Veltroni, ospite di Cartabianca su Rai3, ha affermato: “Se noi tornassimo al proporzionale, sarebbe il festival della frammentazione. Il Paese ha bisogno di governabilità”. C’à da chiedersi dove abbia vissuto negli ultimi 25 anni. Cinque leggi elettorali e una instabilità politica e di governo evidente: e il Paese non è cresciuto o è cresciuto pochissimo.
Il maggioritario, alla luce della esperienza e della realtà politica italiana, è stato un artificio, un imbroglio, che ha nascosto una maggiore frammentazione di quella dal 1946 al 1992. La coalizione “maggioritaria”, puramente elettorale, è sempre franata nel momento in cui doveva governare.
E piaccia o no, non si può pensare di tornare a comprimere la pluralità delle presenze politiche con le leggi elettorali maggioritarie, sognando due coalizioni: centrosinistra (il”campo riformista” con le 5s! sic!) e centrodestra. La storia di questi 25 anni, di cui non si vuole prendere atto, insegna che il “festival della frammentazione” – lo ripeto – c’è all’atto della formazione dei cartelli elettorali e scoppia dopo, anche in presenza di maggioranze schiaccianti. Nei sistemi maggioritari il potere di ricatto delle forze minori è più alto che nei sistemi proporzionali con collegi piccoli (un collegio che elegge 18 deputati ha il quorum al 5% senza definizione di quota di sbarramento).
Ma facciamo qualche calcolo per verificare se il sistema proporzionale produce “frammentazione”. La Costituzione vigente dice che i senatori sono eletti su base regionale (spero che nella revisione della Costituzione si tolgano i seggi esteri, destinati a persone che non pagano le tasse in Italia). Oddio, adesso c’è anche l’idea di abolire la dimensione regionale e fare anche per il Senato le “circoscrizioni” come per la Camera dei deputati: per uniformare il risultato elettorale ! Allora cosa servono due Camere? Boh?!
Esaminiamo dunque il Senato “su base regionale”: con la riduzione a 200 senatori, garantendo un senatore alla Valle d’Aosta, la Lombardia dovrebbe eleggere 33 senatori e quindi dovrebbe essere più frammentata, con il sistema proporzionale, secondo alcuni.
Nel metodo D’Hondt ( adottato in Italia dal 1948 al 1992 per il Senato) si dividono i voti di lista per 1,2,3 fino al numero di senatori da eleggere e si assegnano i seggi ai risultati ottenuti in ordine decrescente.
In Lombardia, sulla base dei risultati del 4 marzo 2018, sedici liste presenti e solo 7 prenderebbero i seggi senatoriali: Lega 10 senatori, M5S 8, PD 7, Forza Italia 5, Fratelli d’Italia 1, +Europa 1, Leu 1.
E questo sarebbe il massimo della frammentazione poiché è la regione che elegge più senatori, avendo un sesto della popolazione italiana. Nelle altre regioni, ovviamente, con collegi più piccoli, il numero dei partiti diminuisce.
Per la Camera dei deputati, si adotta il metodo Hare, ovvero quello dei quozienti e dei resti più alti. (in vigore dal 1946 al 1992, con la parentesi del 1953 “la legge truffa”). Facciamo un esempio: tutti i voti di lista sono 100 e i deputati da eleggere sono 8: il “quoziente elettorale di circoscrizione” è 100: (8+2)= 10. A questo punto la somma dei voti validi di ogni lista si divide per il “quoziente elettorale” ovvero 10. Si attribuiscono quindi ad ogni lista tanti rappresentanti quante volte il quoziente elettorale risulti contenuto nella cifra elettorale di ciascuna lista. I seggi che rimangono non assegnati sono attribuiti al collegio unico nazionale. Mantenendo le circoscrizioni attuali, in Lombardia dove si eleggerebbero 67 deputati, il risultato del marzo 2018 avrebbe dato seggi solo a sei forze politiche su 16.: Lega 21 deputati, M5S 16, PD 15, Forza Italia 10, Fratelli d’Italia 3, +Europa 2.
Ovviamente più le circoscrizioni sono piccole, ovvero hanno meno deputati da eleggere, più si alza il quorum; più sono grandi e il quorum si abbassa. Se devi eleggere 8 deputati, il quorum è il 10%; se ne devi eleggere 18, il quorum diventa 5%: ovvero si crea uno sbarramento “naturale” a seconda del numero di deputati da eleggere, senza sbarramenti artificiosi.
Come si vede, non c’è alcuna frammentazione; quei partiti ci sarebbero anche con il sistema maggioritario, ma il loro peso sarebbe “drogato” dalle intese preelettorali per la formazione delle liste. Se si vuole togliere il potere di ricatto a partiti, partitini, movimenti, correnti, gruppuscoli, parentele, gruppi di potere, bisogna che tutti si confrontino con gli elettori e solo dopo il voto si facciano i conti.
È ora di finirla con le litanie sulla “frammentazione”. Si parla a vanvera per difendere cinque leggi elettorali maggioritarie che nascono dai referendum del 1991 e del 1993. La storia degli ultimi 25 anni dovrebbe servire a qualcosa e qualcuno dovrebbe farsi l’autocritica per il tempo che ha fatto perdere al Paese.
Paolino Casamari
(mercoledì 13 novembre 2019)
Assolutamente convincente….