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Il referendum vale meno di un sondaggio e Roma è sempre più padrona

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Le pagine dei giornali, settimanalmente, come pure  i talk show (dalla Rai a la7) sono pieni di sondaggi, su cui i cosiddetti “esperti”, “analisti”,  “politologi”, “opinionisti” costruiscono previsioni, panorami e scenari. Vedo i dati della audience di martedì 14 giugno:  erano poco più di un milione per “Di Martedì”, e  un milione centomila  per “Cartabianca”; e attorno al milione o poco più,  viaggiano anche  “Piazza Pulita” o “Dritto e Rovescio”. Ieri sera la7, fra le 20,30 e le 23,00, ha fatto poco più di ottocentomila spettatori. Lo speciale di “Porta a Porta” di Bruno Vespa sui referendum (13 giugno) ha fatto un milione e centoventicinquemila spettatori.

Poi dieci milioni di elettori vanno a votare (ben di più di quelli che vedono i talkshow o leggono i giornali)   e non sono considerati neanche alla stregua di un sondaggio. Eppure, in questo maxi sondaggio, 6 milioni e mezzo di cittadini (quasi il 74% dei votanti) vuole la separazione delle funzioni dei magistrati, e via via, si arriva fino ai quasi 5 milioni, il 56% dei votanti  che  vuole la limitazione delle misure cautelari.

I referendum abrogativi

I referendum sulla giustizia di domenica 12 giugno appartengono alla categoria dei 33 referendum abrogativi ( su 72 complessivi)  che non hanno raggiunto il quorum di votanti previsto dalla legge. Fra quelli che invece  hanno raggiunto il quorum ci sono stati quello del divorzio (1974, con l’88% dei votanti e il 59%  per il no all’abrogazione del divorzio), quelli sull’aborto del 1981 (79% di votanti con l’88% di no alla abrogazione parziale richiesta dei radicali e il 68% di no alla abrogazione totale richiesta del “Movimento per la vita”).

Dopo il referendum istituzionale del 1946 (89 % di votanti con il 54,3% favorevoli alla repubblica), abbiamo avuto un referendum di indirizzo (varato con apposita legge nel 1989 per dare mandato costituente al Parlamento europeo, 81% votanti e 88% favorevoli) e ben quattro referendum costituzionali, per i quali non vi è quorum: due sono finiti con il no (2006 e 2016) e due con il sì (2001 sul titolo V, Regioni, Provincie e Comuni; 2020 riduzione dei parlamentari). Nel caso del titolo V, sono norme che dovrebbero essere cambiate, poiché non tengono conto adeguatamente né del governo delle aree metropolitane né del potere legislativo del Parlamento europeo.

Roma Regione: si modifica il titolo V della Costituzione.   E l’autonomia differenziata delle Regioni?

Comunque il “generone romano” porterà a casa quello che gli ingenui lombardi-veneti avevano pensato di ottenere con un referendum (costato 50 milioni in Lombardia, realizzato con il voto anche di 5S). Infatti  cambieranno la Costituzione al titolo V  perché con il voto unanime della commissione Affari costituzionali (dov’era la Lega di “Roma ladrona”?) proporranno al Parlamento di dare i poteri legislativi di una regione alla città di Roma.   Dicono,  per equiparare Roma capitale alle grandi capitali europee, almeno sulla carta, perché nei fatti la distanza da Berlino, Madrid, Parigi, è enorme.  Il peso di Parigi e Berlino in Francia e Germania è ben maggiore del ruolo di Roma in Italia. Mi sembra inutile, ricordare ai parlamentari che Madrid in Spagna ha a che fare con Barcellona con cui da tempo vi è un conflitto di poteri. E peraltro  il rapporto tra Roma e Milano è più vicino a quello di Madrid e Barcellona.

Comunque, anche se fanno Roma Regione, non si rivolverà il problema dei rifiuti, che vengono esportati all’estero, quando non vengono bruciati dagli incendi;  non si farà l’inceneritore, o il termovalorizzatore. Certo, con Roma Regione si potranno tutelare meglio cinghiali, gabbiani e ratti che impazzano per i rifiuti accanto ai cassonetti stradali non svuotati. Per non parlare dei trasporti, come del destino della “vela di Calatrava” –  costruita per i mondiali di nuoto del 2009 e mai completata o demolita –   che è ancora lì  a memoria dello spreco  del Comune di Roma della gestione Veltroni e Morassut: costo iniziale 60 milioni, spesi ad oggi senza completarla 240 milioni: nel bilancio dello stato 2020, guarda caso,  c’era uno stanziamento di  325 milioni di euro per  il completamento della “Vela”, a cui vanno aggiunti – dice la Regione Lazio– altri 200 milioni per la realizzazione di una metropolitana leggera che collegherà Tor Vergata con le due fermate vicine della metro A (Anagnina) e della metro C (Torre Angela).

Per Roma Capitale questo ed altro, o no?

“Impossibile non cogliere la differenza con il processo ultra farraginoso sulle richieste di maggiore autonomia delle Regioni del Nord: della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia Romagna, ma anche Piemonte, Liguria e Toscana.” scrive “Italia Oggi”, a ricordarci la discussione insopportabile sulla autonomia differenziata, con le stupide accuse di un ministro del PD sull’egoismo del Nord.

E la legge per la elezione del Sindaco metropolitano?

