Nel 1992 alle elezioni per la Camera dei Deputati non avevano votato 6 milioni di persone, il 12,65% degli aventi diritto. Alle ultime politiche del 2022 non hanno votato 16,6 milioni di italiani, il 36,22%.
Nel 1992 votavano 41,5 milioni di cittadini, nel 2022 solo 29,5 milioni: 12 milioni in meno.
La coalizione di governo ha preso 12,3 milioni di voti pari al 26% degli elettori.
Per il Sindaco di Milano, nel 2021 hanno votato 46 cittadini su 100. Il Sindaco eletto rappresenta 26 cittadini su 100.
Per la Regione Lombardia nel 2023 hanno votato solo 4 lombardi su 10.
Da quando si è introdotto il maggioritario, il popolo italiano vota molto meno. Il partito degli astenuti prende sempre più voti del primo partito o della coalizione “vincente”.
Si dice che in Iran non sono andati a votare per protestare contro il regime teocratico, autoritario e illiberale. Vero. E da noi come vanno le cose?
In Italia il tema dell’astensionismo si pone per poche ore dopo i risultati elettorali e nessuno si pone il problema che la affluenza alle urne che diminuisce sempre più è una chiara condanna di un sistema che alla “partitocrazia” ha sostituito il “feudalesimo politico”.
Al partito si è sostituito il feudo personale, tanto che il sovrano dà il nome alla sua organizzazione di potere; accanto, vi sono i vassalli, grandi feudatari che sono i capi corrente, che a loro volta hanno al loro fianco dei valvassori, vassalli dei vassalli, che hanno ottenuto prebende dal sovrano attraverso la intercessione del vassallo. E a loro volta i valvassori hanno i loro vassalli, i valvassini, che sono i capiclan locali, regionali o comunali. Il tutto si basa, non sulla competenza, ma sulla fedeltà al capo immediatamente superiore.
Così la struttura gerarchica non ha bisogno di diete (famose quelle del Sacro Romani Impero) o di congressi (in cui riunire le persone per discutere e deliberare; guarda caso il Parlamento degli Stati Uniti si chiama Congresso), basta la parola del monarca, del capo assoluto, e il tutto si struttura a cascata dal monarca in giù, con principi, duchi, marchesi, conti, visconti, baroni, signori e cavalieri. Alla base ci sta il popolo che non ha diritto di scegliere, le liste sono bloccate, o prendi questa minestra o salta dalla finestra, e allora molti non vanno a votare. Il popolo non ha diritto di sapere neanche come vengono prese certe decisioni o come si struttura la organizzazione del capo: chi e dove e come viene scelto il candidato premier?
La fiducia nel monarca deve essere cieca, e il re o “presidente” per ottenere il potere promette di tutto e di più, salvo poi non mantenere alcuna promessa. E così diventa una gara a dirla più grossa: l’assunto è che se il popolo oggi crede a chi gli racconta una favola, domani crederà a chi gliene racconterà una più interessante, più sfiziosa. Nessuno propone che da domani tutti dovranno pagare le tasse e le imposte. Anzi ti offrono sanità e scuola gratis, anche se evadi il fisco, e magari ti regalano anche dei soldi per mettere a posto la tua casa, così con i soldi degli altri potrai rivenderla a un prezzo maggiore. Tanto ci saranno sempre i poveri merli che continuano a pagare le tasse. E poi avanti con i debiti, perché si confida sempre nello stellone d’Italia. “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”, di evasori, di furbi e di lecchini. Un Paese meraviglioso per alcuni, forse per molti, ma certo non per tutti.
Il 12 agosto 2022, con le firme di Meloni, Salvini, Berlusconi, sull’accordo di programma per le elezioni politiche, il centrodestra sancisce che è per la “elezione diretta del Presidente della Repubblica”. Per sostenere questa tesi “presidenzialistica” (nel DNA della destra, da sempre) nel 2019 Fratelli d’Italia aveva raccolto le firme nelle piazze. Ma poi arrivata al governo, dopo alcuni mesi, il 9 maggio 2023, Meloni cambia idea sul soggetto “presidenziale”: lancia la elezione diretta del presidente del consiglio con tanto di premio di maggioranza, (alla coalizione vincente vengono assegnati il 55% dei seggi in tutte e due le Camere, non c’è quorum, di votanti o di voti validi) E si affretta a dire che questa “riforma” non è per lei, anzi è per il bene del Paese.
Naturalmente il progetto è all’insegna della “governabilità” e della “stabilità”, che sono gli argomenti usati per sostenere i referendum elettorali per il maggioritario: ben sei, nel 1991, nel 1993, nel 1995, nel 1999, nel 2000, nel 2009. E pensare che quando non c’era la governabilità e la stabilità, il Paese cresceva, sia il Pil che il reddito medio pro capite, e la percentuale del debito pubblico sul PIL era nettamente inferiore rispetto agli ultimi trenta anni. Ma lì c’erano i malvagi partiti della Prima Repubblica.
In verità in questi trenta anni il potere dell’esecutivo e del Presidente del Consiglio si è enormemente rafforzato a scapito del Parlamento: decreti legge, maxiemendamenti ( c’è stato un record, quello del governo Prodi nel 1995 un solo articolo con 1365 commi), voti di fiducia, decreti delegati, i decreti del presidente del consiglio dei ministri (uno di Conte di settanta pagine, con quarantaduemila parole), i decreti interministeriali.
Di fatto abbiamo un regime extra parlamentare, presidenziale, sancito anche con una prassi extra legem, senza nessuna legge elettorale: dal 2001 abbiamo avuto i nomi dei candidati a presidente del Consiglio nel simbolo da votare : la “Casa delle Libertà/Berlusconi presidente” contro “l’Ulivo per Rutelli”, e poi “lista Di Pietro”, “lista Emma Bonino”, “lista Democrazia Europea Andreotti D’Antoni Zecchino”, ecc. E la cosa è passata come scontata, naturale sviluppo del sistema maggioritario all’italiana.
Scrive Michele Ainis, in un libro che consiglio ( “Capocrazia- se il presidenzialismo ci manderà all’inferno” – La nave di Teseo – gennaio 2024 – € 16,00): “Un mutamento tacito, che si è consumato un po’ alla volta, goccia a goccia. Senza revisioni formali del documento costituzionale, però con una lenta azione corrosiva, con il veleno delle prassi incostituzionali, dei comportamenti illegittimi legittimati dall’uso ripetuto, dell’accondiscendenza verso gli oltraggi ricevuti dalla Carta. Il “presidenzialismo di fatto” subentrato alla centralità del parlamento ne è la prova più evidente, ma non è l’unica prova. E forse è troppo tardi per metterci rimedio. Dopotutto, il vero argomento che sostiene la riforma è proprio questo: l’esigenza di riallineare la Costituzione scritta a quella “materiale”, al modo in cui viene applicata. In un senso o nell’altro.”
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(venerdì 5 aprile 2024)