Il discorso del Presidente Biden è stato chiaro, con cinismo e ipocrisia. Che gli americani non volessero più morire per l’Afghanistan, dopo vent’anni e 2 presidenti repubblicani e due democratici, era chiaro da quando hanno avviato nel 2018 le trattative di Doha tra gli americani, guidati da Zalmay Khalilzad, un diplomatico di origine afghana nominato da Trump e confermato da Biden, e i talebani, guidati da un tal Abdul Ghani Baradar, liberato dalle carceri pakistane su richiesta degli americani. La cosa sorprendente è che nessuno della Nato o dell’Unione Europea o dei Paesi europei abbia sollevato un problema: gli americani trattavano – anche per conto della Nato – nella convinzione che non avrebbero mai vinto contro i talebani che avevano già, al momento delle trattative, il controllo del 40% del territorio.
Di fatto, le trattative legittimavano i talebani come interlocutori validi e affidabili e indebolivano il governo di Kabul. La firma dell’accordo (29 febbraio 2020) tra talebani e Usa, con il segretario di Stato Mike Pompeo – alla presenza di Pakistan, India, Indonesia, Uzbekistan e Tagikistan – portava a chiudere la partita afghana senza porre condizioni precise ai talebani. Nessuno può credere che una potenza militare e politica come gli Usa, capace di colpire con un drone, all’aeroporto di Baghdad, il generale iraniano Qassem Suleimani, (2 gennaio 2020) e dotato di satelliti e sistemi d’arma sofisticatissimi e di servizi di intelligence superdotati, non avesse piena consapevolezza dell’avanzata delle truppe islamiste.
Forse non si aspettavano tanta rapidità, tanta fulminea avanzata, forse non se l’aspettavano perché non sappiamo cosa contenessero gli “annessi secretati” o i due “documenti di implementazione militare” non pubblici. Sta di fatto, che gli americani non hanno alzato un dito per far rispettare i quattro punti dell’accordo che erano strettamente legati tra loro: il ritiro delle truppe in cambio di un fermo no ad Al-Qaeda e al terrorismo, di una tregua nei combattimenti tra talebani e truppe afghane, e di una trattativa di pace inter-afghana. Non si parlava di diritti delle donne o dei bambini, di diritti umanitari, si parlava di tregua, e di un accordo di pace tra gli afghani in cambio del ritiro delle truppe (14.000 uomini USA e 17.000 Nato).
E quando, sempre a Doha, capitale del Qatar (noto stato democratico), a luglio di quest’anno, le trattative tra afghani e talebani sono naufragate nel nulla di fatto, gli americani e la Nato non hanno alzato un dito per dire che il pacchetto delle condizioni era unitario e quindi senza un accordo di pace non c’era ritiro delle truppe. A quel punto mentre i talebani si sono sentiti autorizzati a proseguire e anzi ad accelerare la conquista del Paese, il governo afghano e l’esercito afghano si sono sentiti abbandonati e indifesi di fronte ad un avversario che veniva legittimato anche a violare gli impegni presi.
Oggi, si fa presto a dire che sono stati dei codardi, che la corruzione dominava lo stato afghano, che si reggevano sulle truppe straniere ed è forse facile dire che le forze armate afghane dovevano reagire con determinazione nei mesi scorsi all’avanzata dei talebani a costo di precipitare in una nuova e più aspra e feroce guerra civile. Ma la verità è che gli Stati Uniti, per ragioni prima di tutto interne, hanno deciso di mollare l’Afghanistan al suo destino o meglio di passare il cerino acceso alla Cina, alla Russia, all’Iran, alla Unione europea, alla Turchia, alla comunità internazionale.
Quando Biden dice che gli Usa sono andati in Afghanistan per combattere il terrorismo e al Qaeda, non per costruire uno Stato democratico, dice una bugia e una verità nascosta. Osama Bin Laden è stato fatto fuori il 2 maggio del 2011, ben dieci anni fa, con una efficiente ed efficace operazione, piena di pericoli e di insidie, in territorio pakistano, ma l’impegno in Afghanistan è continuato. Dire che gli americani se ne vanno perché il terrorismo è stato sconfitto vale come fumo negli occhi per l’opinione pubblica, ma significa anche sottovalutare l’influenza che sul fanatismo islamico, presente anche in Europa, ha la vittoria dei fondamentalisti talebani, che non hanno mai dato seguito agli accordi di Doha, non dissociandosi, nelle parole e nei fatti, dal terrorismo.
Alcune domande vengono spontanee: chi ha fornito le armi ai talebani, chi li ha addestrati, dove e da chi provengono i soldi per mantenere le milizie talebane. Qualcuno avanza la tesi che ci siano contractors e imprese americane dietro il rapido successo degli islamisti. Così come non basta il commercio della droga, di cui sicuramente è preoccupato il vicino Iran scita, a giustificare l’enorme dispendio di risorse dei talebani.
