Esiste in Italia una forza riformista, un partito attento ai valori del lavoro, dell’etica del lavoro, della produzione di ricchezza e della distribuzione di ricchezza? O ci sarebbe bisogno di un partito riformista che affronti la prima questione in assoluto, a mio parere, l’occupazione femminile? Attorno a questo obiettivo deve essere costruita una politica e un programma di iniziative che investono tutti i campi, economici, sociali, civili e culturali, dei servizi, della legislazione.
Una volta si diceva: c’è un problema “strutturale”. Bisogna porsi, come problema centrale dello sviluppo economico e sociale, del progresso civile e culturale dell’Italia, il tema della occupazione femminile e della parità salariale: l’indipendenza economica e sociale delle donne è l’asse portante di una modifica di fondo della società italiana.
Per tasso di attività delle donne, siamo fra gli ultimi Paesi d’Europa: dopo di noi ci sono il Montenegro, la Grecia, il Nord Macedonia e la Turchia. Nove milioni e ottocentomila donne lavorano e quasi altrettante (otto milioni e mezzo) sono inattive: il 31% di tutta la popolazione femminile lavora, ed è solo il 50% della popolazione femminile tra 15 e 64 anni. La differenza tra il tasso di attività maschile e quello femminile supera il 20%: siamo penultimi in Europa.
Una donna su cinque lavora in part time “involontario”: e dal 2008 il numero è raddoppiato, da un milione a due milioni. Si calcola che le perdite di PIL pro capite attribuibili ai divari di genere nel mercato del lavoro siano quasi il 10 % del PIL europeo.
E il problema demografico gigantesco dell’Italia non si risolve lasciando a casa le donne, ma costruendo, con vari strumenti, una politica per il lavoro delle donne e la famiglia. Lavoro e famiglia, non separati o contrapposti.
Non mi sembra giusto che la Cassa Depositi e Prestiti, un ente pubblico che amministra le pensioni degli italiani, nomini (una volta, nella prima repubblica, i giornali scrivevano, “lottizzi”) i consigli di amministrazione delle società controllate, mettendo solo un quarto di donne e non un terzo come prevede la legge Lella Golfo e Alessia Mosca, che scade nel 2022.
E come accettare, ancora oggi, dopo decenni di lotte per la parità di genere, una differenza salariale tra uomo e donna nel settore privato che arriva al 20% ?
Le donne in Italia lavorano in media 27 anni contro una media europea di 33,7 anni: quasi sette anni in meno e non per scelta volontaria.
Non è forse un obiettivo da programmare, quello di recuperare quattro milioni di posti di lavoro per le donne, in 5-10 anni, con un piano che coinvolga Parlamento, Regioni, Comuni, associazioni imprenditoriali e sindacati ?
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi.” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(domenica 8 dicembre 2019)
Condivido le considerazioni di Corbani, ricordo ancora quando alla fine degli anni ottanta si cercò di ampliare quell area con i partiti socialist e i con i miglioristi del PCI.
Renato Soma