(martedì 6 settembre 2022)