Naturalmente, nessuna forza politica ha detto ai cittadini italiani che voleva uno status di Roma diverso da quello, per esempio, dell’area metropolitana milanese. Peraltro qualche parlamentare eletto in Lombardia potrebbe magari  chiedere per il Consiglio Metropolitano Milanese lo stesso trattamento  usato nei confronti di Roma ?

Fra l’altro, i parlamentari lombardi potrebbero anche proporre la legge elettorale per le aree metropolitane – da approvare entro la prossima tornata elettorale regionale del 2023 –  poiché da mesi la Corte Costituzionale ha bocciato la norma della sciagurata legge Delrio sull’automatismo “sindaco di Milano/Sindaco della città metropolitana”: infatti i cittadini dell’area metropolitana in quel modo sono cittadini con diritti inferiori a quelli della città di Milano. Ma di questo non interessa niente a nessuno né al sindaco di Milano né alle forze politiche presenti in Comune o in Consiglio metropolitano, né alla Lega, che non è più il partito del Nord: di questo sarebbe bene che se ne facessero una ragione gli elettori dell’ex Carroccio.

E la legge elettorale dopo la riduzione dei parlamentari?

Si fa la legge costituzionale per Roma, ma dal settembre 2020, ovvero da 21 mesi siamo in attesa che il Parlamento definisca e approvi una nuova legge per le elezioni che dovrebbero tenersi fra meno di un anno nel 2023, per un Parlamento ridotto. Ma all’ultimo momento si farà una legge che servirà a far vincere le elezioni a qualcuno, non una legge che serva a definire l’assetto istituzionale del Paese. D’altra parte in quale Paese dell’Occidente democratico, si fanno cinque leggi elettorali in trent’anni ? Non conosco un Paese di antica o di recente democrazia in cui si facciano le leggi elettorali a favore di questo o di quello, a seconda della stagione.  Ma da noi sembra normale, anzi sembra un segno di modernità, di svecchiamento della politica.

Mi ha colpito l’affermazione di un amico, avvocato, che cercavo di convincere a votare per questi referendum sulla giustizia.  Mi ha subito gelato con la sua determinazione:  non avrebbe più votato per il PD in nessuna delle prossime elezioni, politiche, amministratove, europee, zonali ecc. poiché se per il PD va bene la minestrina della legge Cartabia, significa che non ha capito che il grande problema del Paese è la giustizia civile, penale e amministrativa e che  questi trent’anni sono stati all’insegna di un insano rapporto tra giustizia accusatoria e politica, gestita all’insegna di una campagna mediatica che non ha aiutato a debellare la corruzione diffusa ad ogni livello di questo Paese. Una “giustizia” assegnata tra le correnti “politiche” della magistratura, con le pratiche degenerative spartitorie degli incarichi giudiziari (altro che lottizzazione! termine peraltro sparito dal vocabolario politico).

I referendum validi, ma non applicati

“Ma perché dovrei votare, visto che poi fanno quello che vogliono loro?” E mi faceva degli esempi:  hanno adottato, anche con entusiasmo, i risultati referendari che facevano comodo a loro; contro le preferenze e  il proporzionale, per favorire la politica personalistica e le clientele del maggioritario, aiutando   la vittoria delle destre e la legittimazione dei missini (hai presente La Russa Ministro della Difesa?); contro il nucleare, per favorire i petrolieri così che oggi il Paese ha problemi energetici (in Europa il nucleare copre il 27% della produzione di energia elettrica, in Italia facciamo finta niente, anche se importiamo il 10% dei nostri consumi dalla Francia nuclearizzata); contro le aziende pubbliche, con lo scioglimento delle Partecipazioni Statali, favorendo il liberismo sfrenato (ti ricordi “privato è bello”?) e la svendita del patrimonio e delle aziende  pubbliche, così adesso abbiamo la Cassa Depositi e Prestiti che fa da banca e da Cassa per il Mezzogiorno e nessuno la controlla. Però – proseguiva il mio amico – quando nel 1987 è passata la responsabilità civile dei magistrati, hanno fatto una legge talmente complicata che nessuno la pratica. Quando si è votato nel 1997 per la privatizzazione della Rai, si è fatto finta di niente e continuano a lottizzare come prima, più di prima tra i Palazzi romani.E prima cosa che fa il nuovo lottizzato alla direzione della Rai ? Taglia lo stanziamento per la sede di Milano. Quando si è votato insieme all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti  e  delle PPSS,  per sciogliere il Ministero del Turismo e dello Spettacolo e quello dell’Agricoltura, hanno fatto di tutto per vendere le partecipazioni statali (Prodi protagonista), ma i due Ministeri sono stati centralizzati ancora di più e si è aggirato il divieto di finanziamento pubblico con barcate di soldi, distribuiti in modo tale che qualcuno se li è anche fregati ( ti ricordi il tesoriere della Margherita e i 25 milioni spariti?).

Io comunque sono andato a votare.

“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in nio stessi” “Buona notte, e buona fortuna”

Luigi Corbani

(venerdì 17 giugno 2022)

1 thought on “Il referendum vale meno di un sondaggio e Roma è sempre più padrona”

  1. Costantino ha detto:
    Giugno 17, 2022 alle 9:17 pm

    Caro Luigi, ineccepibile come (quasi) sempre. Un abbraccio Costantino

    Rispondi

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