Non si possono escludere dal sistema democratico le astensioni.
Una proposta: far contare le astensioni nelle attribuzioni dei seggi
Dopo tre giorni dalle elezioni, il tema dell’astensionismo è sparito dai giornali, dai talkshow e dal dibattito politico.
Il campo adesso è preso da nani da giardino che festeggiano perché sono diventati giganti e comandano nelle regioni più rilevanti d’Italia e da nani ancora più piccoli felici di aver salvato la pelle e di esserci ancora.
Il fenomeno dell’astensionismo dovrebbe preoccupare, perché è la manifestazione della sfiducia diffusa verso la politica e le istituzioni, della indifferenza, quando non della avversione. Su quale autorità e con quale autorevolezza, con quale legittimazione governa una minoranza? Si pensa che chi non ha votato, ha torto e che quindi è peggio per loro, perché non hanno scelto il colore del governo? Ma l’astensione è una scelta elettorale e politica, con tantissime motivazioni, che non è il caso qui di elencare.
Quando il non voto mette in discussione la democrazia?
E qual è il limite a cui non possiamo arrivare? Quando vota solo la nonna del candidato e il nonno della altra candidata? Ma quali sono i principi della democrazia, se non la rappresentanza della maggioranza dei cittadini e la tutela delle minoranze? La democrazia è basata sul principio di inclusione di tutti, e quindi delle minoranze. Qui, siamo ormai al paradosso che la democrazia non include la maggioranza, e che sono le minoranze che governano sulle spalle della maggioranza dei cittadini. Come si definisce un Paese governato da una minoranza?
Gli astenuti non sono parte del popolo sovrano?
Nessuno mette in dubbio la legittimità delle nostre elezioni, ma occorre affrontare un problema serio: la democrazia è ancora tale quando non è basata sul consenso della maggioranza del popolo sovrano? E forse gli astenuti non sono parte del popolo sovrano? Possiamo considerarli fuori dal circuito democratico perché non hanno votato?
Una volta vi era l’obbligo del voto
Una volta, fino al 1993, vi era l’obbligo (raramente sanzionato peraltro) di votare; oggi vi è il “dovere civico” previsto dalla Costituzione. E un obbligo morale è lasciato alla discrezione e alla volontà dell’individuo, che in Italia ha da sempre un rapporto conflittuale con gli obblighi morali, e persino con gli obblighi di legge (il cittadino ha il dovere di pagare le tasse!).
L’astensione è riconosciuta dalla stessa Corte Costituzionale come una espressione di voto, che nelle elezioni assume un aspetto socio-politico, tuttavia senza conseguenze.
È giusto che l’astensione non conti nulla?
Ma è giusto che l’astensione non conti nulla nelle elezioni politiche, amministrative, regionali ed europee? Persino nelle assemblee condominiali esiste un quorum costitutivo, e uno deliberativo, e maggioranze semplici, qualificate e agevolate, a volte anche la necessità della unanimità. Per la validità dei consigli di amministrazione delle società per azioni, è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori.
Nelle assemblee elettive (parlamento, consiglio comunale, consiglio regionale) esistono i quorum per la validità delle sedute e la definizione delle maggioranze, a volte qualificate, per le deliberazioni. Nei referendum abrogativi è previsto un quorum, come parte essenziale per la possibilità di abrogare delle norme decise dal Parlamento: in 25 anni, ben 30 referendum su 34 non sono passati per mancanza del quorum. Tutto questo non esiste nelle elezioni: basta un voto e il gioco è fatto.
Le elezioni regionali a Milano città
A Milano città, per il presidente della Regione, ha votato, il 41,30% degli elettori aventi diritto: quattro cittadini su dieci. Per le liste, ha votato il 34,62%, ovvero due cittadini su tre non hanno votato, perché non hanno fiducia nei partiti, nelle coalizioni, nelle istituzioni, nella politica, nei personaggi presentati, ecc.