Sembra paradossale, ma in Afghanistan nulla è quello che sembra. Oggi i talebani proclamano che non ci sarà nessuna resa dei conti con i “collaborazionisti”, che rispetteranno i diritti delle donne: si presentano con il volto della moderazione e di uno stato islamico moderato. Penso che questi aspetti “civili” saranno oggetto di monetizzazione: aiuti economici consistenti per lo stato islamico in cambio di diritti per le donne, e senso della misura nelle vendette che inevitabilmente il fanatismo religioso richiede e giustifica.
Cina e Russia sono dunque già all’opera per limitare l’infezione, vista la presenza mussulmana sunnita nei propri territori. L’Iran sta in guardia, di fronte anche alle alleanze che i talebani possono acquisire nei paesi del Golfo e nel mondo arabo, non ultimo il ruolo che la Turchia vuole assumere come interlocutore dei talebani: cosa che provoca la diffidenza dei cinesi, che pensano agli uiguri, di etnia turcofona.
Si apre dunque, non senza pericoli, una nuova fase dopo vent’anni (2001) in cui sono morte quasi 200.000 persone e l’Occidente ha speso migliaia e migliaia di miliardi di dollari.
Mi sembra ovvio che ci dovremmo attendere una ondata di profughi dall’Afghanistan, come è già stato dalla Siria, A meno che un’altra volta l’Unione Europea paghi la Turchia per trattenere i disperati che si allontanano dalla guerra e dai talebani. Ricordo che dal 2008 ad oggi sono state 600.000 le richieste di asilo degli afghani ai Paesi europei: ne sono state rifiutate 290.000 e 70.000 sono stati rimpatriati con la forza (di cui 15-20.000 donne) (dati Ispi). E adesso che farà l’Unione Europea ? Andrà in ordine sparso o dimostrerà di essere una vera entità politica istituzionale? Tratterrà con l’emirato islamico dell’Afghanistan per garantire l’emigrazione di donne e bambini che non vogliono rimanere sottoposti ai talebani.
La definizione della Treccani è significativa: : “talebano (o tàleban; anche tàliban) [dall’arabo ṭālib, pers. tāleb «studente, ricercatore», col suff. (plur.) persiano -ān]. – 1. aggettivo. Che appartiene o si riferisce al regime islamico fondamentalista, oppressivo e dittatoriale, imposto in Afghanistan da una consorteria di studenti coranici dal 1996 al 2002. 2. Sostantivo maschile. Denominazione degli studenti coranici, componenti della consorteria islamica estremistica che ha governato l’Afghanistan alla fine del 20° sec., e che successivamente hanno condotto, come strategia politica e ideologica, azioni di terrorismo e guerriglia.”
Da anni gli Usa non hanno capito niente del Medio Oriente e del subcontinente indiano, trascinati da calcoli economici e petroliferi che hanno annebbiato la lucida e attenta valutazione della realtà E la cosa grave è che l’Unione europea ha condiviso questi errori o li ha favoriti, come la Francia, con la Libia e la Siria.
A mio parere la lezione dell’Afghanistan, come del Corno d’Africa, come del continente subsahariano, della Libia, e delle “primavere arabe”, della Siria e del Libano, del conflitto arabo-israeliano, e delle centinaia di migliaia di profughi di questi anni e dei prossimi mesi dovrebbero far decidere all’Unione europea che diventa indispensabile una politica estera comune e una forza armata europea. O l’Unione europea gestisce la sua presenza nel mondo, in una visione multilaterale dei rapporti, con Cina, USA, Russia e India, o finirà per non contare niente anche di fronte a nuovi scenari che riguardano il controllo del Pacifico o il peso dell’Africa nel prossimo futuro.
Dopo questi venti anni di Afghanistan che ci sono costati 53 morti, 700 feriti e 8,3 miliardi di euro, l’Italia potrà esercitare un ruolo se contribuirà attivamente a superare i nazionalismi europei e lo scenario della Nato (come è stata concepita e usata finora, in chiave antirussa e al servizio degli Usa), a spingere per la formazione di una forza militare della Unione Europea. E all’Italia servirà anche la definizione di una strategia per il Mediterraneo, a tutela degli interessi energetici del nostro Paese, degli scambi economici fra le sponde del “Mare nostrum”, della pace e della stabilità dell’area e di regolari e legali flussi migratori. È il momento di un “Ministero del Mediterraneo” che dia un senso nuovo alla nostra presenza al centro di un bacino e di un teatro in cui si affacciano 24 paesie tanti altri interlocutori nel punto di incrocio dei continenti europeo, africano e asiatico, tra Gibilterra, Suez, Dardanelli e Bosforo.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(martedì 17 agosto 2021)
Caro Luigi ho letto e rileggerò il tuo illuminante ‘pezzo’ !! C’è necessità di capire a fondo una situazione ricca di elementi intricati e complessi !! L’America?? Da un po’ mi ha deluso ed il suo mito tanto forte per le nostre generazioni è diventato poca cosa !!! Malinconia (bastasse!!!!) Ugo
Lucidissima analisi, as usual. Bravo Luigi
Perfetto!!!