Il virus sta facendo disastri, miete tante, troppe vittime. E troppe famiglie sono straziate anche dalla distanza e dalla solitudine a cui sono sottoposte molte vittime: morire lontani dai propri cari e sentire del decesso di un proprio caro senza avere avuto la possibilità di essergli vicino è un dolore, un supplizio, un tormento, finora inconcepibile.
Essendo disciplinatamente a casa, ho tempo per osservare scene incredibili, per leggere e fare qualche riflessione, qualche domanda che vorrei condividere con voi. Ma sembra che fare domande, dire qualcosa e sollevare qualche perplessità, sia una minaccia alla Patria, all’unità nazionale. Tutti in fila dietro Conte e Borrelli, e zitti, e collaborate. Nessuno però ci ha ancora spiegato chi ha fatto uscire la bozza di decreto che ha causato una emigrazione massiccia verso il sud con possibile esportazione di contagio.
Nessuno ci ha spiegato ancora, perché il virus ha colpito così profondamente l’Italia e perché si diffonde in maniera così virulenta nel nostro Paese: almeno, io non ho mai sentito nei talk show qualcuno degli abituali ospiti spiegarci perché andiamo avanti ad incrementi superiori ai tre-quattromila casi al giorno, e perché siamo al 58% dei contagiati di tutta la Cina e i nostri decessi sono già il 124% di quelli cinesi. (E per favore, non si risponda che i dati cinesi non sono attendibili)
Politica e scienza
I politici hanno il dovere di sentire gli scienziati e gli esperti, ma le decisioni e le scelte competono alla politica, alle istituzioni democratiche. Ed appare assolutamente sbagliata l’espressione di Conte (si può dire o Conte è già beatificato?) per cui la politica si deve ritrarre davanti alla scienza: perché il Presidente del Consiglio non è una entità politica? O siamo all’idea che il premier è al di sopra della politica, e dunque può anche limitare, con un suo decreto, le libertà personali in ragione di un’emergenza? La discussione non è se fidarsi della scienza o meno. L’organizzazione della sanità compete alle Regioni e al Ministero della Salute, adesso anche alla Protezione civile, non agli scienziati. Se mancano le mascherine e le attrezzature per il personale ospedaliero e sanitario o non sono stati procurati per tempo, la colpa non è dei cittadini. Se manca chi produce mascherine, tute, maschere, ventilatori per la respirazione, non è per colpa del destino cinico e baro. Se i posti di terapia intensiva (ogni 10.000 abitanti) in Italia sono meno che in Germania o in Francia e se in Lombardia sono meno che in Veneto, in Emilia Romagna, e in Toscana, la responsabilità è di chi ha amministrato. Se mancano i tamponi o non si fanno i test ai medici e agli infermieri o ai sospetti positivi, ma si fanno ai calciatori e ai parlamentari, la colpa non è degli scienziati. Certo, il contagio evolve, e oggi si consigliano le mascherine a tutti, quando fino a ieri veniva detto che non servivano. E qualcuno mi sa spiegare perché in molte situazioni il focolaio del contagio sono gli ospedali o addirittura le case di riposo. E qualcuno mi sa spiegare perché non sono stati tutelati gli anziani delle strutture assistenziali (il personale ha avuto le attrezzature per non essere contagiato e contagiare?), con la libera circolazione in quelle strutture di familiari e amici senza alcun controllo.
L’epidemia si combatte fuori dagli ospedali, nei quartieri
E qualcuno mi sa spiegare perché non sono stati allertati e attrezzati i medici di famiglia (che ad oggi mi risulta, almeno in Lombardia, non hanno avuto neanche una mascherina) per monitorare i loro pazienti con patologie pregresse e gli over 65 (solo il 2 marzo è stato detto a questi di stare in casa, genericamente). E mi piacerebbe sapere quale assistenza sanitaria nel territorio sia stata programmata e perché non si fanno i tamponi a tappeto nei quartieri popolari dove esiste un alto numero di anziani. Mi pare sacrosanta la proposta di Carmela Rozza che richiama la Regione alle sue responsabilità. La Regione non ha capito ancora che l’epidemia non si ferma negli ospedali, ma nei quartieri, nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle strade.