Il candidato del centrosinistra per la Regione, a Milano città, ha preso il voto del 19,34% degli elettori, ovvero solo un milanese ogni cinque. Il PD ha preso il 9,59%, ovvero il voto di un milanese ogni dieci.
Il voto dei lombardi
Fontana è stato eletto dal 22% degli elettori lombardi. E la grande avanzata (così scrive qualche giornale) di Fratelli d’Italia si concretizza nel 9,06% degli elettori lombardi, meno di uno ogni dieci. E si potrebbe continuare: sta di fatto che nonostante questi voti, Fontana si prende 48 consiglieri regionali, il 60% dei consiglieri regionali attribuiti al Consiglio regionale della Lombardia.
Le elezioni comunali di Milano del 2021
Ma alle elezioni del Comune di Milano, nell’ottobre 2021, è andata meglio? Per le liste dei partiti ha votato il 43,68% degli elettori, per la carica di Sindaco il 46,70%. Sala è stato eletto dal 27% dei milanesi, ovvero da un milanese su quattro. Se si somma il risultato del PD e quello della lista Sala, abbiamo il 18,79%, ovvero un milanese su cinque. Tutta la coalizione a sostegno di Sala ha ottenuto il consenso del 25% degli aventi diritto al voto, ma ha avuto il 65% dei consiglieri comunali.
E – si noti bene, cosa assolutamente rilevante – tutti i candidati alla carica di Sindaco non hanno avuto il voto della maggioranza dei milanesi.
Che fare?
E allora? Di fronte a questo fenomeno dell’astensionismo cosa si può fare? Tante cose certo, come per esempio la definizione legislativa, sulla base del dettato costituzionale, della natura dei partiti politici con una legge che preveda le regole democratiche nel loro funzionamento interno.
Ma oggi mi limito al fronte del sistema elettorale, dove ovviamente non si può tornare all’obbligo del voto né ad introdurre un quorum necessario di votanti, poiché ciò, con l’aria che tira, porterebbe a votare tutti i giorni.
Ma è necessario introdurre un sistema che incentivi partiti, liste e candidati a recuperare la fiducia e il consenso degli elettori.
Più astensioni, meno seggi
Si può allora far contare il voto degli astenuti sul numero degli eletti, e questo avrebbe un risultato immediato sul comportamento dei candidati e dei “partiti” che presentano le liste. Ciò anche in relazione al fatto che le leggi elettorali di questi trent’anni (Mattarellum Porcellum, Italicum, Rosatellum, leggi maggioritarie per il Comune e per la Regione) hanno tutelato gli eletti, non gli elettori, hanno dato potere ai gruppi dominanti dei “partiti”, non agli elettori.
Allora, bisogna introdurre un principio: i seggi sono assegnati in proporzione della quantità degli elettori, rovesciando la situazione attuale per cui è indifferente il numero degli elettori.
La proposta con un esempio concreto: il Consiglio regionale della Lombardia
I consiglieri da eleggere in Lombardia sono 80 e i cittadini aventi diritto al voto sono 8.010.538.
I voti validi per le liste sono stati 2.881.164 pari al 35,97% degli elettori. A questo punto – ecco la proposta – i seggi attributi non sono 80 ma il 35,97% di 80, ovvero 29.
E siccome i candidati alla Presidenza della Regione non hanno superato il 50% dei consensi (tutti insieme hanno preso 3.245.754 voti pari al 40,52% degli elettori), secondo me, si dovrebbe andare ad un ballottaggio tra i primi due o si dovrebbe demandare la Consiglio Regionale la nomina del Presidente.
Oggi invece Fontana con il 22,15% dei voti e con la sua coalizione al 20,14% dei voti, prende la Presidenza e 48 consiglieri su 80. Ovvero siamo ad un maggioritario secco senza che ci sia una maggioranza.
Praticamente, la legge indicava un quoziente di poco più di ottantamila voti per ogni consigliere regionale, mentre ogni consigliere del centrodestra oggi è stato eletto con poco meno di trentaquattro mila voti, molto meno della metà di quanto necessario secondo l’attribuzione dei seggi previsti dalla legge.
