Di per sé, Angelo Bonelli potrebbe essere lasciato in pace a strepitare bonellate sul gas e sulle aziende energetiche. Potremmo fare come i londinesi che passano davanti ai comizianti di Hyde Park Corner, in piedi sulla cassetta a predicare stranezze, e non si fermano ad ascoltare. Diritto di parola, diritto di non stare a sentire. Siamo in democrazia. Ma, in quanto portavoce dei Verdi, il Bonelli viene considerato dal leader del Pd, Enrico Letta, una delle punte di lancia della ristretta coalizione elettorale del Pd. E allora diventa doveroso capire se i suoi argomenti possano fare breccia in quello che si avvia a essere il primo o il secondo partito italiano dopo le elezioni del 25 settembre.
Alcuni segnali deboli, come le perplessità manifestate da Letta sull’inserimento del gas e del nucleare nel “Fit for 55” Ue, lo lascerebbero supporre. Del resto, le bonellate trovano eco nelle posizioni di associazioni come Legambiente, Greenpeace e WWF e in quelle di movimenti come i “Fridays for Future”. Di più, l’ideologia anticapitalista che le ispira potrebbe trovare – chissà – una sponda nel populismo neostatalista delle destre. Non è detto che una tale sponda si manifesti, anzi non pare proprio probabile, ma non lo si può escludere a priori.
La bonellata centrale consiste nell’imposizione di un prezzo massimo nazionale di 35 euro/MWh per il gas e di 45 euro/MWh per l’elettricità. Il Bonelli non contesta il governo Draghi che propone l’istituzione di un tetto europeo al prezzo del gas, ma, di fronte alle esitazioni dei partner Ue, prospetta addirittura la fuga in avanti su base nazionale e ipotizza perfino un livello dei tetti assai inferiore a quello che si ipotizza a Bruxelles.
Naturalmente, tutti si rendono conto degli effetti negativi dell’impennata dei prezzi del gas e dell’elettricità su famiglie e imprese. Il governo ha preso provvedimenti tampone ancorché, per quanto costosi, essi abbiano fatalmente un’efficacia limitata. E tuttavia i rimedi strutturali restano difficili da individuare perché in materia confliggono interessi multinazionali enormi e non illegittimi. Ne parleremo.
Pur affettando il tono di chi ha studiato le carte, il Bonelli non spiega mai come funzionerebbe il “suo” duplice tetto. Anzitutto, non dice dove sia possibile acquistare il gas a prezzi compatibili con il tetto nazionale né chiarisce chi dovrebbe farlo: l’Eni, l’Enel, le altre grandi aziende energetiche o, come sembrerebbe dai suoi detti memorabili, soltanto l’Eni? Ma poi, perché mai la Russia, l’Algeria, la Norvegia, l’Egitto e la Libia dovrebbero rinunciare ai loro guadagni? La Norvegia non sembra accogliere nemmeno la richiesta di aumentare le forniture alla Germania che, alle prese com’è con le bizze di Gazprom, non fa questioni di prezzo. I Paesi del Nord Africa trovano in questa congiuntura l’occasione di ottenere risorse aggiuntive e comunque necessarie alle loro economie ancora povere. E la Russia? La Russia, che usa il gas come arma impropria nel braccio di ferro con la Ue sull’Ucraina, dovrebbe riservare all’Italia il mega sconto?
L’idea di imporre un tetto ai prezzi europei, che si formano nella Borsa olandese del gas, poggia sull’ipotesi che il gas importato e distribuito via tubo nel Vecchio Continente non possa essere facilmente dirottato altrove. Un’Europa finalmente unita negli acquisti funzionerebbe così come un monopsonio. In realtà, non è detto che questo monopsonio europeo sia davvero realizzabile per tante ragioni che per brevità non stiamo qui a ricordare. Ma certo l’Italia stand alone non sarebbe in grado di costituire alcun monopsonio, non avendo una forza commerciale nemmeno paragonabile a quella dell’Europa unita. Di più: il gas nordafricano, norvegese e russo destinato ai gasdotti italiani potrebbe essere trasportato verso gli altri Paesi europei senza tetto: pur con le sue strozzature, esiste ormai una rete europea dei gasdotti. Eppure, il Bonelli esclude il rischio della penuria di gas, che è poi la ragione dell’impennata dei prezzi in tutto il mondo, ove gli si dia retta.
