Un amico, attento osservatore della vita culturale e del sistema della informazione, mi ha segnalato lo spazio dedicato dal “Corriere della Sera” di oggi ai morti sul lavoro. Pag 26 prima colonna in basso:
“Quattro incidenti mortali sul lavoro, ieri: tre in Lombardia e il quarto in Calabria. Il 25enne Abdul Ruman, bengalese, al primo giorno di impiego, è rimasto schiacciato sotto un macchinario di un’azienda tessile a Trezzano (Milano). A Bagolino (Brescia), un 33enne è stato travolto dalla pianta che stava tagliando. A Cantù (Como) e a Rende, (Cosenza) un 60enne e un 62enne, entrambi muratori, sono caduti dai ponteggi.”
Ma il “Corriere” apre con tre pagine dedicate alla Annunziata che si è dimessa “perché non ci sono più i suoi amichetti a difendere le sciocchezze che dice”, così il testo del mio amico, che sottoscrivo interamente.
240.000 € all’anno per “mezz’ora in più” per sei mesi di trasmissione, dopo essere stata presidente della Rai. Però la Annunziata è stata brava nel 2017 quando ha precisato che la cifra pubblicata dai giornali, 460mila euro, del suo stipendio si riferiva solo alla stagione 2017-2018 quando conduceva un secondo programma, mentre il compenso abituale era di 350mila all’anno. E poi ha chiesto di adeguarlo al massimo previsto dalla legge, appunto 240.000 euro all’anno.
E la sinistra è addolorata per quelli (Annunziata, Fazio) che hanno usato la Rai per crearsi una immagine “di sinistra” e rimpinguare il loro reddito, e oggi scelgono contratti più lucrosi (almeno nel caso di Fazio) sempre all’insegna della “gauche caviar”. (cashmere, caviale e champagne, si potrebbe dire). Il tutto avviene all’insegna dell’attacco alla libertà, poiché oggi sono cambiati i vertici della Rai , e sono cambiati direttori, sotto direttori, ecc., come è sempre successo da decenni a questa parte, quando cambiano i governi.
Non mi piacciono queste nomine, come non mi piace che nessuno abbia messo e metta in discussione un centro di potere come quello di Bruno Vespa (quanto costa?). E trovo insopportabile la vecchia difesa per cui i vari conduttori strapagati si ripagano i loro cachet con la pubblicità che i loro programmi raccolgono. Sono vecchie balle, tanto è vero che non sono mai stati presentati i conti reali, veri, di queste trasmissioni “virtuose”.
La verità è che la Rai è da privatizzare, come aveva sancito il referendum del 1995: votanti 58% quorum raggiunto, con 55% di sì alla privatizzazione. Le PPSS sono state privatizzate, e dal 1995 nessuno, ripeto nessuno, ha posto il problema di rispettare il voto dei cittadini.
Ma forse il “Corriere” di Urbano Cairo potrebbe chiedere lumi . a uno dei maggiori lottizzatori della Rai, il prode clintoniano Uolter. Il quale, per inciso, invece di rispettare il referendum sulla abolizione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, ha rafforzato il centralismo ministeriale romano. Eh, sì perché nel 1993, con il 77% dei votanti, e l’82% dei sì il popolo sovrano ( si dice così) aveva deciso di abolire quel Ministero.
Ma è sempre valida una regola di Giolitti: le leggi e i referendum si applicano ai nemici, ma si interpretano per gli amici, soprattutto quando potrebbero nuocere al potere del generone romano.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(venerdì 26 maggio 2023)
E bravo Corbani! Pochi, anzi, nessuno, “sinistra” ha così commentato le vicende di o ed Annunziata.
Grazie.
L’ennesimo “scandalo” all’Italiana. Del resto, sono bazzecole, se pensiamo che la Rai ha oltre il doppio di giornalisti rispetto alla CNN, e parliamo esclusivamente di quelli assunti a tempo indeterminato…
Complimenti, Luigi, per l’articolo fedele alla realtà e giustamente indignato… Credo che anche il finanziamento all’informazione dovrebbe essere gestito in modo “democratico”, destinando una quota della dichiarazione dei redditi (non aggiuntiva rispetto ai già troppi balzelli) a finanziare le reti che fanno vera informazione e non solo intrattenimento (per quello può bastare la pubblicità); nessuno escluso, soprattutto quei canali che non si riconoscono nel mainstream