Il primo marzo Francesco I, duce dell’Enel dei Due Mondi, si è avvalso dell’augusta cattedra del “Corriere della Sera” per impartire urbi et orbi una lezione sulla strategia energetica auspicabile per l’Italia in questo tempo di guerra. Come già gli era accaduto sul nucleare e sulla tassonomia del Fit for 55 Ue, Starace ha esternato, senza troppo curarsi delle posizioni del governo italiano, suo azionista di riferimento, e senza dare l’aggiornamento preciso dei risultati e dei reali propositi dell’azienda.
L’amministratore delegato dell’Enel ha tenuto la sua lectio magistralis proprio mentre il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, era impegnato ad Algeri in un difficile negoziato per ottenere più gas dalla Sonatrach e il presidente del Consiglio, Mario Draghi, prospettava in Parlamento l’opportunità di riattivare le centrali a carbone, il cui pieno utilizzo sarebbe possibile in tempi brevissimi e abbasserebbe di colpo il fabbisogno di gas del 14%. Una mossa scandalosa che il governo associa alla prospettiva di un maggior sfruttamento dei giacimenti nazionali.
Starace ha indicato tre obiettivi: ridurre drasticissimamente i consumi italiani di gas a cominciare da quello bruciato per produrre energia elettrica; sostituire le caldaie domestiche con pompe di calore; costruire due nuovi terminali di rigassificazione per importare GNL e diversificare così gli approvvigionamenti. Sono obiettivi di per sé interessanti, ancorché non nuovi e tutti da chiarire quanto a ricadute ambientali ed economiche. Ma il punto vero è che tali obiettivi richiedono anni di lavoro, mentre adesso il Paese ha bisogno di misure a effetto immediato per domare l’inflazione ed evitare la penuria energetica. È su questo fronte che si esercita l’azione di governo. Ma su questo fronte Starace non spende parole. Non sapeva nulla delle scelte di Draghi o le ritiene sbagliate? Come raccorda le sue indicazioni strategiche con la posizione del governo sul Fit for 55 Ue, nella cui tassonomia Draghi ha voluto far inserire anche il gas naturale? Si rende conto di apparire più vicino a Legambiente che a palazzo Chigi?
È, quello di Francesco I, un silenzio non privo di una sua eloquenza. Già, gli affari dell’Enel non vanno benissimo. Dopo la cavalcata degli anni scorsi, il titolo sta soffrendo da parecchi mesi. Era sopra gli 8 euro e ora quota poco più di 6. Un calo singolare quando si parla degli extra profitti delle aziende elettriche ricche di fonti rinnovabili. D’altra parte, diversamente da Edison e dalle ex municipalizzate, Enel esprime economics che lasciano a desiderare. I giornali hanno titolato per lo più sul colossale incremento dei ricavi, pari al 33%. Ma la vera notizia è che a un tale incremento corrisponde una sorprendente flessione del margine operativo lordo. L’Enel mostra questo margine in leggero aumento nella sua nota ufficiale, ma si tratta, per così dire, di un’illusione ottica dovuta all’inserimento della robusta plusvalenza realizzata cedendo il 50% di Open Fiber al fondo Macquarie e alla Cassa depositi e prestiti. Questa decisione contabile sarà senz’altro conforme ai sacri principi, ma non impedisce di vedere come nel 2020, esercizio funestato dalla pandemia, il margine operativo lordo del core business fosse pari al 27% dei ricavi e nell’anno della ripresa sia sceso sotto il 20%. Un’erosione dei margini che si accompagna a un singolare aumento dei debiti finanziari netti che salgono da 45 a 52 miliardi, nonostante l’incasso di 2,7 miliardi dalla cessione di Open Fiber.
Prima di dare lezioni agli altri sui massimi sistemi, l’Enel dovrebbe fare chiarezza sui propri conti e su come, in prospettiva, riequilibrerà i ricavi da mercato con i ricavi da attività regolate. Non è un mistero che l’Enel deriva buona parte del margine dal monopolio della distribuzione elettrica e che le sarebbe assai gradita la remunerazione a RAB (Regulatory Asset Base, ndr.) anche della rete delle ricariche per i veicoli elettrici. Così come è nelle cose che lo sviluppo ulteriore delle fonti rinnovabili richieda sempre più diffusi e sofisticati servizi di bilanciamento per evitare il black out. Servizi assai redditizi, che Enel vorrebbe in gran parte per sé.
La lectio magistralis, ospitata dal “Corriere”, sorvola sulla questione degli eventuali sussidi alle fonti rinnovabili perché, a emergenza finita, non ci saranno sempre prezzi del gas così alti da rendere economico qualsiasi altro modo di produzione dell’energia elettrica. Ma soprattutto la lectio sorvola sulla scelta del governo di tornare al carbone, che era già nell’aria quando veniva redatta. Eppure, un così clamoroso revirement apre questioni rilevantissime per chi ambisce a guidare la transizione energetica: quanto a lungo durerà l’utilizzo del più malfamato dei combustibili fossili?; si scoprirà, magari, che le opere di ambientalizzazione fatte o possibili in queste centrali ne attenuano l’impatto ambientale?; viene confermata o rinviata la chiusura delle centrali a carbone nel 2027?; e si chiederanno a tal fine le compensazioni a suo tempo pretese per la chiusura delle centrali nucleari?; gli investimenti sui rigassificatori verranno recuperati con contratti a lungo termine stipulati dall’operatore con i fornitori di gas o l’operatore li metterà semplicemente a disposizione degli operatori in concorrenza dietro una fee per i diritti d’uso ma sempre rischiandone il sottoutilizzo?
Certo, questioni di tal genere, e altre che se ne potranno aggiungere, mettono alla frusta lo storytelling verdeggiante dell’Enel, ma al tempo di guerra i responsabili non possono fuggire dal principio di realtà nell’azione, e pure nella propaganda delle lectio magistralis.Napoleone soleva dire: l’intendance suivra. Francesco I pensa lo stesso dell’Italia e del suo governo?
Devil
(mercoledì 2 marzo 2022)
Perfetto