Qual è dunque la ricetta Bonelli? L’Eni, dice il Bonelli, ha contratti di fornitura a lungo termine e poi aggiunge, senza uno straccio di documentazione, la notizia bomba che nessuno riprende: alla Russia l’Eni paga il gas 20 cents/MWh. A parte il fatto che i contratti a lungo termine coprono solo una parte del fabbisogno italiano, il sedicente tecnico verde trascura il dettaglio che tali contratti hanno prezzi collegati a riferimenti di mercato – dal barile al TTF olandese – che non sono addomesticabili con alcun tetto nazionale. Tanto è vero che durante il 2021, nel rispetto dei limiti quantitativi dei contratti a lungo termine, Gazprom ha fatto faville e l’Eni ha ridotto di parecchio le importazioni da Gazprom perché il gas russo costava di più di quello algerino.
Sulla carta, per imporre un tetto nazionale, il governo dovrebbe rimborsare alle aziende, che si riforniscono comunque sul mercato, l’ingente differenza tra il tetto e i costi reali più la remunerazione del capitale investito. Una svolta a dir poco dirigista che comporterebbe per lo Stato costi enormi. Anzitutto, dovrebbe essere aumentato il prelievo fiscale per coprire il delta costi reali/tetto nelle importazioni. Diversamente, le aziende importatrici fallirebbero in men che non si dica. Ma sarebbe grave anche la lesione della reputazione dell’Italia che diventerebbe un Paese dove aziende quotate in Borsa ad azionariato internazionale possono essere trasformate in aziende regolate con un tratto di penna, come neanche in Russia. E che dire dell’equità sociale, che tanto dovrebbe stare a cuore alla punta sinistra della coalizione a guida Pd? Per evitare la fuga degli investitori dalle società neo regolate si dovrebbe prevedere una remunerazione generosa del capitale investito con generosità, a spese del contribuente. Last but not least, senza più lo stimolo e il controllo del mercato queste aziende, che oggi operano sui mercati globali con una riconosciuta efficienza, verrebbero fatte regredire all’andazzo domestico degli anni Settanta e Ottanta con le loro inefficienze proverbiali e le loro diffuse clientele. Ma la ricetta Bonelli vuole superare anche questi scogli. Come? Ma con la tassazione degli extraprofitti che le aziende – pardon l’Eni, le altre non le nomina mai – dovrebbero restituire al 100%! A parte ogni considerazione filosofica su questa materia, vale la pena di ricordare che il gettito di questa imposta straordinaria sarebbe irrisorio rispetto all’onere da coprire perché la base imponibile di 40 miliardi realizzati in sei mesi semplicemente non esiste.
La conclusione logica del vaniloquio sarebbe la nazionalizzazione dell’Eni. Che tuttavia costerebbe molto. Un’Opa sul 70% con un premio adeguato richiederebbe una spesa di 40-50 miliardi a carico del contribuente. E non risolverebbe granché sul piano pratico, ammesso e non concesso che un tale ritorno all’antico conservi all’azienda l’efficienza attuale e al debito pubblico italiano il già debole rating corrente.
Ma i tetti del Bonelli sono due. C’è anche il tetto per i prezzi dell’energia elettrica (45 euro/MWh). Vien da chiedersi se il portavoce dei Verdi lo vorrebbe applicare anche all’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili. In tal modo, il portavoce dei Verdi cancellerebbe i guadagni fatti sugli impianti già in attività da alcune centinaia di migliaia di produttori, tra i quali anche grandi gruppi come Enel, Edison, A2A e le altre ex municipalizzate. Ma i lauti guadagni dei rinnovabilisti, che in molti casi sommano i prezzi di mercato alle stelle con gli storici, ricchissimi incentivi, derivano da un market design voluto dalla lobby delle rinnovabili che tutti i Bonelli del mondo si guardano bene dal riformare. D’altra parte, il Bonelli sembra non accorgersi che un prezzo massimo di 45 euro/MWh per l’elettricità renderebbe non più sostenibili i nuovi progetti tradizionali del fotovoltaico e dell’eolico on shore, dato che le ultime aste si sono chiuse attorno ai 65-68 euro/MWh, peraltro senza grande partecipazione, e renderebbe addirittura non concepibili i nuovi progetti innovativi, come l’eolico offshore che richiede, per essere bancabile, un prezzo garantito di almeno 150 euro/MWh per 20 anni. Ma quando si tratta di Enel le bonellate non si fanno più e gli ambientalisti, compresi i ragazzi dei Fridays, tacciono. Chissà, forse si preparano a chiedere altre decine di miliardi di incentivi.
Ora, le destre e le formazioni centriste restano defilate su questi fronti. Sostengono l’opera del ministro Cingolani e rilanciano la palla nel campo avversario. Ma il Pd, che parla tanto di agenda Draghi, esprimerà mai un pensiero sulle bonellate?
Devil
(giovedì 18 agosto 2022)