Domani, finalmente, si chiude il lungo capitolo delle primarie del PD. Troppi cosiddetti “commentatori”, prendendo a pretesto questa ingiustificatamente lunga fase “congressuale”, hanno ridicolizzato il PD. E vedrete che sul confronto con le altre primarie, sui numeri dei partecipanti, daranno le loro sentenze. A tutti costoro, con il sorrisino stampato sul faccino, bisogna dire che ogni multiplo di 50.000 è da considerarsi un successo, vista la “grandiosa” partecipazione di 50.000 persone delle 5S alla maldestra piattaforma Rousseau per salvare il “capitano”.
Non si può tuttavia negare che la scelta di astenersi, di rifugiarsi in un colle aventiniano a mangiare popcorn, ha di fatto isolato e reso impotente il secondo partito d’Italia. E adesso il rischio è che il confronto continui ad essere tra chi rivendica o no, le cose fatte da Renzi, come tutte giuste, saltando a piè pari Gentiloni,
Nel 2018 il PD ha fatto lo stesso errore del 2001: governo Amato e candidato premier Rutelli; governo Gentiloni e candidato premier Renzi. Se non ripresenti il capo del governo come leader anche per il futuro governo, il partito si dà una zappa sui piedi: significa che dà un giudizio negativo sul governo uscente. Ma nel 2001 c’erano le ambizioni dei due compagni di merende (Rutelli e Veltroni) che fecero la staffetta, da sindaco a candidato premier e da segretario DS a sindaco, i quali, non contenti, poi ripeterono la cosa a parti invertite nel 2008: di fronte alla seconda staffetta, i romani scelsero Alemanno. L’8 gennaio 2001 Rutelli si dimise da sindaco di Roma per candidarsi a Presidente del Consiglio per l’Ulivo. Il 13 e il 27 maggio, elezioni a Roma, vince Veltroni contro Tajani, Il 13 maggio si vota per le politiche: Berlusconi 49,56% e Rutelli 35,47%: di fatto Veltroni non guida la campagna elettorale perché pensa a sé (a Roma senza primarie, ovviamente: non c’era il tempo, sic!), lascia a Folena, coordinatore della segreteria, la campagna elettorale nazionale (la prima volta che il segretario del Partito non fa la campagna elettorale ) e i DS arrivano al minimo storico, con il 16,6% dei voti (5 anni prima il PDS da solo era al 21%).
Oggi come allora, il grande pericolo che il PD corre è quello di essere romano-centrico, come lo sono state le formazioni precedenti, PDS, DS, ecc. : persino il Pci ha avuto un limite in questa “romanità”. E non parliamo di quando addirittura è preda del cosiddetto “generone romano”, un organismo monocellulare, che ingloba destra, sinistra, centro: è un’ameba mangia-cervello, un nemico subdolo che cresce nelle temperature miti favorite dal ponentino, che si sviluppa nei salotti e nelle terrazze romane e che pervade politica, economia, affari, curia romana, istituzioni democratiche, cultura. enti e aziende pubbliche, livelli elevati dell’apparato dello Stato..
In quell’ambiente mefitico, appaiono lontane le periferie, il disagio, la insicurezza sociale e fisica, le esigenze delle forze produttive, delle masse lavoratrici, dei piccoli, medi e medio-grandi imprenditori; gli immigrati irregolari non bivaccano in via Condotti e la stazione Termini è lontana. Come lontana appare l’Europa: l’importante è che non si scalfisca il centralismo statale, poiché esso è strumento e compagno di una gestione del Mezzogiorno clientelare e assistenziale, utile a mantenere il potere romano.
Da Roma, il Nord appare una entità lontana, fastidiosa, petulante, anche nelle sue richieste di decentramento, di autogoverno, di produttività, di efficienza.
Speriamo che la partecipazione alle primarie solleciti anche una organizzazione del partito più consona a quella di una forza rappresentativa della società e della cultura italiana, e abbandoni l’assetto, più che ventennale, di una forza monocratica, fotocopia di un modello proprio del centro destra, ma estraneo alla cultura della sinistra italiana. Non si tratta di ascoltare la “gente” o di andare dalla “ggente” (entità metafisica, astratta), ma di avere una presenza diffusa nel territorio, organizzata nei quartieri, nei paesi. Una forza che risponda anche a un modo democratico di confrontare le idee: negli organismi territoriali, in quelli dirigenti nazionali, non a “Porta a porta” o nei talkshow, o nelle tv dove si annunciano politiche decise individualmente o in piccoli gruppi. Un partito dove il confronto e la dialettica sia aperta, nelle sedi giuste, non sui giornali o sui social, e dove si sappia trovare la sintesi politica. La Cdu tedesca in pochi mesi ha perso elezioni regionali, dimissionato il segretario, fatto i congressi regionali e il congresso nazionale ed eletto il nuovo segretario nazionale. Non mi sembra un modello da buttare via o si preferisce una gestione dittatoriale come quella delle 5 s e della Lega? Il modello monocratico del partito leggero è un ossimoro, una lucida follia per la sinistra, che porta solo guai, arrivismo, carrierismo, opportunismo e opacità della direzione. Uno dei grandi problemi di questi anni non è stata la lotta interna, è stata la scelta plebiscitaria delle primarie, accompagnata dalla assenza di discussioni vere, reali negli organi dirigenti, visti spesso come un fastidio, una perdita di tempo.
Il vituperato “centralismo democratico” era molto più democratico e molto meno centralistico delle nuove formazioni di sinistra e di destra, espressioni del “nuovo modo di fare politica”. Mi vien voglia di dirla con Giuseppe Verdi: “Tornate all’antico e sarà un progresso!”
Luigi Corbani
Analisi perfetta, lucida . Condivido integralmente.