E mi chiedo se ci sia qualche impedimento per usare gli alberghi per quelli positivi che non hanno bisogno di stare in ospedale e che a casa loro (quanti possono davvero stare in isolamento domestico?) rischiano di infettare i parenti e i vicini; concentrati negli alberghi, oltre tutto possono essere controllati dai medici di famiglia. E si potrebbe andare avanti, domandando perché non sono state recuperate, per un riuso, strutture sanitarie, dismesse recentemente e ancora disponibili in tutta la Lombardia (e l’elenco è lungo): in 58 giorni, si poteva fare eccome!
Oggi ho sentito il discorso di Angela Merkel. Seria, precisa, incisiva, molto umana con un forte richiamo alla storia e alla natura democratica del suo Paese, che non deve essere smarrita. E Fabrizio Ferri mi ha riferito del discorso di Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York, che fra le altre cose, con precisione e con informazioni puntuali, ha detto che lo stato New York finanzierà le imprese che si ricicleranno a produrre mascherine, maschere, tute, ventilatori e quanto altro è necessario in questa drammatica situazione.
Ma noi siamo ancora alle prese con i tamponi. Cinquecentomila vanno da Brescia negli Stati Uniti, in questi giorni, Il Veneto ne ha bisogno perché sta facendo una operazione di identificare i positivi, in modo da isolarli e limitare il contagio. Ma la Giunta della Lombardia risponde “Si dà la precedenza ai casi più gravi” e così, faccio un esempio, dopo lo scoppio dell’epidemia, non si fa l’esame a tutti i cittadini di Castiglione (4646 abitanti) per vedere quanti sono positivi: il “Sacco” si era proposto di fare un controllo di massa ma nessuno ha raccolto la disponibilità. Così poi si arriva a 158 casi con 11 in più in una settimana e ci sono già stati 50 decessi (l’1,07% della popolazione)!
Il “Resto del Carlino” annuncia che all’interporto di Bologna sono stati sequestrati oltre 13.000 componenti per apparecchiature di terapia intensiva, ovvero pezzi che collegano i respiratori ai pazienti, che stavano per andare in Sudafrica. Bene dunque, questa operazione delle Dogane e della Guardia di Finanza, ma oggi la Regione Lombardia comunica che il problema non è più quello dei ventilatori per la respirazione, dopo che per giorni si è agitato il problema in modo drammatico e persino angoscioso. (Vi ricordate: “dobbiamo scegliere chi curare”).
Giorno per giorno
Ma forse parlare di programmi e di piani, nazionali e regionali, è inutile, perché non c’erano e non ci sono. Si naviga a vista, e se le cose stanno andando male, più del lecito, a mio parere, forse qualche domanda sulla linea seguita, bisogna porsela. Se un numero considerevole di personale sanitario è contagiato (quasi il 10% di tutti) e ci sono anche numerosi decessi, esiste qualche responsabilità da esaminare per rimediare rapidamente, perché non può essere il destino o colpa del personale sanitario. In Cina all’inizio ci sono stati oltre duemila medici e infermieri infettati da un virus, allora sconosciuto e che li ha presi alla sprovvista. Ma qui le istituzioni sanitarie dovevano provvedere a tutelare adeguatamente il personale in prima linea, vista l’esperienza cinese e le direttive della Organizzazione mondiale della sanità. E con umiltà bisogna vedere che in Corea del Sud, a Taiwan, a Singapore e in altri paesi hanno seguito altre strade che sembra abbiano dato dei frutti contenendo la diffusione del contagio e dei decessi. In questi Paesi si sono andati a cercare i portatori asintomatici, si sono testati e poi sono stati isolati e monitorati in continuazione anche con moderne tecnologie: pare che ci siano anche dei test che in venti minuti danno i risultati.
Colpa dei cittadini ?
Ma a livello nazionale si continua con gli inviti ai cittadini, come se la responsabilità fosse loro, e non, soprattutto, di chi deve realizzare un metodo e un sistema per contenere l’epidemia. Ora, sia chiaro, al di là del 5% di sconsiderati (43.595 pizzicati a zonzo su un milione e venticinquemila controlli tra l’11 e il 17 marzo), il 95% della popolazione segue la direttiva di stare a casa: come dice Mattia Feltri su “la Stampa” “Immaginate che sarebbe dell’Italia se le leggi e le ordinanze fossero rispettate dal 95 e passa per cento dei cittadini. Se pagasse il fisco il 95 e passa per cento dei cittadini. Sarà soprattutto la paura ma non s’era mai vista una tale adesione, da definirsi prussiana, alle disposizioni statali. “
Mi pare tuttavia una contraddizione il fatto che ci siano da una parte, senza adeguate protezioni, milioni di persone che vanno a lavorare e usano i mezzi pubblici (la MM a Milano al mattino, per le corse ridotte, era intasata come nelle ore di punta), e dall’altra ci siano milioni di persone che non possono uscire di casa, se non per fare la spesa e magari per fare code chilometriche.
