Pochi giorni fa il Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica), organismo interparlamentare presieduto dal leghista Raffaele Volpi, ha annunciato l’intenzione di promuovere un’indagine sui rischi di influenze economico-finanziarie sul sistema delle imprese italiane.
Ottima iniziativa, opportuna e necessaria.
A rischio sarebbero (e lo sono effettivamente) le aziende considerate (giustamente) strategiche, tra cui ENI, Unicredit, Leonardo e poche altre.
Il Copasir si è recentemente occupato dei rischi di spionaggio derivanti dalla scelta di apparati di telecomunicazione Huawei in funzione delle nuove reti 5G. Nel mirino dell’indagine conoscitiva e dell’attenzione dei nostri Servizi ci sarebbero aziende e agenzie cinesi considerate molto aggressive. Nel nostro Paese, particolarmente sensibile alle istanze cinesi parrebbe essere il Movimento 5 Stelle.
In realtà, secondo quanto riportato dalla stampa, il Copasir sarebbe preoccupato per la minaccia di scalate ostili a tali aziende (quotate).
La scalata in Borsa non è, però, la vera minaccia, anche perché alcune di queste aziende, partecipate dallo Stato, hanno meccanismi legali di difesa che in teoria dovrebbero tutelarle da azioni ostili.
La vera minaccia è rappresentata dalla sottrazione degli asset strategici di queste aziende: mercati, risorse e management.
Se a un gruppo bancario viene sottratto il bacino di raccolta del risparmio (asset management), viene prosciugata una delle fonti di approvvigionamento delle risorse finanziarie essenziali per lo svolgimento delle sue attività. Questo gruppo bancario ne risulta indebolito, anche se in Borsa l’assetto azionario resta immutato.
Se a un gruppo industriale impegnato nei sistemi, apparati e strumenti di difesa vengono sottratti i mercati a cagione di iniziative giudiziarie devastanti che ne ledono la reputazione, ne massacrano il sistema di relazioni internazionali e ne decapitano i vertici aziendali, a nulla vale che anni dopo si dichiari che i fatti imputati non sussistono e si assolvono aziende e manager poiché i mercati persi, e conquistati da concorrenti più agguerriti, spregiudicati e immuni nei loro Paesi da iniziative simili, restano persi per anni e magari per sempre. Il risultato è la perdita di valore, anche di capitalizzazione, pur senza che nessuno abbia attuato take over ostili in Borsa.
Se a un gruppo energetico vengono sottratte le concessioni estrattive o esplorative per vari motivi che vanno dall’instabilità geopolitica non governata dalla nostra classe politica ma benissimo governata, invece, da quella di Paesi concorrenti, fino ad aggressioni giudiziarie perseguite per anni che ne ledono la capacità competitiva e la credibilità dei suoi manager, si ottiene il risultato di abbattere le sue difese immunitarie e di renderlo facile preda di concorrenti ostili. Non serve che costoro acquistino titoli in Borsa, basta che si approprino degli asset fisici strategici o che, magari, assumano i manager di riferimento sfibrati da un sistema nazionale che non solo non li difende, ma li mette costantemente in difficoltà.
I casi illustrati non sono teorici, ma molto attuali e concreti.
È dell’altro giorno, ad esempio, la sentenza della Corte d’Appello di Milano sul caso di presunta corruzione internazionale in Algeria a carico di Saipem ed ENI.1 Non solo la Corte ha assolto gli imputati perché il fatto non sussiste, ma ha dichiarato anche “inammissibile” (fatto rarissimo) il ricorso della Procura contro la sentenza di assoluzione nel primo grado di giudizio. Ma intanto il danno per Saipem e i suoi azionisti ENI e CDP (quindi per lo Stato e i contribuenti italiani) per i mancati affari in Algeria è stato stimato in miliardi di euro. Così come a suo tempo il danno per il processo a Finmeccanica2 per presunta corruzione internazionale (tutti assolti, anni dopo) in termini di posti di lavoro qualificato persi in Italia fu stimato in oltre un migliaio.
La sensazione (brutta) è che il nostro Paese non sia governato da una classe dirigente (politica ma anche giudiziaria e mediatica) che abbia il forte senso dello Stato che altrove si può facilmente riscontrare e quel senso di responsabilità che solo può garantire la difesa (almeno) e l’affermazione (magari) delle qualità competitive del nostro sistema economico e industriale. I sovranisti la chiamerebbe amor di Patria. Possiamo limitarci a chiamarlo buon senso e consapevolezza degli interessi nazionali.
Altri Paesi (la Francia, ad esempio, o la Germania per parlare di Paesi vicini, europei e con sistemi politico-istituzionali assimilabili al nostro) si muovono con la lucidità e la determinazione che la complessità dello scenario globale odierno richiede assolutamente.
Pensiamo alla crisi in Libia, che poi non riguarda solo la Libia, ma l’intero Mediterraneo: come si muove l’Italia in quel contesto e tra i vari soggetti protagonisti e come si muove, ad esempio, la Francia (per non parlare di Russia, Turchia, Egitto, Paesi del Golfo, etc.)? La lucidità e la determinazione esibite da questi sono ben diversi da quelle esibite dal nostro Governo. Che effetto avrà questa evidente debolezza sugli interessi geopolitici, geostrategici e geoeconomici del nostro Paese? Potenzialmente devastante.
Alcuni osservatori attenti stanno finalmente cominciando a mettere in evidenza i rischi di tale situazione su qualche testata giornalistica.
Riusciranno il nostro Governo e la nostra classe politica in generale a cogliere le vere minacce per il Paese e le sue imprese strategiche o si limiteranno, invece e come al solito, a interviste, controinterviste, comparsate televisive?
La sensazione, purtroppo, è che l’Italia sia ancora e come troppo spesso accade “nave senza nocchiere in gran tempesta”…
Pepito Sbazzeguti
(venerdì 17 gennaio 2020)
1La vicenda è durata otto anni (ndr)
2La vicenda di Finmeccanica era iniziata nel 2013 con due ordinanze di custodia cautelare per Giuseppe Orsi, amministratore delegato di Finmeccanica, ora Leonardo (in carcere) e Bruno Spagnolini, amministratore delegato di Agusta Westland (arresti domiciliari). Orsi era rimasto in carcere 80 giorni, uscendo solo per decorrenza dei termini. Entrambi sono stati prosciolti dalla Cassazione nel 2019 (ndr).