Un altro esempio concreto: il Comune di Milano
Facciamo un altro esempio. Alle elezioni comunali di Milano del 3 ottobre 2021, gli elettori erano 1.029,232, ma i voti validi alle liste presentate sono stati 449.563 pari al 43,68% degli elettori. I consiglieri comunali attributi al Comune di Milano sono 49. Con la mia proposta, sulla base dei voti validi dovrebbero essere eletti solo 21 (49*43,68%).
Anche a Milano la somma dei voti dei candidati a Sindaco non supera il 50% degli elettori (480.608 voti pari al 46,70%).
E anche in questo caso, il Sindaco eletto rappresenta il 26,96% degli elettori milanesi, e i partiti di centro sinistra che hanno avuto il 24,88% di consensi, hanno invece il 65% dei seggi comunali.
A Milano dunque la legge prevede un consigliere comunale ogni ventuno mila elettori. In realtà gli eletti del centrosinistra hanno avuto poco più di otto mila elettori, poco più di un terzo di quanto prevede la attribuzione massima dei seggi al Consiglio Comunale di Milano.
Perché con questi dati elettorali non fare il ballottaggio, o dare al consiglio comunale il compito di eleggere il Sindaco, quando la maggioranza degli elettori non si esprime?
Porre mano alle leggi elettorali per dare più potere ai cittadini
Non mi soffermo su due punti essenziali, che in una riforma delle leggi elettorali dovrebbero essere considerati.
In un ente legislativo, come la Regione dovrebbe essere, che quindi per definizione, dovrebbe essere rappresentativo di valori, ideali, politiche e opinioni, diffuse nella regione, non ha senso un sistema di elezione con il maggioritario secco, che sarebbe adatto a un ente amministrativo, un Comune sotto i 15.000 abitanti. Che senso democratico ha avere una legge elettorale per la Regione che prevede che, qualunque sia la partecipazione al voto, solo con un voto in più del secondo “sbanchi il banco”?
In qualsiasi assemblea elettiva, democratica, a un ruolo maggiore dell’esecutivo deve fare da contrappeso un potere di controllo e di indirizzo adeguato dell’assemblea rappresentativa. Schiacciare il ruolo del consiglio Comunale e la sua stessa composizione sulla figura del Sindaco è un grave errore democratico e porta a fenomeni di cesarismo, incompatibili con un giusto peso dei poteri di una democrazia. E lo stesso limite del secondo mandato massimo, sulla base dei fatti, porta a uno scarico di responsabilità, a un minore impegno, e di fatto premia una amministrazione o una legislatura concentrata, se va bene, sul presente, senza alcuna spinta programmatoria o senza aspirazioni a progettare il futuro.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi.” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(domenica 19 febbraio 2023)
Caro Corbani, ottimo ragionamento, lo condivido pienamente. Ma non condivido la proposta correttiva. Mi chiedo la ragione per cui hai escluso la possibilità di procedere come si fa con i referendum: se non si raggiunge almeno il 50% la votazione non è valida ( è previsto in Costituzione quindi dovrebbe poter essere ammesso anche per le elezioni politiche) e – aggiungo – si ripete fino al raggiungimento del quorum o finché i partiti non hanno cambiato candidati o le alleanze.
Mi chiedo se ci sarà qualcuno che vorrà fare una simile proposta di legge .
Cordiali saluti, Gianna Parri
Caro Luigi, sono pienamente d’accordo con te. Non trovo il mio intervento che ho fatto al 28^ Congresso del PLI il 24/3/2012. Proponevo le stesse cose che tu hai motivato molto bene nella tua mail del 23/2/23.
Potrebbe sembrare una proposta qualunquista, ma l’idea che in qualsiasi consesso politico eletto, si possano contare un 50% di sedie vuote, penso che faccia sorgere qualche domanda ai membri eletti!