Trovo peraltro sgradevole la comunicazione di Palazzo Chigi con l’immagine del premier su Facebook che, con aria assorta e guardando il cielo, ci dice ”Rimaniamo più distanti oggi per riabbracciarci domani. Fermiamoci oggi per correre più veloci domani”. Domani ci aspetta anche la necessità di rimboccarci le maniche, tutti, da nord a sud, per recuperare una economia che collassa, con lo spread dei titoli di Stato attorno ai 300 punti e gli interessi sui titoli a dieci anni al 3%. C’è consapevolezza che riusciremo, non si sa quando e come, a debellare il virus, ma non siamo del tutto e tutti coscienti che saremo più poveri e più indebitati. Almeno quella parte degli italiani che fa il suo dovere fino in fondo e sempre e che non si affida alla furbizia e alla fortuna degli evasori fiscali.
Parlamento e Consiglio regionale della Lombardia chiusi per coronavirus
Il segnale che arriva dai Palazzi della politica è davvero sconfortante. Fontana e Gallera sono in televisione tutti i giorni, ma hanno chiuso il Consiglio regionale, non rispondono a interrogazioni e interpellanze, non prestano attenzione alcuna ai consiglieri regionali (mi dicono che siano i rappresentati del popolo “sovrano”, ma forse sono fake news) e le opposizioni subiscono come se niente fosse.
“Il Parlamento è zitto, muto come un pesce. Non una mozione, una risoluzione, una direttiva per orientare le decisioni del governo. Autoriduzione del numero dei votanti, quando c’è stato da approvare lo sforamento di bilancio, Infine tutti a casa: Camere chiuse per il corona virus.” scrive Michele Ainis su “Repubblica”.
Un segnale negativo a tutti quelli che garantiscono i servizi essenziali dello Stato: non parlo solo del personale sanitario, ma parlo delle forze dell’ordine, delle forze armate, dei lavoratori dei trasporti e dei milioni di lavoratori, in primis dell’agroalimentare che assicurano la nostra vita.
E poi qualcuno si lamenta se i cittadini non credono e, finita la paura, non credono più ai politici, senza distinzione alcuna.
E il Parlamento e il Consiglio regionale non si riuniscono per il coronavirus ? Ah, dice che fanno il voto a distanza. I treni, gli autobus e le MM viaggiano in remote control, con il pensiero. Autorizziamo quindi medici e infermieri a lasciare gli ospedali per curare la gente a distanza. Il cibo e i generi alimentari arrivano nelle nostre case per incanto, non per i trasportatori. E ai Sindaci delle migliaia di Comuni che sono impegnati notte e giorno, gli diciamo di stare a casa ?
La democrazia in regine di emergenza
Il Parlamento e le istituzioni democratiche dovrebbero funzionare a pieno regime e dovrebbe essere un dovere per il ceto politico essere in prima fila. Deputati e senatori si mettano le tute, le mascherine, i guanti, quello che vogliono, ma stiano in Parlamento, anche in quarantena. Tanto più che ci sono decreti legge in scadenza, che il Parlamento dovrebbe esaminare e, del caso, modificare: così vorrebbe la Costituzione, ma forse non ci siamo accorti che è stata sospesa dal coronavirus. Sono cinque decreti alla data del 19 marzo: il decreto numero 3 sul cuneo fiscale che scade fra 15 giorni; il decreto n. 9 per il sostegno alle imprese e alle famiglie che scade fra 43 giorni; il decreto n. 11 per la sospensione delle attività giudiziarie che scade tra 49 giorni; il decreto n. 14 per il servizio sanitario che scade tra 50 giorni e infine l’ultimo decreto, n. 18 per la “cura Italia” che scade tra 60 giorni.
Giustamente Michele Ainis su “Repubblica” si domanda: “siamo così sicuri che l’emergenza giustifichi l’eclissi delle assemblee parlamentari ? e dei consigli regionali, provinciali, comunali e perfino delle assemblee di condominio?”. Qualcuno ha osservato che la democrazia non è un bar, un negozio e le libertà personali si possono limitare solo con atti di legge ben precisi, adottati dal Parlamento, non con deleghe generiche.
