Il 7 a zero di cui si vanta Salvini in realtà è del centro destra, non della sola Lega. Nelle sette regioni considerate (Trentino Alto Adige, Molise, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sardegna, Basilicata) più di due milioni e mezzo di elettori, ovvero quasi 5 su 10, non sono andati a votare: in crescita rispetto alle politiche dove non avevano votato 3 elettori su 10.
Detto questo, è indubbio che la Lega ha tratto giovamento dal suo racconto sulla sicurezza e sulla immigrazione, anche sulle fandonie che racconta sulla invasione, sulla “sostituzione etnica”, sulla “legittima difesa”. Tuttavia la Lega farebbe bene a fare quattro conti: vince il centrodestra, non la coalizione giallo nera. Per un anno ci hanno menato il torrone che il governo giallo nero aveva il consenso del popolo. A parte che non si sono mai presentati assieme alle elezioni – anzi si sono insultati per tutto il 2017 e 2018 – dopo tutto il baccano su quota 100 e reddito di cittadinanza e altre amenità varie (ultima, il finto dissidio sui rapporti con la Cina), i nostri eroi giallo neri sono passati dal 50% delle politiche al 33%.
Per tutti è l’ora della politica, quale politica per il Paese, per il governo, per l’Europa; per tutti si pone il problema delle alleanze, della tattica sul breve e della strategia sul lungo periodo
Pur avendo piccoli segnali di ripresa, il centrosinistra e il PD in particolare devono fare una seria analisi: le primarie non sostituiscono una seria discussione sui valori, sulla politica, sui programmi e sulla formazione e selezione dei gruppi dirigenti.
La Lega non può illudersi di diventare, da sola, forza maggioritaria: dopo gli show sulla sicurezza e l’immigrazione, ora arriva il conto dell’economia. Fuori dal centro destra, la Lega non ha una prospettiva con le 5 Stelle, né al governo nazionale né nelle regioni. Forza Italia può resistere sulla linea Maginot del 10%, se smette di essere subalterna politicamente alla Lega, nei voti importanti in Parlamento, e nelle giunte leghiste del nord Italia.
Le 5S possono continuare a baloccarsi con il potere e le poltrone appena conquistate, ma perde la sua anima “onesta” (e non solo a Roma, ma anche in Parlamento) e perde due terzi dell’elettorato nonostante lo sbandierato reddito di cittadinanza. In più, le 5S devono fare i conti con il voto (di scambio?) del Sud, quanto mai labile.
Con sistemi elettorali vari ( 4 in venticinque anni) si è cercato di costringere il voto popolare nel bipolarismo. Sulla carta, sulle schede elettorali, c’è stato il bipolarismo, ma non c’è stato nella politica o nella pratica di governo.
Piaccia o non piaccia, oggi, abbiamo una situazione tripolare, almeno centrosinistra, centrodestra e 5S: tutti quanti aggregati compositi, per grande parte non definiti né nei valori né nei programmi. Il sistema italiano è ancora lontano da una soluzione che dia stabilità politica ed equilibrio istituzionale.
In questo senso, è e sarà illuminante lo scenario europeo, dove isolate le forze estremistiche e “sovraniste” di destra e di sinistra, per l’assetto istituzionale dell’Unione Europea sarà fondamentale l’intesa tra le componenti popolari, socialiste e liberaldemocratiche, mentre per il governo e lo sviluppo dell’Europa unita sarà obbligatorio trovare accordi, a “geometria variabile”, sempre nel triangolo di quelle tre forze storiche dell’Europa. E finché il sistema politico italiano non si modellerà su uno scenario europeo, continueremo a vivere, non tanto di precarietà formale e transitorietà temporale dei governi, ma di provvisorietà, di saltuarietà, di disomogeneità della politica. Il risultato di questi ultimi venticinque anni, lo si giri come si vuole, è una azione di governo disarticolata, discontinua, disorganica, frammentaria, spezzettata; una confusione totale di indirizzo, e di conseguenza di risultati: basti pensare alla gestione del debito pubblico, del fisco, della scuola, ecc, per non parlare del fatto che da decenni soffriamo di scarsa produttività e di bassissima occupazione femminile. Se pensiamo che la forza politica più vecchia è la Lega, è detto tutto: è la dimostrazione della temporaneità, della caducità delle formazioni politiche. E la stessa Lega ha cambiato pelle e sostanza, per pura finalità elettorale, passando dalla Padania di Bossi al lepenismo nazionalista di Salvini, ma con profonde contraddizioni al suo interno.
È l’evidenza di forze che nascono in funzione e per causa del sistema elettorale. Non ci sono forze che traggono motivo di esistere dalla politica, da valori, programmi e progetti. Abbiamo forze elettorali, non forze politiche. A questo Paese oggi manca in definitiva un assetto vero di centro, di sinistra e di destra: senza una forza liberal-democratica in grado di garantire i principi democratici indefettibili e di far rispettare quelle regole su cui si regge una civile e prosperosa convivenza sociale, il rischio è che ci sia una sinistra senza centro e una destra senza centro. Il che non comporta una alternativa, ma una profonda lacerazione del Paese, di cui già viviamo alcuni sintomi preoccupanti.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buonanotte e buona fortuna”
Luigi Corbani
Caro Luigi
sono in totale e perfetta sintonia. Scrivo le stesse cose. Il nostro migliorismo delle origini si ritrova. Sono felice
Sono d’accordo con l’articolo e con esigenza di costruire una formazione riformista liberale moderata ma determinata. Renzi ha rappresentato per me negli ultimi anni una grande speranza ma questa fase richiedeva oltre a qualità di leader determinato anche quelle di moderato. Su due questioni principali, 1)referendum costituzionale, 2) immigrazione, non ha dimostrato di avere questa qualità di moderazione di realismo politico. Su Referendum non doveva arrivare a rottura con Berlusconi, su immigrazione doveva arrivare ad accordo con UE altrimenti cercare di contenere con Minniti gli imbarchi in Libia.Due questioni affrontate male che gli sono costate la leadership e il grande consenso conquistato alle europee 2014 ( 41%).