Lo chiamano ancora “il violino di Arese”, Ma non ha corde. Ha un rumore inconfondibile. Un sound irripetibile. Che ricorda lo strumento estremo e virtuoso che gli ha prestato il nome. Sono passati quarant’anni dal primo rombo. Era l’aprile 1979 quando il “V6” progettato da Giuseppe Busso – torinese, ingegnere, classe 1913 – esordì sotto il cofano della nuova ammiraglia dell’Alfa Romeo: l’Alfa 6 – frutto del progetto 119 della Casa del Biscione – che doveva dare filo da torcere alla concorrenza d’Oltralpe nel segmento delle berline di prestigio. Non fu così. La vettura nacque “vecchia”, come si dice in gergo. Figlia anomala dei postumi della crisi petrolifera del 1973, scatenata dalla guerra del Kippur. Goffa, sgraziata, eccessiva nei volumi, totalmente priva di quel sex appeal che aveva decretato l’incondizionato successo della Giulia e dell’Alfetta. Ma il motore!… Quel 6 cilindri a V di 60° era l’esatto mix di studio, competenza, tecnica, genialità, passione che solo una mente italica poteva partorire. Il risultato di una magica intuizione, alla ricerca della perfezione per ristabilire il primato tecnologico del Biscione nei confronti dei competitor diretti BMW e Mercedes.
Nelle sue varie declinazioni e versioni fu protagonista assoluto. Anche nelle competizioni, consentendo all’Alfa 155 di vincere nel 1993, con Nicola Larini e grande disappunto dei tedeschi, il Deutsche Tourenwagen Masters o DTM (Campionato Tedesco Turismo), serie per vetture turismo organizzata in Germania ma con gare disputate in tutta Europa: l’università dell’automobilismo sportivo dell’epoca.
Il gioiello V6 è, a ragione, considerato l’ultimo motore Alfa Romeo a 24 carati. Nato e sviluppato ad Arese, fu infatti progettato e messo a punto prima dell’acquisizione dell’Alfa da parte del Gruppo Fiat ed è stato l’ultimo propulsore su cui Busso lavorò. Dopo oltre 25 anni, il 31 dicembre 2005 si chiude la produzione, complici gli obblighi normativi antinquinamento Euro 5 che orienteranno la Fiat verso sviluppi diversi. Per un’amara ironia della sorte, il suo progettista muore pochi giorni dopo, il 3 gennaio 2006, ad Arese.
Il nome di Giuseppe Busso è legato a filo doppio a quello dell’Alfa Romeo. Nell’arco di una vita intera, il tecnico piemontese si dedicò allo sviluppo della meccanica di tutti i modelli che avrebbero fatto la storia della Casa milanese dal dopoguerra in poi: dalla 1900 alla Giulietta, dalla Giulia e derivate all’Alfetta. La sua Stella Polare si identificava in una frase di poche parole, che ha attraversato la sua carriera come un tracciante, lasciandoci l’onore e l’orgoglio di un esempio indelebile: “È di vitale importanza non scendere mai a compromessi nella progettazione di un’Alfa Romeo”.
Ci piace ricordare – se non celebrare – questo quarantesimo anniversario del suo ultimo gioiello motoristico, che ha riportato dopo anni di oblio il marchio Alfa Romeo ai massimi allori internazionali. Lo facciamo sommessamente. Senza orpelli e fanfare. Giusto con poche parole di stima e rispetto.
Ci aspettavamo che qualcun altro ci pensasse. In effetti, se ne sono ricordati in mezza Europa, con articoli e servizi giornalistici della stampa specializzata e no. In Italia nessuno. Zero assoluto. Né i turiferari della stampa nazionale né – tantomeno – i tecnocrati del Gruppo Fca che, in tutti questi anni, hanno dato fiato a trombe stonate e inconsistenti, in vista di un rilancio del marchio del Biscione mai avvenuto.
Ma il destino del Gruppo Fca – che di italiano in realtà non ha neanche più il nome – era ed è legato ad interessi puramente economici e finanziari, che l’hanno portato alla deriva oltrefrontiera, lasciando nel Belpaese il sapore acre della beffa e il pesante onere di impianti industriali colpevolmente sottoutilizzati, con migliaia di lavoratori in ciclica cassa integrazione. Forse a rimediare ci penseranno i francesi. Ma sarà un’altra storia.
Per chi vorrà essere dei nostri, domenica 15 dicembre, ci sarà un evento dedicato a Giuseppe Busso e al suo ultimo progetto. L’appuntamento – a cura dell’Alfa Club Milano – è al centro Direzionale Alfa Romeo di Arese e riempirà tutta la giornata, con varie iniziative, visita al Museo Storico compresa. Tutte le info sulla pagina facebook di Alfa Club Milano.
Massimo Colombo
(venerdì 13 dicembre 2019)
A proposito ho appena letto su “Anteprima La spremuta di giornali di Giorgio Dell’Arti”
La richiesta di danni per 20 milioni di euro da parte della Fiat al giornalista Corrado Formigli, reo di aver confrontato, in un servizio per Annozero del 2 dicembre 2010, l’Alfa Romeo Mito con una Mini Cooper e una Citroën Ds. Dopo otto anni di processo, una condanna a 5 milioni in primo grado per danni d’immagine e patrimoniali, e due assoluzioni, la Cassazione obbligò la Fiat a pagare le spese legali. Motivazione: «Il comportamento tenuto dal giornalista Formigli è del tutto lecito. La Fiat deve sopportare il giudizio non solo del consumatore, ma di chi intende informarlo» [Il Fatto Quotidiano].