Il potere del Presidente del Consiglio
“Il potere del Presidente del Consiglio, che con i ben noti DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) sta travolgendo le nostre vite, poggia su di un decreto legge, il D.L. n°6 del 26 febbraio 2020 , che di fatto delega allo stesso Presidente del Consiglio (di concerto con i vari ministri di volta in volta interessati), l’attuazione di una serie di misure restrittive volte a contrastare la diffusione dell’epidemia e all’art.2 delega genericamente “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.
Il Decreto Legge è stato approvato e convertito dal Parlamento il 26 febbraio ed è oggi legge ordinaria. In sede di conversione purtroppo nessuno in Parlamento si è posto il problema di quanto ampi fossero i poteri delegati al Presidente del Consiglio, quali limiti temporali avessero e fino a che punto l’emergenza potesse giustificare la compressione dei diritti fondamentali dei cittadini. – scrive Carlo Blengino su “Il Post” – Ora, mano a mano che i provvedimenti si fanno più incisivi e che le misure dettate nell’emergenza si prolungano, la questione diviene però stringente. Qual è il perimetro di liceità di provvedimenti emergenziali che sospendono e limitano diritti e libertà fondamentali garantiti in Costituzione quali la libertà di movimento e di riunione (art.16-17 della Costituzione), il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma anche associata (art.19), il diritto alla scuola (art.34) o alla libertà di impresa (art.41)?”
Solo il Parlamento può limitare le libertà individuali
Sentiamo le voci del premier e dei governatori, del capo della protezione civile, dei sindaci, “di tutte le istituzioni monocratiche”. Per inciso, in altri Paesi, sono le autorità politiche ad informare i cittadini, non un funzionario dello Stato. Ma noi siamo un modello, dicono.
Ma qui si va avanti a decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (dpcm) che non sono soggetti né alla firma del Presidente della Repubblica né all’approvazione del Parlamento, sono atti monocratici senza alcun controllo.
Il dpcm 9 marzo 2020, ha esteso all’intero territorio nazionale quanto stabilito il giorno precedente, 8 marzo, per la Lombardia e alcune province di Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Marche. “Letti assieme al decreto legge 6 del 2020, questi decreti hanno messo in campo la più intensa limitazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione dal momento in cui questa è in vigore, cioè da 72 anni a questa parte: non è solo limitata la libertà di circolazione, ma anche quella di riunione, così come il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro e la libertà di iniziativa economica, nonché, almeno in parte la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa e la stessa libertà personale, pur con una serie di meccanismi di flessibilizzazione dei divieti e delle prescrizioni che in taluni casi li riducono a mere raccomandazioni.” ha scritto Marco Olivetti su “L’Avvenire”.
58 giorni e 110 provvedimenti
Sembra poi che a Palazzo Chigi abbiano colto la situazione per dare visibilità mediatica al capo, per personalizzare le decisioni: la triste ripetizione del “sto per firmare”. Si va avanti alla giornata, senza alcun piano (neanche si è aggiornato il piano Sars). E questo è comprovato dalla mole di disposizioni emanate dalla circolare del Ministero della Salute del 22 gennaio (quella alle Regioni con le direttive, per lo più disattese, della Organizzazione mondiale della Sanità) ad oggi:
5 decreti legge ( di cui uno convertito nella legge 5 marzo 2020, n° 13); 7 decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri;
2 comunicati della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
2 delibere del Consiglio dei Ministri;
1 nota della Protezione civile;
18 ordinanze della Protezione civile;
14 circolari dell’ Istituto Superiore di Sanità;
2 note dell’ Istituto Superiore di Sanità;
26 circolari del Ministero della Salute;
2 note del Ministero della Salute;
1 decreto del Ministero della Salute;
24 ordinanze del Ministero della Salute, fra cui alcune con le Regioni;
1 provvedimento del Ministero della Salute;
1 documento del Ministero della Salute;
1 decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
2 decreti del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture con il Ministero della Salute.
Poi ci sono ordinanze delle Regioni e dei Comuni.
