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La vicenda dei servizi segreti e un voto di fiducia espressione dell’antiparlamentarismo.

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Se ci fosse stato bisogno di una controprova dell’antiparlamentarismo, non dovremmo fare riferimento alla gestione monocratica (coi dcpm) e mediatica della pandemia, con l’abuso della decretazione del primo ministro. A conferma, vi sarebbe la vicenda delicatissima dei servizi segreti, con i loro tre apparati: il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) “per assicurare unitarietà nella programmazione della ricerca informativa, nell’analisi e nelle attività operative dell’Aise che si occupa di sicurezza all’estero, e dell’Aisi che ha invece compiti sul territorio nazionale”. 

La legge del Parlamento italiano (n° 124 del 3 agosto 2007) stabiliva che l’incarico dei direttori dei vari servizi “ha comunque la durata massima di quattro anni ed è rinnovabile per una sola volta”. Una norma di “igiene” istituzionale per dei posti quanto mai delicati e “sensibili”: soltanto quattro anni e l’unico rinnovo non può superare questo limite di tempo. Ora, si tenga conto che nel passato la delega politica dei servizi veniva assegnata a una “Autorità delegata”, in genere un sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei Ministri per evitare anche un accentramento di questa funzione complessa ed estremamente “fragile”  nelle mani esclusive del Presidente del Consiglio. Il Pd si è ben guardato dal chiedere tale incarico che Conte si è tenuto per sé in questo e nel precedente governo. Non solo, Conte ha manovrato nelle nomine delle aziende pubbliche, liberando caselle nei servizi in cui ha messo e sta cercando di mettere persone a lui gradite.

E si arriva così  al decreto legge n. 83 del 30 luglio con cui si prorogava la emergenza epidemiologica al 15 ottobre. Ma nel decreto legge viene anche inserita una norma che col covid-19 c’entra come i cavoli a merenda, a meno che si pensi che l’emergenza duri altri quattro anni: «Al fine di garantire, anche nell’ambito dell’attuale stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, la piena continuità nella gestione operativa del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, alla legge 3 agosto 2007, n. 124, sono apportate le seguenti modificazioni: le parole “per una sola volta” sono sostituite dalle seguenti: “con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni”». Quindi con questa norma i direttori del Dis, dell’Aise e dell’Aisi potranno avere un rinnovo per altri quattro anni, potrebbero cioè totalizzare otto anni a maneggiare segreti interni ed esterni.

C’è da chiedersi dove era il Pd, dove erano i suoi due ministri, quello della Difesa e quello dell’Economia (che fanno parte del Cisr, Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, che avrebbe dovuto proporre tale misura). E c’è da chiedersi anche dove era il Presidente della Repubblica, quando ha visto, in un decreto legge sul covid-19, una misura che doveva essere oggetto di una legge ordinaria del Parlamento italiano, vista la delicatezza della materia. Naturalmente dubito che tale norma sia stata discussa con il Copasir. Per chi non lo sapesse riporto qui la definizione ufficiale: “L’attività del Sistema di informazione per la sicurezza è sottoposta al controllo del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, organo bicamerale composto da 5 senatori e 5 deputati scelti in maniera tale da garantire comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni. Il Comitato è presieduto da un esponente dell’opposizione.”

Orbene, questo “colpo di mano” di Conte  è parte della dura lotta interna ai servizi per le nomine  ai vertici dei servizi stessi. Di queste faide si sono fatti interpreti in sede parlamentare alcuni deputati delle 5S che hanno chiesto di stralciare la norma al fine di lanciare un messaggio di guerra: “non era mai capitato che un ramo del Parlamento venisse utilizzato come arma di pressione per definire chi debba assumere la responsabilità dell’Intelligence del Paese. In particolare assegnando un colore politico ad una struttura che per definizione ha il solo obiettivo di tutelare la sicurezza nazionale. – scrive Claudio Tito su “Repubblica” –  Del resto, questo può avvenire solo in un sistema dei partiti debole e alla ricerca di protezione. E in una situazione in cui la presidenza del consiglio ha deciso di tenere per sé ormai da oltre due anni la delega per la gestione dei Servizi segreti.”

Al di là dei motivi per cui una cinquantina di 5S hanno presentato l’emendamento, è singolare che nessuno del PD si sia mosso per dire che un tale pasticcio si risolve stralciando la norma e che la materia deve essere di competenza del Parlamento, non di un decreto legge dell’esecutivo. E la cosa grave è che nessuno della maggioranza di governo si sia opposto alla richiesta di un voto di fiducia su tale materia, che per definizione dovrebbe essere comune alla maggioranza e all’opposizione. Questo voto di fiducia  è un  esproprio di ogni funzione legislativa e di controllo sull’esecutivo su una materia delicatissima per la vita democratica del Paese.

Ma questo fatto da una parte è il frutto della insipienza del PD e dei suo alleati di governo e dall’altra è la logica conclusione di un  Parlamento inteso come sede dei portavoce del Capo politico, con il vincolo di eseguire il mandato delle 5S, della Casaleggio, di Conte o di chi per esso. Del resto, chi pone come condizione per la formazione del Governo la riduzione dei parlamentari per “tagliare le poltrone”, può ben dire che i servizi segreti non sono di competenza del Parlamento ma del Capo del Governo. Il punto è che ci sono quelli (prima la Lega, poi il Pd) che accettano questo antiparlamentarismo, pur di avere qualche posto da ministro.

Ragione in più per votare no al prossimo referendum.

Paolino Casamari

(giovedì 3 settembre 2020)

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