In poche ore l’assemblea nazionale del PD ha liquidato il risultato elettorale del 25 settembre. I capi dei gruppi di potere (chiamarle, correnti è troppo, presuppone un fondamento ideale e politico) non potevano dedicare del tempo a riflettere sulla esperienza di governo e sui risultati conseguiti (quali?!).
Il PD è stato al governo per otto anni e tre mesi, su nove anni e 7 mesi di durata delle due legislature, la diciassettesima e la diciottesima. Solo per il periodo del Conte I (5 stelle/Lega, durata 461 giorni, pari a 1 anno, tre mesi e 4 giorni), il Pd non è stato al governo. Per il resto alcuni oligarchi del PD sono stati al governo per lunghissimi periodi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Uno dei maggiori oligarchi (dal 2009, da quando perse le primarie contro Bersani, ha la sua “corrente”), Dario Franceschini è stato al governo 8 anni e tre mesi, con i Governi Letta (300 giorni), Renzi (1.024 giorni), Gentiloni (536 giorni), Conte II (527 giorni) e Draghi (616 giorni). Segue a ruota un altro capo “corrente”, Andrea Orlando, sei anni e dieci mesi (Governi Letta, Renzi, Gentiloni, Draghi). E poi ci sono, Pinotti, Madia, Lorenzin (governi Renzi, Gentiloni), Guerini (Conte II, Draghi), E poi Boccia, Provenzano, Amendola, Gualtieri, De Micheli (governo Conte II).
A questi si aggiunga un prossimo acquisto del PD, Roberto Speranza del gruppo Bersani-D’Alema che è stato al governo con il Conte II e con Draghi,
E poi non contiamo le legislature parlamentari di quelli in Direzione. Prendete Franceschini, sei legislature, dalla 14a alla 19a, e quest’anno in Parlamento ha anche la compagnia della moglie. O prendete Fassino, sette legislature, dalla 12a a quella appena insediata, al governo con Prodi, D’Alema, Amato, poi sindaco di Torino, poi presidente della Commissione esteri della Camera, già segretario dei DS dopo D’Alema e Veltroni.
E si potrebbe continuare.
Il PD come partito del potere per il potere
Le “correnti” non sono uno spazio e uno strumento di elaborazione politica, culturale, ideale; sono un puro strumento di potere, dentro il partito e fuori, per spartirsi i posti nel partito, nelle istituzioni, nelle aziende e negli enti pubblici. Esiste nel Pd fin dalla sua costituzione un patto di sindacato tra correnti che avevano una dignità politica: allora ex margherita ed ex ds. Oggi esiste solo un puro patto di potere tra gruppi privi di fondamento ideale.
Più che un partito, il PD appare come una aggregazione di gruppi di potere, senza alcuna idealità, valori e programmi, se non la conquista del posto di governo o di sottogoverno. Basta vedere come sono state fatte le liste e perché non è stata cambiata una legge elettorale pessima.
Una legge elettorale che ha premiato due forze politiche che non l’avevano votata: le 5S, e Fratelli d’Italia; due forze che sono state all’opposizione, le 5S fino al 2018 e Fratelli d’Italia dal 2013 fino ad oggi, e anche in continua crescita a discapito in primo luogo dei suoi alleati di centrodestra.
Ma quella pessima legge rispondeva alla “vocazione maggioritaria” del Pd, una vocazione perseguita con il meccanismo elettorale, non certo con una proposta politica e programmatica.
Insomma, a mio parere, il PD è stato percepito dagli elettori come il partito dell’establishment, del potere, comunque e con qualunque schieramento e compagno di viaggio: il partito “governista” allo stato puro.
Un accordo tra ex democristiani ed ex-pidiessini
Del resto, il Pd nasce come un accordo della Margherita (prevalentemente ex democristiani) e dei Democratici di Sinistra (lontani parenti dei comunisti, ma figli di quell’ibrido, – movimentista e giustizialista, con tutti gli estremismi minoritari e radicali – che era il “partito democratico della sinistra”, naufragato nella “gioiosa macchina da guerra”).
Ci si affidò al democristiano presidente dell’IRI, per tentare di risalire la china. Insomma, il PD nasce come frutto di una intesa Parisi/Prodi/Veltroni.
Il giustizialismo
Non c’è nessuna eredità del PCI, ma c’è quella del PDS-DS. Basta vedere le prime elezioni a cui partecipa il PD di Veltroni: sceglie, come unico alleato, l’Italia dei Valori di Di Pietro: ovvero il giustizialismo, una posizione che non è mai appartenuta al Pci, neanche nel periodi del centrismo, e della maggiore contrapposizione con la DC.
Quel giustizialismo che è stato per trent’anni il marchio del PDS, dei DS, e poi del PD, anche del PD di Renzi (le dimissioni del Ministro dell’Interno per una telefonata o del Ministro dello Sviluppo Economico per una intercettazione telefonica, tutte in assenza di qualsiasi reato o presunto tale, ecc. ). O meglio un giustizialismo o un garantismo a intermittenza, secondo le convenienze politiche. E speriamo che oggi i casi Soumahoro e Panzeri facciano riflettere seriamente sul sistema “partito” e sulle regole dentro un partito politico.
Un partito vero, democratico, prenderebbe al volo le “proposte Nordio”, cogliendo due risultati: sistemare questioni della giustizia italiana che da troppo tempo non vanno e aprire delle contraddizioni nel fronte del centrodestra. Ma temo che alla fine i capi “corrente” del Pd si opporranno, per non essere scavalcati dalle 5S.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 14 dicembre 2022)