Il “popolo” del PD si divide in due grandi categorie: quelli per i quali Renzi è un genio, qualunque cosa faccia; e quelli per i quali Renzi è un personaggio subdolo, per nulla affidabile, cinico, falso, arrogante, prepotente, permaloso e vendicativo.
Non mi stupisce più di tanto questa scissione: un capocorrente ha deciso di portare fuori dal partito il suo gruppo: né più né meno. Annunciata più volte, oggi si concretizza in un modo che la dice lunga sul carattere della scelta. Non nasce da un dibattito interno alla corrente, pubblico e visibile, o da un confronto all’interno del partito di appartenenza. Nasce da una intervista a un giornale in cui il capo corrente annuncia la sua decisione, che ripeterà nella terza ( o forse la prima ?) camera della repubblica: “Porta a porta”.
Avviene dopo che la sua corrente ha partecipato alla divisione dei posti nel governo: tre ministri, un viceministro e quattro sottosegretari. Eh sì, perché al governo ci sono 8 renziani (con sottogruppi Giachetti, Lotti e Guerini), 4 orlandiani, 4 franceschiniani, 4 zingarettiani (con uno di gradimento Gentiloni), un cuperliano, un gentiloniano, un veltroniano (gradito a Gentiloni), un prodiano, uno di Emiliano, uno martiniano. Per fortuna che c’è Roberto Gualtieri, le cui competenze e capacità sono superiori a quelle dell’appartenenza correntizia.
Tre giorni fa, uno che ha combinato più disastri dell’uragano Dorian (vi ricordate chi ha sostenuto Marino Sindaco di Roma ? e sulle vicende romane si potrebbe andare avanti a lungo), naturalmente intervistato come “il principale consigliere di Zingaretti”, oltre ad indicare la strategia per cui PD e 5S “devono mischiare i loro elettorati” (sic!), non considerava scandaloso che Renzi uscisse dal PD, poichè da tempo vi è la questione “di una non piena rappresentanza da parte del PD di istanze e sensibilità più riformiste, liberali e moderate, Secondo me, sbagliano e preferirei restassero”. Non dice che il Pd dovrebbe cercare anche, con il contributo di Renzi, di rappresentare quelle istanze.
Da tempo il PD non è un partito, ma il contenitore di una confederazione di correnti. Ha addirittura eletto uno della sua direzione che aveva fatto un movimento esterno con un simbolo proprio e che nei giorni scorsi (forse per anticipare l’uscita di Renzi) se ne è andato. Sta di fatto che Renzi ha deciso che quel contenitore non gli sta più bene: “ Il Pd nasce come grande intuizione di un partito all’americana capace di riconoscersi in un leader carismatico e fondato sulle primarie. Chi ha tentato di interpretare questo ruolo è stato sconfitto dal fuoco amico. Oggi il Pd è un insieme di correnti. E temo che non sarà in grado da solo di rispondere alle aggressioni di Salvini e alla difficile convivenza con i 5 Stelle”.
Come a dire, lui era il leader carismatico che rappresentava la vera natura del PD (“partito all’americana”, questa mi mancava, confesso!) e poi è stato sconfitto dal fuoco amico: gli errori del referendum e delle elezioni del 2018 sono degli altri, ovvio. E anche questa idea ( il PD non ce la fa da solo, per questo esco a fare un altro partito) la trovo a dir poco stravagante.
C’è anche qualcosa che accomuna i due Matteo (absit iniuria verbis!): entrambi hanno fatto autogol. Personalizzando il referendum istituzionale e portando il PD da solo contro tutti in quella battaglia (“la madre di tutte le battaglie”), ha perso ma non ha mantenuto la promessa: “Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona. In caso di sconfitta, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica. Secondo voi posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Se perdo al referendum, non mi vedrete più”. Non si è ritirato, e questo gli iscritti e simpatizzanti del PD possono dimenticarlo o far finta di niente (e addirittura rivotarlo alle primarie del 2017) ma gli elettori non lo dimenticano.
A qualcuno piaceva quella formula della “rottamazione” a me è sempre parsa una volgare campagna demagogica: si rottamano le macchine, non le persone e per di più la giovane età non è di per sé sinonimo di intelligenza o di capacità e di competenza. Quindi per me il problema non era ”rottamare”, era quello di una seria analisi delle cause delle sconfitte e delle responsabilità (non solo di Renzi, ma dell’intero gruppo dirigente, renziano e non renziano) e di una qualsivoglia autocritica.
Dopo le elezioni del 2018, Renzi, forte della cospicua presenza di parlamentari “renziani”, impone al PD la linea “no alle 5S” attraverso la televisione e i giornali, perché lui non partecipa alle riunioni, né alla direzione né all’assemblea. E nel partito nessuno fa la battaglia ad armi scoperte. Solo quando, Renzi vira a “370” gradi verso l’intesa con le 5S, ecco prender animo le varie correnti governiste, Franceschini in primis.
La mossa di oggi è comunque rivelatrice del personaggio: non sa perdere e vuole stare sul palcoscenico a tutti i costi. E va bene, finchè il suo interesse di difendere i “suoi” parlamentari, costringe il PD a cambiare la linea e impedisce a Salvini di andare alle elezioni. Ma quando esprime, con la scelta di oggi, la voglia di svolgere un ruolo autonomo e in proprio nello scenario politico attuale e futuro (nomine negli enti, nomina del Presidente della repubblica), rischia di mettere in forse lo stesso governo, suscitando preoccupazione e nervosismo.
Non ho visto, nella intervista di Renzi e nelle dichiarazioni dei suoi accoliti. grandi contenuti politici. Quella di oggi appare, nella sua debolezza politica, una operazione verticistica, trascinata nel tempo, più volte annunciata come operazione del leader, contornata dal consueto one-man-show leopoldiano e dai “comitati civici”. Una operazione peraltro che potrebbe avere – lo ripeto – conseguenze indesiderate sul governo e potrebbe persino indebolire le prospettive di organizzare una area liberaldemocratica, riformista ed europeista, che esiste nel Paese e che non è rappresentata dal PD di Bettini e Zingaretti.
Forse, sarà bene che il PD svolga quello che non ha mai realizzato: un congresso, che coinvolga tutti i propri militanti e simpatizzanti in un seria e vasta discussione sul futuro del Partito, sui suoi valori, sui suoi ideali, sulle sue prospettive, e selezioni per davvero, non attraverso i plebisciti, una nuova classe dirigente
Yanez de Gomera
(martedì 17 settembre 2019)
Una scelta che potrebbe persino indebolire le prospettive di organizzare una area liberal-democratica …..
E chi sono quelli che si stanno impegnando ad organizzarla ?
E se ci sono e lei certo è uno di questi che se ne fanno di un capo corrente che non sa perdere e fa di tutto per rimanere sulla scena ed addirittura per difendere i “ suoi parlamentari” fa cambiare linea politica al PD?