Il “dictator” della Repubblica. Ma quella romana
“Due osservazioni si impongono – scrive su “L’Avvenire” Marco Olivetti – La prima è che le basi costituzionali del sistema di disciplina dell’emergenza regolato dalle norme sulla protezione civile sono fragili. Si tratta infatti di un sistema cresciuto gradualmente nella legislazione ordinaria e riordinato con una riforma dei primi giorni del 2018. Tale sistema, in particolare, è del tutto privo di una fase parlamentare nell’esame della dichiarazione dello stato di emergenza. Esso, inoltre, è stato applicato a una emergenza sanitaria quantomeno stiracchiandone un po’ la portata, dato che le sue norme sono concepite per emergenze di altro tipo (soprattutto calamità naturali). Esso, quindi, non individua i provvedimenti limitativi dei diritti fondamentali e anche per questo il Governo è intervenuto con il decreto legge n. 6 del 2020.
Quanto a tale decreto legge, esso autorizza limitazioni assai invasive ai diritti fondamentali, ma lo fa in maniera generica, sicché tutte le regole sono delegificate, in quanto il loro contenuto è rimesso a decreti del Presidente del Consiglio. Questi ultimi sono sottratti a qualsiasi controllo preventivo, dato che non sono emanati dal Presidente della Repubblica (come decreti legge e regolamenti) e non sono sottoposti a conversione in legge come i decreti legge e quindi non sono soggetti a esame parlamentare. Il Presidente del Consiglio diventa quindi una specie di “dictator”, abilitato a stabilire effettivamente quali limitazioni dei diritti fondamentali possono essere adottate. Questo schema appare costituzionalmente problematico e ci si può chiedere se le esigenze di efficacia che hanno spinto a disegnarlo non possano essere soddisfatte con soluzioni procedurali più compatibili con la struttura costituzionale italiana”.
Qui si fa riferimento alla figura del “dictator”, che nella repubblica romana veniva nominato dal Console, nella notte e in silenzio, sentito il Senato, per fronteggiare emergenze o per particolari eventi e durava in carica sei mesi al massimo: i più famosi “rei gerendae causa” che, io mi ricordi, furono Cincinnato e Quinto Fabio Massimo detto il “temporeggiatore”. C’è un altro esempio “buono” di dittatore: Garibaldi che, nel 1860, allo sbarco in Sicilia, si proclamò “dittatore”
Ma oggi, nonostante gli osanna e gli elogi che vedo e sento in giro, non mi sembra che siamo in presenza di una figura di tale statura, e per di più mi auguro tanto che l’emergenza non duri sei mesi.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi”. “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(venerdì 20 marzo 2020)
Caro Corbami sono Ennio Galante che negli ’60 organizzavo studenti e laureati iscritti al Partito e simpatizzanti nell’are di Città Studi. Non so se tiricordi di me. Io ricordo che abbiamo avuto alcuni momenti organizzativi insieme.
Adesso mi ha fatto piacere ritrovarti sul Riformista. Oggi vorrei commentare un argomento che da vari giorni ho letto sui giornali. Lo sintetizzo così: Conte sta travalicando i limiti costituzionali in merito ai provvedimento di limitazione della libertà di movimento.
Io non sono un leguleio ma rilevo che il Governo sta operando con decreti che come dice la Costituzione devono servire peer motivi di urgenza e però devono essere approvati dal Parlamento, a pena di decdimento. Gli esponenti della destra hanno gridato che Conte teneva chiuso il Parlamento ? Fico ha dovuto smentire categoricamente:”il Parlamento non è rimasto chiuso un solo giorno!
Io da militante di lungo corso, dopo attento esame, penso che sia le critiche equilibrate (ad esempio le Tue), sia quelle smodate della piccola signora post-fascista, non siano appropriate in questa congiuntura. Non credo assolutamente che il capo del governo stia avviando una deriva anti-democratica.
Cordiali saluti
Ennio Galante
Anche a me fa piacere ritrovarci. La democrazia si deve confermare nei momenti di emergenza. E qui. a detta non solo mia ma di autorevoli costituzionalisti (non li ho citati tutti) c’è una gestione monocratica, personalistica dell’emergenza. Il governo ha preso 135 provvedimenti diversi, solo 7 devono passare dal Parlamanto. I dpcm non hanno nè la firma preventiva del Capo dello Stato nè l’approvazione dopo del Parlamanto. Il Presidente Conte è andato in Parlamento per una informativa solo dopo 54 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza. Il Parlamento a oggi credo che abbia approvato solo un decreto legge. Mi chiedo se al governo ci fosse Berlusconi o il centrodestra o i giallo-neri, cosa avrebbe detto il PD?